Recensire un libro di Giuliano Amato? Certo. Per leggerlo e capire, una volta per tutte, quali sono il limiti teorici, culturali e pratici del riformismo italiano. E non solo.
Un altro mondo è possibile? si presenta come un piccolo dizionario del pensiero politico e sociale contemporaneo. 32 voci: Minaccia globale, Scienza, Global e Local, Occidente, Oriente, Africa, Reddito, Ricerca, Salute, Giustizia, Web, No profit, Giudizi e pregiudizi, Ideologie, Egemonie, Discontinuità, Identità, Sicurezza e Libertà, Felicità, Morale, Relativismo, Laicità, Sogni, Sogni di donna, Fiducia, Leadership, Riformisti, Neoconservatori, Populisti, Elites e lobbies, Gli altri.
Un altro mondo è possibile? si presenta come un piccolo dizionario del pensiero politico e sociale contemporaneo. 32 voci: Minaccia globale, Scienza, Global e Local, Occidente, Oriente, Africa, Reddito, Ricerca, Salute, Giustizia, Web, No profit, Giudizi e pregiudizi, Ideologie, Egemonie, Discontinuità, Identità, Sicurezza e Libertà, Felicità, Morale, Relativismo, Laicità, Sogni, Sogni di donna, Fiducia, Leadership, Riformisti, Neoconservatori, Populisti, Elites e lobbies, Gli altri.
Mancano però, tra le altre, due parole importanti: modernità e progresso. Perché?
Il riformismo di Giuliano Amato, non è di derivazione liberalsocialista, come lascia credere talvolta lo stesso autore. Il liberalsocialismo, affonda le sue origine nell'antifascismo e in una visione ultrademocratica della società (si rileggano Socialismo Liberale di Carlo Rosselli, e ancora più indietro certe pagine di Gobetti e Salvemini) . La visione riformista di Amato è invece liberale tout court. Considera modernità e progresso come dati di fatto, e soprattuto li confonde con le istituzioni liberali esistenti. Per Amato, il mondo di oggi, resta comunque il migliore dei mondi possibili. Invece per il vero liberalsocialista (una specie attualmente quasi estintasi) la modernità e il progresso non sono mai acquisiti. Per Amato il progresso è un mezzo, per Gobetti e Rosselli un fine.
Questo spiega perché Amato parli di "riformismo al plurale". Per lui le "riforme", come per Giolitti, che invece era un liberale senza aggettivi, devono riflettere quella che è la forma sociale. Giolitti nelle Memorie sosteneva che il riformista deve comportarsi come il sarto che taglia e cuce i vestiti per i gobbi. Insomma, se la "schiena" della società è imperfetta, anche le riforme non possono che essere tali. E si badi bene, già all'inizio degli anni Ottanta, un Amato consigliere di Craxi, già parlava di "riformismo a spizzichi". Di un riformismo che doveva rinunciare a imporre qualsiasi disegno globale...
Ma a questo punto non resta che chiedersi che razza di riformismo sia quello che rifiuta di cambiare, con le riforme, una realtà "gobba" che opprime i ceti deboli. Anche perché - e questa è la contraddizione "paradigmatica" del riformismo contemporaneo postsocialista e postcomunista - Amato ha poi finito per accettare come riformismo vero, il riformismo "gobbo" di tipo monetarista e liberista: un riformismo sbilanciato verso il mercato e non verso il lavoro. O che comunque privilegia la produzione sulla redistribuzione. I sacrifici sui diritti sociali. E qui basta ricordare certi suoi trascorsi da Presidente del Consiglio: nel 1992 favorì la definitiva cancellazione della scala mobile, perfezionò legislativamente lo smantellamento dell'economia mista, svalutò la lira, colpì il risparmio italiano, tassò, con l'una tantum, i conti correnti, e infine attuò una manovra finanziaria (anzi due, con la correttiva) da circa centoventimila miliardi di lire, che colpì i ceti sociali sociali più deboli (operai e piccoli artigiani) e che fece crescere di un punto, un punto e mezzo, il tasso di disoccupazione. In pochi mesi Amato cancellò le conquiste sociali di alcuni decenni.
Perciò attualmente il vero discrimine tra riformismo vero e falso è rappresentato, dall'atteggiamento che si assume nei riguardi delle riforme economico di tipo liberista.
Riforme che Amato invece nel suo libro difende a spada tratta.