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Crisi energetica? La ricetta Fmi: dighe, carbone e nucleare

di Elena Gerebizza* - 26/04/2006

 
Per contrastare la penuria di risorse, Fondo monetario e Banca Mondiale ignorano ancora una volta le energie rinnovabili. Con il plauso del G8


Non è più un mistero, il consenso di Washington vacilla, e vacillano le sue istituzioni. In un contesto politico ed economico internazionale in rapida trasformazione, dove il fallimento del paradigma neoliberista risulta oramai evidente e nuovi equilibri regionali mettono sempre più in discussione il ruolo di superpotenza degli Stati Uniti, a partire dall’emergere del colosso cinese, nel fine settimana si sono tenuti a Washington gli incontri di primavera della Banca mondiale e del Fondo monetario internazionale.

L’agenda degli incontri ha incluso la crisi energetica, che sembra avvicinarsi pericolosamente, pesando sulla crescita dell’economia mondiale. Per i governi ritrovatisi a Washington la Banca mondiale e il Fondo monetario devono avere un ruolo chiave nel liberare a tutti i costi nuove risorse petrolifere nei Paesi in via di sviluppo, così da stabilizzare il prezzo sui mercati internazionali e far fronte alla sempre crescente domanda dei Paesi ricchi e di quelli emergenti.

Al centro del dibattito il nuovo piano di investimenti per l’energia pulita e lo sviluppo presentato dalla Banca mondiale, che si propone di dare risposta alla questione sollevata all’ultimo summit del G8 tenutosi a Gleneagles lo scorso luglio, ovvero come facilitare la transizione verso un sistema basato sulle energie rinnovabili e che allo stesso tempo aiuti uno sviluppo sostenibile del settore energetico e favorisca la crescita economica e la lotta alla povertà nei Paesi in via di sviluppo.

Il documento presentato dalla Banca risponde unicamente agli interessi energetici del G8 e rappresenta un pericoloso passo indietro nella progettazione della sostenibilità energetica internazionale. Il piano riconosce infatti il potenziale delle energie rinnovabili - come l’eolico, le biomasse, i mini-impianti idroelettrici - ma non propone finanziamenti aggiuntivi per il loro sviluppo. In maniera incredibilmente contradittoria invece, si suggeriscono investimenti in anacronistiche centrali a “carbone pulito” e in mega-progetti di estrazione di gas naturale, accanto a un rilancio dell’idroelettrico e delle grandi dighe, che assorbiranno oltre la metà del budget messo a disposizione dalla Banca per lo sviluppo delle rinnovabili. Inoltre, per la prima volta nella storia della Banca mondiale, nel piano di finanziamento viene addirittura ventilata l’opzione del nucleare. Sembrerebbe infatti che Stati Uniti e Regno Unito si riaprano all’opzione nucleare nel Sud del mondo da realizzare con l’export di tecnologie occidentali, proprio a venti anni dall’anniversario della tragedia di Chernobyl. La Germania per il momento mantiene la sua opposizione, lasciando aperto il dibattito a livello europeo.

Gordon Brown, ministro del Tesoro inglese, ha proposto alla Banca addirittura di investire nei prossimi anni ben 20 miliardi di sterline in favore delle energie pulite e nella protezione del clima. In realtà gran parte delle risorse andrebbe a sostenere il nascente mercato delle emissioni di carbonio, che viene contestato sempre più poiché facilita, dietro le apparenti buone intenzioni, il finanziamento di progetti parimenti inquinanti che trovano una significativa opposizione nel Sud del mondo.

Puntuale la condanna della società civile internazionale, organizzazioni ambientaliste in testa, che denunciano la marcia indietro senza precedenti dell’istituzione, e l’assenza di responsabilità dei Paesi sviluppati - Europa, Stati Uniti ma anche Russia - sulla questione del cambiamento climatico, utilizzata come scusa per spingere ancora un modello energetico fallimentare e contro gli interessi dei più poveri. Secondo le organizzazioni della società civile presenti a Washington in questi giorni, la Banca dimostra di non avere imparato nulla dalle esperienze passate, proponendo una strategia incentrata su grandi progetti che in maniera poco lungimirante rispondono ai bisogni dei grandi investitori occidentali, invece di aiutare con un approccio decentrato e su piccola scala lo sviluppo economico e sociale delle aree più povere del pianeta, facendo ricadere proprio su di loro, e per l’ennesima volta, i suoi costi ambientali e sociali sempre più drammaticamente alti.

Sullo sfondo degli incontri continua la crociata personale contro la corruzione che il presidente della Banca Mondiale, il “falco” Paul Wolfowitz, ha deciso di intraprendere qualche mese fa, sospendendo i finanziamenti per il rischio di diversione dei fondi a ben nove Paesi. Il problema della corruzione legato all’assegnazione di appalti milionari per progetti finanziati dalla Banca è ritornato al centro dell’opinione pubblica americana anche in seguito a una recente inchiesta del Comitato per le Relazioni Internazionali del Senato degli Stati Uniti, secondo la quale oltre 100 miliardi di dollari dei quasi 600 prestati in 60 anni dalla Banca potrebbero essere finiti nelle tasche sbagliate, a vantaggio di imprese che hanno scelto la via più rapida per assicurarsi appalti milionari. Le organizzazioni della società civile contestano l’arbitrarietà del metodo adottato da Wolfowitz, fino adesso basato sulla regola di due pesi e due misure. Ci si chiede perchè il Presidente neo-con non abbia ancora sospeso anche gli aiuti al Pakistan, alleato strategico della Casa Bianca nella “guerra infinita” al terrorismo, o se avrà il coraggio di bloccare i finanziamenti per la costruzione dell’oleodotto Baku-Tbilisi-Ceyhan, opera strategica nel Caspio per liberare risorse petrolifere dalle grinfie di Russia e Iran e fortemente voluta dal vice-Presidente Dick Cheney, anche se i costi del progetto continuano a lievitare per probabile corruzione in Turchia.

Per essere credibile la Banca mondiale dovrebbe aprirsi a un approccio comprensivo, che innanzitutto riconosca la corresponsabilità di chi ha approvato finanziamenti a governi corrotti per progetti ai quali la stessa società civile locale si era opposta. Delle opere che non hanno portato alcun beneficio alla popolazione locale, ma di fatto hanno solamente contribuito ad aumentare il debito “odioso” accumulato da dittatori di Paesi a volte poverissimi.

Con il populismo di Wolfowitz nella lotta alla corruzione vedremo tutt’altro che un cambiamento netto, sopratutto nelle priorità nel settore energetico della Banca, ancora restia a riconoscere che i paesi più ricchi di risorse naturali sono anche politicamente instabili, e quindi favorire investimenti privati per mega-progetti estrattivi alimenta di fatto la corruzione e il debito di domani.

*(Crbm/Mani Tese)