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Oriente e Occidente

di René Guénon - 26/04/2006

 

 

Premessa

Rudyard Kipling scrisse un giorno queste parole: "East is East and West is West, and never the twain shall meet, L'Oriente è l'Oriente e l'Occidente è l'Occidente, e i due mai s'incontreranno". Vero è che, nel seguito del testo, egli modifica la sua affermazione, ammettendo che "la differenza scompare quando due uomini forti si trovino a faccia a faccia, dopo essere venuti dalle estremità della terra"; in realtà anche questa precisazione non è del tutto soddisfacente, perché è ben poco probabile che così dicendo egli abbia pensato ad una "forza" di ordine spirituale. Comunque sia, l'abitudine è di citare isolatamente il primo verso, come se tutto ciò che rimane nel pensiero del lettore fosse l'idea della differenza insormontabile che esso esprime; indubbiamente quest'idea rappresenta l'opinione della maggior parte degli Europei, e si sente in essa affiorare tutta la stizza del conquistatore costretto ad ammettere che coloro che crede di aver vinto e sottomesso portano in sé qualcosa su cui egli non può aver presa. Ma, qualunque sia il sentimento che ha dato origine a una tale opinione, quel che ci interessa innanzi tutto è sapere se essa sia fondata, o in quale misura lo è. Certamente, se si considera lo stato attuale delle cose, si trovano molteplici indizi che sembrano giustificarla; e tuttavia se noi la condividessimo completamente, se pensassimo che nessun avvicinamento è possibile né mai lo sarà, non avremmo intrapreso a scrivere questo libro.

Forse più di chiunque altro noi abbiamo coscienza di tutta la distanza che separa l'Oriente dall'Occidente, soprattutto dall'Occidente moderno; del resto, nella nostra Introduzione generale allo studio delle dottrine indù, abbiamo particolarmente insistito sulle differenze, a tal punto che qualcuno ha potuto pensare a una certa esagerazione. Siamo tuttavia persuasi di non aver detto nulla che non sia rigorosamente esatto; nello stesso tempo abbiamo però preso in considerazione, nella conclusione del nostro studio, le condizioni di un riavvicinamento intellettuale, il quale, pur se verosimilmente abbastanza lontano, ci appariva ciò nonostante possibile. Se allora ci pronunciammo contro le false assimilazioni tentate da certi Occidentali, è proprio perché esse sono uno del principali ostacoli che si oppongono a questo riavvicinamento; quando si parte da una concezione erronea, sovente i risultati sono opposti al fine che ci si era proposto. Rifiutandosi di vedere le cose come sono e di riconoscere certe differenze attualmente irriducibili, ci si condanna a non comprendere nulla della mentalità orientale, e in tal modo non si fa che aggravare e perpetuare i malintesi, mentre, al contrario, bisognerebbe prima di tutto cercare di dissiparli. Fintanto che gli Occidentali immagineranno che esista un solo tipo di umanità e non ci sia che una sola "civiltà", a diversi gradi di sviluppo, nessuna intesa sarà mai possibile. La verità è che esistono molteplici civiltà, le quali si sono sviluppate in direzioni molto differenti, e che la civiltà dell'Occidente moderno presenta caratteri tali da far di essa un'eccezione piuttosto singolare.

Non si dovrebbe mai parlare di superiorità o di inferiorità, in senso assoluto, senza precisare da quale punto di vista si considerano le cose che si intendono confrontare; ammesso che effettivamente esse siano comparabili. Non esiste una civiltà superiore alle altre sotto tutti gli aspetti, e ciò sia perché non è possibile all'uomo sviluppare la propria attività in modo uguale e contemporaneamente in tutte le direzioni, sia perché esistono sviluppi che si dimostrano veramente incompatibili, è però lecito pensare che una certa gerarchia debba essere rispettata, e che le cose di carattere intellettuale, per esempio, valgano più di quelle di ordine materiale; se così è, una civiltà che si dimostri inferiore nel riguardi delle prime, quando pur sia incontestabilmente superiore dal secondo punto di vista, si troverà sempre ad essere svantaggiata nell'insieme, qualunque siano le apparenze esteriori: è questo il caso della civiltà occidentale quando sia messa a confronto con le civiltà orientali. Sappiamo perfettamente che questo modo di vedere infastidisce la gran maggioranza degli Occidentali, contrario com'è a tutti i loro pregiudizi; ma, a parte ogni questione di superiorità, essi saranno almeno disposti ad ammettere che le cose a cui attribuiscono l'importanza più grande non necessariamente interessano tutti gli uomini nella stessa misura, che certuni possono anche considerarle come completamente trascurabili, e che si può dar prova d'intelligenza in altri modi oltre che costruendo delle macchine. Sarebbe già qualcosa se gli Europei arrivassero a capire questo e si comportassero di conseguenza; le loro relazioni con gli altri popoli ne risulterebbero un poco modificate, e in modo grandemente vantaggioso per tutti.

Questo è però soltanto l'aspetto più esteriore della questione: se gli Occidentali riconoscessero che non tutto, nelle altre civiltà, è necessariamente da disprezzare per l'unica ragione che esse sono differenti dalla propria, nulla più impedirebbe loro di studiare queste civiltà nel modo giusto, senza il partito preso, cioè, di denigrarle, e senza ostilità preconcetta; grazie a uno studio di questo genere taluni di essi non tarderebbero forse ad accorgersi di tutto quel che manca a loro stessi, soprattutto da un punto di vista puramente intellettuale. Presupponiamo naturalmente che costoro sarebbero stati in grado di pervenire, almeno in una certa misura, alla comprensione vera dello spirito delle diverse civiltà, ciò che richiede ben altro che lavori di semplice erudizione; indubbiamente non tutti sono atti a tale comprensione, ma se qualcuno lo fosse, come pare nonostante tutto probabile, ciò potrebbe essere sufficiente per condurre presto o tardi a risultati inestimabili. Già abbiamo fatto allusione alla funzione che potrebbe avere un'élite intellettuale se essa giungesse a costituirsi nel mondo occidentale, nel quale agirebbe a modo di "fermento" per preparare e dirigere nel senso più favorevole una trasformazione mentale che un giorno o l'altro, si voglia o no, diventerà inevitabile. Alcuni, del resto, cominciano a sentire più o meno confusamente che le cose non possono continuare indefinitamente ad andare nel senso in cui vanno, e addirittura a parlare di un "fallimento" della civiltà occidentale come di una possibilità, cosa che solo pochi anni fa nessuno avrebbe osato fare; sennonché le vere cause che possono provocare questo fallimento sembrano ancora sfuggir loro in gran parte. Poiché queste cause sono precisamente, nello stesso tempo, quelle che impediscono ogni intesa tra l'Oriente e l'Occidente, dalla loro conoscenza si potrà trarre un doppio beneficio: lavorare a preparare questa intesa sarà anche sforzarsi per evitare le catastrofi da cui l'Occidente è minacciato per colpa propria; i due fini sono molto più strettamente collegati di quanto si potrebbe credere.

Denunciare gli errori e le illusioni occidentali, come abbiamo nuovamente intenzione di fare in primo luogo, non è dunque affatto un'opera di critica vana e puramente negativa; le ragioni di questa attitudine sono ben altrimenti profonde, né noi mettiamo in ciò alcuna intenzione "satirica", che del resto si addirebbe assai poco al nostro carattere; se qualcuno ha creduto di vedere qualcosa di simile nel nostro atteggiamento si è singolarmente sbagliato. Da parte nostra, preferiremmo di gran lunga non aver bisogno di dedicarci a questo lavoro piuttosto ingrato, e poterci accontentare di esporre certe verità senza mai doverci preoccupare delle interpretazioni false, le quali non fanno che complicare e imbrogliare le questioni senza nessun costrutto; sennonché è indispensabile tener conto anche di queste contingenze, giacché, se non cominciassimo con lo sbarazzare il campo, tutto quel che abbiamo da dire rischierebbe di rimanere incompreso. D'altra parte, anche quando sembri che ci limitiamo a eliminare errori o a rispondere ad obiezioni, possiamo sempre trovare l'occasione di esporre cose che hanno un'importanza realmente positiva; mostrare perché certi tentativi di riavvicinamento fra Oriente e Occidente sono falliti, non è già forse, ad esempio, far intravedere per contrasto le condizioni a cui una simile impresa sarebbe invece suscettibile di successo? Speriamo perciò che le nostre intenzioni non siano fraintese; e se non cerchiamo di dissimulare le difficoltà e gli ostacoli, se al contrario insistiamo su di essi, ciò è dovuto al fatto che per poterli appianare e superare bisogna prima di tutto conoscerli. Non possiamo soffermarci su considerazioni troppo secondarie, né domandarci ciò che piacerà o non piacerà ad ognuno; l'argomento che affrontiamo è ben altrimenti serio, anche a volersi contenere a quelli che possiamo chiamare i suoi aspetti esteriori, vale a dire a quanto non si riferisce all'ordine dell'intellettualità pura.

In effetti, noi non intendiamo far qui un'esposizione dottrinale, e ciò che diremo sarà in generale accessibile a un pubblico più vasto di quello che le vedute espresse nella nostra Introduzione generale allo studio delle dottrine indù hanno potuto raggiungere. Neppure quest'opera, tuttavia, era stata scritta per pochi "specialisti"; se qualcuno è stato in questo senso tratto in inganno dal suo titolo, è perché questi argomenti sono abitualmente l'appannaggio di eruditi che li studiano in modo piuttosto ostico e, ai nostri occhi, privo di vero interesse. Il nostro atteggiamento è ben diverso: per noi si tratta essenzialmente, non di erudizione, ma di comprensione, che è totalmente diverso; non è certo fra gli "specialisti" che si hanno le maggiori probabilità d'incontrare le possibilità di una comprensione estesa e profonda, al contrario; e salvo rarissime eccezioni, non è su di loro che c'è da contare per formare quell'élite intellettuale di cui abbiamo parlato. è probabile che taluni abbiano giudicato un male il nostro attacco all'erudizione, o piuttosto ai suoi abusi e ai suoi pericoli, pur se ci siamo astenuti accuratamente da tutto quel che avrebbe potuto presentare i caratteri di una polemica; sennonché, una delle ragioni per le quali abbiamo condotto questo attacco, è precisamente che l'erudizione, con i suoi metodi speciali, ha l'effetto di distogliere da determinate cose proprio coloro che sarebbero più capaci di comprenderle. Molti infatti, vedendo che si tratta di dottrine indù e pensando subito al lavoro di qualche orientalista, immaginano che "non è pane per i loro denti"; ora, fra costoro vi sono certamente degli individui che hanno il torto più completo a pensare in questo modo, e ai quali forse non occorrerebbero molti sforzi per acquisire conoscenze che gli stessi orientalisti non hanno e non avranno mai: una cosa è l'erudizione, un'altra il sapere reale, e anche se non sempre i due sono incompatibili, non è affatto vero che essi siano necessariamente solidali. Indubbiamente se l'erudizione acconsentisse a contenersi nel compito ausiliario che deve normalmente competerle, non troveremmo nulla a ridire, dal momento che con ciò stesso cesserebbe di essere pericolosa, e anzi, potrebbe avere qualche utilità; entro questi confini riconosceremmo molto volentieri il suo valore relativo. Ci sono casi in cui il "metodo storico" è legittimo, e l'errore contro cui ci siamo dichiarati consiste soltanto nel credere che esso sia applicabile a tutto, e nel voler trarre da esso qualche cosa di diverso da ciò che può effettivamente dare; pensiamo di aver dimostrato altrove1, senza con ciò esserci messi minimamente in contraddizione con noi stessi, di essere capaci di applicare questo metodo altrettanto bene quanto chiunque altro, quando ne sia il caso, e ciò dovrebbe essere sufficiente a provare che non abbiamo nessun "partito preso" contro di esso. Ogni questione deve essere trattata seguendo il metodo che conviene alla sua natura; è un ben strano fenomeno questo, di cui l'Occidente ci dà abitualmente spettacolo, d'una confusione di ordini diversi e di differenti domini. Insomma, occorre saper mettere ogni cosa al suo posto, e noi non abbiamo mai detto niente di diverso; sennonché, seguendo questa linea, ci si accorge per forza che vi sono cose che possono essere soltanto secondarie e subordinate nei confronti di altre, nonostante le manie "ugualitaristiche" di certi nostri contemporanei; è per questo che l'erudizione, anche quando presenti qualche valore, non può essere per noi che un mezzo, e mai un fine in se stessa.

Queste spiegazioni ci sono parse necessarie per diverse ragioni: prima di tutto, teniamo a dire quel che pensiamo nel modo più netto possibile, tagliando corto con ogni malinteso, anche nel caso che questo sorga nonostante le nostre precauzioni, ciò che è pressoché inevitabile. Pur riconoscendosi generalmente la chiarezza dei nostri scritti, ci sono state talvolta attribuite delle intenzioni che non abbiamo mai avuto; avremo qui l'occasione di dissipare alcuni equivoci e di precisare certi punti sui quali non ci eravamo forse sufficientemente spiegati. In secondo luogo: la diversità degli argomenti che trattiamo nei nostri studi non compromette affatto l'unità della concezione che vi presiede; teniamo anzi, in particolare, all'affermazione espressa di questa unità, che potrebbe passare inosservata a coloro che vedono le cose troppo in superficie. I nostri studi sono talmente legati gli uni agli altri che per molti dei punti che toccheremo qui, avremmo dovuto, ai fini di un'esposizione più completa, rimandare il lettore alle indicazioni complementari che si trovano negli altri nostri scritti; questo l'abbiamo fatto soltanto quando ci è parso strettamente indispensabile; per tutti gli altri casi, ci accontenteremo di questo avvertimento dato una volta per tutte e in modo generale, al fine di non importunare il lettore con riferimenti troppo numerosi. Sempre in quest'ordine di idee, dobbiamo ancora far notare che, anche quando non giudichiamo che sia il caso di dare all'espressione del nostro pensiero una forma propriamente dottrinale, ciò non impedisce che ci ispiriamo costantemente alle dottrine di cui abbiamo compreso la verità: è lo studio delle dottrine orientali che ci ha permesso di scorgere i difetti dell'Occidente e la falsità di un gran numero delle idee che hanno corso nel mondo moderno; è in queste dottrine, e soltanto in esse, che abbiamo trovato, come già ci è occorso di dire altrove, delle cose di cui l'Occidente non ci ha mai offerto il minimo equivalente.

In quest'opera, come del resto nelle altre nostre, non abbiamo assolutamente la pretesa di esaurire tutte le questioni che saremo condotti ad esaminare; pensiamo che non ci possa venir rimproverato di non scrivere tutto in un solo libro, ciò che, d'altra parte, sarebbe assolutamente impossibile. Quel che ci accontenteremo di indicare qui, lo potremo forse riprendere e spiegare più completamente altrove, se le circostanze ce lo permetteranno; se ciò non si avvererà, quel che ne avremo detto potrà almeno suggerire ad altri delle riflessioni che suppliranno, in modo utilissimo per loro, agli sviluppi che non avremo noi stessi potuto fornire. Vi sono cose che a volte è interessante notare incidentalmente anche se non ci si può soffermare su di esse, e noi non pensiamo che sia meglio passarle interamente sotto silenzio; conoscendo però la mentalità di un certo pubblico, crediamo necessario avvertire che in ciò non vi è da vedere niente di straordinario. Sappiamo troppo bene cosa valgano i cosiddetti "misteri", di cui nella nostra epoca si è tanto sovente abusato, i quali non sono tali se non perché coloro che ne parlano sono i primi a non capirne niente; il vero mistero è soltanto quello che per la sua stessa natura è inesprimibile. Non pretendiamo tuttavia che sia sempre ugualmente bene dire in modo aperto qualsiasi verità, o che non vi siano dei casi in cui un certo riserbo si impone per ragioni di opportunità, o cose che sarebbe più dannoso che utile esporre pubblicamente; ma ciò avviene soltanto in certi campi di conoscenza in fondo abbastanza ristretti, e se d'altronde qualche volta ci capita di fare allusione a cose di questo genere,2 non manchiamo mai di dichiarare formalmente di cosa si tratta, senza ricorrere a nessuna di quelle chimeriche proibizioni che gli scrittori di certe scuole tirano in ballo ad ogni piè sospinto, vuoi per provocare la curiosità dei loro lettori, vuoi, più semplicemente, per dissimulare il loro imbarazzo. Simili artifici ci sono del tutto estranei, non meno che le creazioni puramente letterarie; il nostro proposito è soltanto di dire ciò che è, nella misura in cui lo conosciamo e come lo conosciamo. Non possiamo dire tutto quel che pensiamo perché ciò ci condurrebbe spesso troppo lontano dal nostro argomento, e anche perché il pensiero va oltre i limiti dell'espressione in cui si cerca di racchiuderlo; non diciamo però mai nient'altro che quel che realmente pensiamo. Per questo non possiamo ammettere che le nostre intenzioni

Note

1. Le Tbéosophisme, histoire d'une pseudo-religion.

2. Questo ci è accaduto effettivamente, a più riprese, nella nostra opera su L'Erreur spirite, a proposito di certe ricerche sperimentali il cui interesse non ci sembra compensare gli inconvenienti, ma che per scrupolo di verità dovevamo tuttavia indicare come possibili.

Conclusione

Potremmo anche fare a meno di aggiungere, all'esposizione che precede, una conclusione che ci sembra possa desumersene abbastanza facilmente, e nella quale non potremmo far altro che ripetere, in forma più o meno riassuntiva, un certo numero delle considerazioni che abbiamo già sviluppato con insistenza sufficiente a farne comprendere tutta l'importanza. Pensiamo infatti di aver mostrato nel modo più chiaro e più esplicito quali sono i pregiudizi principali che attualmente allontanano l'Occidente dall'Oriente; questo allontanamento è dovuto al fatto che tali pregiudizi sono contrari alla vera intellettualità, che l'Oriente ha conservato integralmente, mentre l'Occidente è arrivato al punto di perderne ogni nozione, fosse pur vaga e confusa. Chi abbia capito tutto questo avrà afferrato con ciò anche il carattere "accidentale" (in tutti i diversi sensi di questa parola) della divergenza dell'Occidente nei confronti dell'Oriente; il riavvicinamento di queste due parti dell'umanità e il ritorno dell'Occidente a una civiltà normale costituiscono in fondo un'unica cosa, ed è questa la ragione principale dell'importanza di tale riavvicinamento, di cui abbiamo esaminato la possibilità per un avvenire più o meno lontano.

Per civiltà normale intendiamo una civiltà che si fondi su dei principi nel vero senso del termine, e nella quale tutto sia ordinato e disposto gerarchicamente in conformità con essi, in modo che ogni cosa vi appaia come l'applicazione e il prolungamento di una dottrina puramente intellettuale o metafisica nella sua essenza; questo è altresì il significato di ciò che chiamiamo civiltà tradizionale. E non si creda, poi, che la tradizione possa essere d'ostacolo al pensiero, a meno di pretendere - e ciò noi non possiamo ammetterlo - che l'impedirgli di sviarsi significhi limitarlo; forse che è lecito affermare che l'esclusione dell'errore costituisce una limitazione della verità? Respingere delle impossibilità, le quali non sono che mancanza pura, non significa affatto apportare restrizioni alla possibilità totale e universale, necessariamente infinita; anche l'errore non è che una negazione, una "privazione" nell'accezione aristotelica della parola; esso non ha, in quanto errore (giacché vi si possono trovare particelle di verità incompresa), nulla di positivo, e questa è la ragione per cui si può escluderlo senza dar minimamente prova di mentalità sistematica. La tradizione per contro, ammette tutti gli aspetti della verità, non opponendosi a nessun adattamento legittimo; essa permette, a coloro che la comprendono, concezioni ben più vaste di tutti i sogni dei filosofi che passano per i più arditi, ma anche ben più solide e ben più reali; infine, essa apre all'intelligenza possibilità illimitate come la stessa verità.

Tutto questo discende immediatamente dai caratteri della conoscenza metafisica, la sola ad essere di fatto assolutamente illimitata appunto perché ha carattere universale; e ci pare qui opportuno ritornare sulla questione, da noi già trattata altrove, dei rapporti tra la metafisica e la logica 1. Quest'ultima, riferendosi alle condizioni proprie all'intendimento umano, è contingente; essa ha carattere individuale e razionale, e quelli che vengono chiamati ì suoi principi sono principi soltanto in un senso relativo; con ciò intendiamo dire che essi, come quelli della matematica o di qualunque altra scienza particolare, non possono essere che l'applicazione e la specificazione dei veri principi in un campo determinato. La metafisica domina dunque necessariamente la logica, come d'altra parte domina tutto il resto; non riconoscere ciò significa capovolgere i rapporti gerarchici inerenti alla natura stessa delle cose; ma per quanto evidente ciò possa sembrarci, abbiamo dovuto constatare che si tratta invece di qualcosa che sconcerta i nostri contemporanei. Costoro ignorano totalmente tutto ciò che abbia carattere metafisico e "sovraindividuale"; essi non conoscono che cose appartenenti alla sfera della ragione, ivi compresa la "pseudo-metafisica" dei filosofi moderni; e nel campo della razionalità la logica occupa effettivamente il primo posto, tutto il resto essendole subordinato. La vera metafisica non può però dipendere né dalla logica né da qualsiasi altra scienza; l'errore di coloro che pensano il contrario proviene dal fatto che essi non concepiscono la conoscenza se non nel campo della ragione, e non hanno il minimo sospetto di che cosa sia la conoscenza intellettuale pura. Questo l'abbiamo già detto; e abbiamo avuto cura di far osservare come occorra distinguere tra la concezione delle verità metafisiche, che in se stessa sfugge a ogni limitazione individuale, e la loro esposizione formulata, la quale, nella misura in cui è possibile, non può esserne che una specie di traduzione in modo discorsivo e razionale; se dunque tale esposizione assume la forma di un ragionamento e un'apparenza logica, ovvero dialettica, il fatto è che, data la costituzione del linguaggio umano, senza un tal procedimento non si potrebbe dire nulla; ma non si tratta che di una forma esteriore, la quale non ha nessuna influenza sulle verità in questione, poiché queste ultime sono essenzialmente superiori alla ragione.

D'altra parte, esistono due maniere molto diverse di considerare la logica: c'è la maniera occidentale, che consiste nel trattarla in modo filosofico e nello sforzarsi di ricollegarla a qualche concezione sistematica; e c'è la maniera orientale, in cui la logica è istituita in "scienza tradizionale" e legata ai principi metafisici, il che le conferisce, come d'altronde ad ogni altra scienza, una portata incomparabilmente maggiore. Certo può succedere che i risultati sembrino, in molti casi, praticamente uguali, ma ciò non diminuisce in nulla la differenza dei due punti di vista; tale differenza è altrettanto incontestabile quanto il fatto che la rassomiglianza esteriore delle azioni di individui diversi non basta da sola a dimostrare che esse sono state compiute con le stesse intenzioni. Ed ecco in definitiva la conclusione a cui vogliamo arrivare: la logica non è in se stessa qualcosa che presenti un carattere specificamente "filosofico", poiché essa esiste anche là dove non si trova la particolarissima forma di pensiero a cui questa denominazione è appropriata; se fino a un certo punto, e sempre con la riserva di quanto contengono di inesprimibile, le verità metafisiche possono venir rivestite di una forma logica, la logica tradizionale, e non la logica filosofica, è atta a questo scopo; e come potrebbe essere altrimenti dal momento che la filosofia ha assunto un carattere tale da non poter più sussistere che a condizione di negare la vera metafisica?

Da questa spiegazione si dovrebbe capire come noi intendiamo la logica; se noi stessi ci serviamo di una certa dialettica, senza la quale non ci sarebbe possibile parlare di nulla, non ci si può rimproverare ciò come una contraddizione, giacché per noi questo non significa affatto fare della filosofia. E d'altronde, anche quando si tratti in particolare di confutare le concezioni dei filosofi, si può esser certi che sappiamo sempre mantenere le distanze che le differenze dei punti di vista esigono: noi non ci poniamo sullo stesso terreno, come fanno coloro che criticano o combattono una filosofia in nome di un'altra filosofia; quel che diciamo lo diciamo perché le dottrine tradizionali ci hanno permesso di comprendere l'assurdità o l'inanità di certe teorie, e, qualunque siano le imperfezioni che inevitabilmente vi apportiamo (le quali non devono essere imputate ad altri che a noi), il carattere di tali dottrine è tale che ci impedisce di scendere a qualsiasi compromesso. Quel che abbiamo in comune con i filosofi non può essere altro che la dialettica; ma nelle nostre mani essa è solo uno strumento al servizio di principi che essi ignorano; anche questa rassomiglianza è dunque del tutto esteriore e superficiale, come quella che si può constatare talvolta tra i risultati della scienza moderna e quelli delle "scienze tradizionali". A dire il vero, non ci serviamo dei metodi propri dei filosofi neppure per quel che riguarda la dialettica, poiché tali metodi, in ciò che hanno di valido, non appartengono loro in proprio, ma rappresentano semplicemente qualcosa il cui possesso è comune a tutti gli uomini, compresi quelli che sono più lontani dal punto di vista filosofico; la logica filosofica non rappresenta che un impoverimento della logica tradizionale, e quest'ultima le è quindi sempre superiore.

Se insistiamo su questa distinzione che vediamo essenziale, non è per nostra soddisfazione personale, ma perché è importante tener sempre presente il carattere trascendente della metafisica pura, e perché tutto quel che procede da quest'ultima, sia pure in modo secondario e in un campo contingente, riceve come una partecipazione a tale carattere, che ne fa qualcosa di completamente diverso dalle conoscenze semplicemente "profane" del mondo occidentale. Ciò che caratterizza un genere di conoscenza e lo differenzia dagli altri non è soltanto il suo oggetto, ma soprattutto il modo in cui tale oggetto viene preso in esame; questa è la ragione per cui problemi che per la loro natura potrebbero avere una certa portata metafisica, la perdono completamente quando si trovano incorporati in un sistema filosofico. Sennonché la distinzione tra metafisica e filosofia, che pure è fondamentale e non dovrebbe mai essere dimenticata quando si voglia capire qualcosa delle dottrine orientali (giacché senza di essa non si può sfuggire al pericolo delle false assimilazioni), è talmente inusitata per gli Occidentali che molti di essi non arrivano nemmeno ad afferrarla: abbiamo infatti avuto la sorpresa di veder affermare qua e là che noi avevamo parlato della "filosofia indù", quando al contrario ci eravamo sforzati di chiarire che ciò che esiste in India è cosa completamente diversa dalla filosofia!

Accadrà forse la stessa cosa per quel che stiamo dicendo a proposito della logica, e, nonostante tutte le nostre precauzioni, non ci stupiremmo che in certi ambienti ci si accusasse poi di far della filosofia contro la filosofia, mentre quel che andiamo facendo è tutt'altra cosa. Se per esempio esponessimo una teoria matematica, e se a qualcuno venisse in mente di chiamarla "fisica", certo non potremmo impedirglielo, ma tutti coloro che conoscono il significato delle parole saprebbero perfettamente quel che devono pensarne; pur trattandosi in questo caso di nozioni meno correnti, le confusioni e gli errori che cerchiamo di prevenire sono di un genere abbastanza simile. Se qualcuno sarà tentato di formulare delle critiche basate su confusioni del genere, lo avvertiamo che esse non hanno nessun fondamento, e se così facendo giungessimo a risparmiargli qualche errore, ne saremmo lietissimi; di più non possiamo fare, giacché non è nei nostri mezzi (né nei mezzi di nessuno) dare la comprensione a chi non ne abbia le capacità in se stesso. Se quindi, nonostante tutto, queste critiche mal fondate verranno fatte, per conto nostro avremo il diritto di non tenerne il minimo conto; ma d'altra parte, se ci accorgeremo di non aver ancora messo in evidenza certe distinzioni in modo abbastanza netto, ritorneremo sull'argomento fino a quando ci parrà che l'equivoco non sia più possibile, o, per lo meno, finché esso non possa più venire attribuito che a cecità incurabile o a evidente malafede.

Lo stesso si dica per quanto riguarda i mezzi con i quali l'Occidente potrà riavvicinarsi all'Oriente ritornando alla vera intellettualità: crediamo che le considerazioni da noi esposte nel presente studio siano atte a dissipare molte confusioni tanto a questo proposito quanto riguardo al modo in cui consideriamo lo stato ulteriore del mondo occidentale, quale esso sarebbe se le possibilità di cui abbiamo parlato potessero un giorno realizzarsi. Tuttavia non possiamo evidentemente avere la pretesa di prevedere tutti i malintesi; nel caso che se ne presenti qualcuno d'importanza veramente reale, ci sforzeremo sempre di dissiparlo, e tanto più volentieri in quanto ciò potrà costituire un'eccellente occasione per precisare il nostro pensiero su taluni punti. In ogni caso, non ci lasceremo mai distrarre dalla linea che ci è tracciata da tutto quel che abbiamo compreso grazie alle dottrine tradizionali dell'Oriente; noi ci rivolgiamo a coloro che possono e vogliono a loro volta comprendere, chiunque essi siano e da qualunque parte vengano, ma non a coloro che l'ostacolo più insignificante o più illusorio basta ad arrestare, che hanno la fobia di certe cose o di certe parole, o si sentono perduti appena oltrepassano certi limiti convenzionali e arbitrari. Non vediamo, infatti, di quale utilità potrebbe essere per l'élite intellettuale la collaborazione di queste persone dall'animo timoroso e inquieto; chi non è capace di guardare in faccia ogni verità, chi non si sente la forza di penetrare nella "grande solitudine", secondo l'espressione consacrata dalla tradizione estremo-orientale (di cui l'India pure ha l'equivalente), questi non potrebbe andar molto lontano nel lavoro metafisico di cui abbiamo parlato e da cui tutto il resto dipende strettamente.

Si direbbe che, per qualcuno, vi sia quasi un partito preso d'incomprensione; ma in fondo non crediamo che coloro che hanno delle possibilità intellettuali veramente estese siano soggetti a questi vani terrori, poiché essi sono abbastanza equilibrati da avere, quasi istintivamente, la sicurezza che non correranno mai il rischio di cedere a nessuna vertigine mentale; bisogna pur dire che tale sicurezza non è pienamente giustificata finché non abbiano raggiunto un certo grado di sviluppo effettivo, ma il solo fatto di possederla, senza neppure rendersene conto molto chiaramente, dà già loro un notevole vantaggio. Non intendiamo parlare qui di coloro che hanno una fiducia più o meno eccessiva in se stessi; in realtà le persone di cui parliamo, anche se non lo sanno ancora, ripongono la loro fiducia in qualcosa di più alto della loro individualità, poiché in qualche modo presentono quegli stati superiori la cui conquista totale e definitiva può essere ottenuta mediante la conoscenza metafisica pura.

Quanto agli altri, a coloro che non osano andare né troppo in alto né troppo in basso, la causa di ciò è che non riescono a vedere oltre certi limiti, di là dai quali non sanno nemmeno più distinguere ciò che è superiore da ciò che è inferiore, ciò che è vero da ciò che è falso, ciò che è possibile da ciò che è impossibile; immaginando che la verità possa essere misurata col loro proprio metro e debba trovarsi a un livello medio, costoro si trovano a loro agio nei quadri della mentalità filosofica, e quand'anche riuscissero ad assimilare certe verità parziali non potrebbero mai servirsene per estendere indefinitamente la propria comprensione; che ciò sia dovuto alla loro stessa natura o soltanto all'educazione che hanno ricevuto, la limitazione del loro "orizzonte intellettuale" è ormai irrimediabile, cosicché il loro "partito preso", se di partito preso si può parlare, è realmente involontario, o addirittura del tutto incosciente. Fra di essi certamente qualcuno è vittima dell'ambiente in cui vive, e questo è il caso più increscioso; le sue facoltà, che in una civiltà normale avrebbero potuto avere l'occasione di svilupparsi, sono state invece atrofizzate e compresse fino all'annichilazione; nelle condizioni attuali dell'educazione e dell'istruzione moderna, si è portati a pensare che proprio gli ignoranti siano quelli che hanno più probabilità di aver conservato intatte le loro possibilità intellettuali. In confronto alle deformazioni mentali che sono la conseguenza più abituale della falsa scienza, l'ignoranza pura e semplice ci sembra veramente un minor male; e benché noi mettiamo la conoscenza al di sopra di tutto, non si tratta qui di un paradosso o di una incoerenza da parte nostra, poiché la sola conoscenza che ai nostri occhi sia veramente degna di questo nome è totalmente diversa da quella che coltivano gli Occidentali moderni. E non ci si venga a rimproverare, su questo o su altri punti, un atteggiamento troppo intransigente; un tale atteggiamento ci è imposto dalla purezza della dottrina e da quella che abbiamo chiamato "ortodossia" nel senso intellettuale; e d'altronde, poiché è esente da ogni pregiudizio, esso non può mai spingerci ad essere ingiusti verso alcunché. Noi ammettiamo tutta la verità, sotto qualunque aspetto si presenti; ma non essendo né scettici né eclettici, non possiamo ammettere nient'altro che la verità.

Sappiamo bene che il nostro punto di vista non è di quelli da cui ci si pone abitualmente in Occidente, e che, di conseguenza, può essere abbastanza difficile da comprendere, almeno a prima vista; ma, naturalmente, non domandiamo a nessuno di adottarlo senza esame. Quel che ci interessa è soltanto incitare alla riflessione coloro che di riflettere sono ancora capaci; ognuno comprenderà quel che sarà in grado di comprendere e, per poco che sia, sarà sempre qualcosa; d'altronde noi pensiamo che ci sarà pur qualcuno che andrà più lontano. Tutto sommato, non c'è ragione perché non ci siano altri che facciano quel che abbiamo fatto noi; tenuto conto dello stato attuale della mentalità occidentale, senza dubbio non saranno che eccezioni, ma è sufficiente che qualcuna di tali eccezioni esista, anche se il loro numero sarà piccolo, perché le nostre previsioni siano giustificate e le possibilità che indichiamo siano suscettibili di realizzarsi prima o poi. D'altra parte, tutto quel che noi faremo e diremo farà sì che coloro che verranno in seguito trovino delle facilitazioni che noi, per quel che ci riguarda, non abbiamo trovato; anche in questo caso, come sempre, la cosa più ardua è incominciare il lavoro, e lo sforzo da compiere è tanto più grande quanto più le condizioni sono sfavorevoli.

Che la credenza nella "civiltà" sia più o meno scossa in persone che fino a non molto tempo fa non avrebbero osato discuterla, che lo "scientismo" sia attualmente in declino in certi ambienti, tutte queste sono circostanze che possono forse aiutarci un pochino, perché provocano una specie di incertezza la quale permette agli animi di inoltrarsi con minor resistenza in vie differenti; ma a questo riguardo non possiamo dire niente di più, e le nuove tendenze che abbiamo constatato finora non hanno proprio nulla di più incoraggiante di quelle che cercano di soppiantare. Razionalismo o intuizionismo, positivismo o pragmatismo, materialismo o spiritualismo, "scientismo" o "moralismo", sono tutte cose che dal nostro punto di vista si equivalgono esattamente; passando dall'una all'altra non si guadagna nulla, e finché non ci si sarà completamente liberati da tutto ciò, non si sarà compiuto neppure il primo passo nel dominio della vera intellettualità. Teniamo a dichiararlo espressamente, così come teniamo a dire, una volta di più, che qualsiasi studio delle dottrine orientali che venga intrapreso dall'"esterno" è perfettamente inutile allo scopo che ci proponiamo; si tratta di cose di tutt'altra portata e di ordine ben altrimenti profondo.

Infine, faremo osservare ai nostri contraddittori che se ci sentiamo di dare un giudizio pienamente indipendente sulle scienze e sulla filosofia dell'Occidente, è perché siamo coscienti di non dover loro nulla; è solo all'Oriente che siamo debitori di quel che siamo intellettualmente, cosicché non abbiamo dietro di noi nulla che possa metterci minimamente in imbarazzo. Se abbiamo studiato la filosofia, l'abbiamo fatto quando già le nostre idee erano completamente centrate su tutto l'essenziale, che è probabilmente il solo modo per non riceverne nessun influsso negativo; ciò che abbiamo visto attraverso tale studio non ha fatto che confermare in modo esattissimo quanto già prima pensavamo della filosofia. Sapevamo che non c'era da aspettarsene nessun beneficio intellettuale; ed infatti il solo vantaggio che ne traemmo fu di capire meglio le precauzioni necessarie per evitare le confusioni e gli inconvenienti che possono sorgere se si usano certi termini, i quali rischiano di far nascere equivoci. Si tratta di cose dalle quali talvolta gli Orientali non si guardano abbastanza; e in questo campo nascono numerose difficoltà di espressione che non avremmo sospettato, prima di aver avuto occasione di esaminare da vicino il linguaggio speciale della filosofia moderna, con tutte le sue incoerenze e sottigliezze inutili. Ma ciò rappresenta un vantaggio soltanto ai fini dell'esposizione, nel senso che, pur obbligandoci ad introdurre complicazioni che non hanno nulla di essenziale, ci permette di prevenire numerosi errori di interpretazione che troppo facilmente commetterebbero coloro che sono abituati esclusivamente alle forme del pensiero occidentale; per noi personalmente non è per nulla un vantaggio, giacché non ci procura nessuna conoscenza reale. Queste cose le diciamo non per costituirci ad esempio, ma per portare una testimonianza di cui, per lo meno, anche coloro che non condividessero il nostro modo di vedere non potranno sospettare la sincerità; se insistiamo in modo particolare sulla nostra assoluta indipendenza nei riguardi di tutto ciò che è occidentale, lo facciamo soltanto perché questo può anche contribuire a far capire meglio le nostre vere intenzioni. Pensiamo di avere il diritto di denunciare l'errore dovunque si trovi, tutte le volte che riteniamo opportuno farlo; esistono però delle questioni dalle quali a tutti i costi vogliamo rimanere estranei, e pensiamo di non doverci schierare per l'una o per l'altra concezione occidentale; siamo pronti a riconoscere imparzialmente ciò che si può trovare di interessante in talune di esse, ma non vi abbiamo mai trovato nient'altro e niente di più di una piccolissima parte di quel che già conoscevamo per averlo trovato altrove, e, quando le stesse cose sono prese in considerazione in modi diversi, il confronto non è mai stato vantaggioso per le prospettive occidentali. è soltanto dopo aver lungamente riflettuto che ci siamo decisi ad esporre considerazioni come quelle che costituiscono l'oggetto del presente studio, ed abbiamo spiegato perché ci sia parso necessario farlo prima di sviluppare concezioni di carattere più propriamente dottrinale: l'interesse di queste ultime potrà così apparire a persone che, altrimenti, non essendo preparate a tali concezioni, non vi presterebbero sufficiente attenzione, e che invece possono essere perfettamente in grado di capirle.

Da un riavvicinamento con l'Oriente, l'Occidente ha tutto da guadagnare; se in ciò anche l'Oriente può avere qualche interesse, non si tratta certo di un interesse dello stesso ordine, né di una importanza paragonabile, e, in ogni caso, certamente esso non è tale da giustificare la benché minima concessione riguardo alle cose essenziali; del resto, non c'è nulla che possa prevalere sui diritti della verità. Mostrare all'Occidente i suoi difetti, i suoi errori e le sue insufficienze non significa affatto dar prova di ostilità nel suoi riguardi, al contrario, dal momento che anzi è l'unico modo di rimediare al male di cui soffre e di cui può morire, se non si riprende in tempo. Indubbiamente il compito è arduo e non privo di contrarietà; ma ciò poco importa quando si è convinti della sua necessità; tutto quel che ci auguriamo è che ci sia qualcuno che comprenda tale necessità. E poi, quando la si abbia veramente compresa, non ci si può fermare a questo punto, così come quando vengono assimilate certe verità non si può più perderle di vista né rifiutare di accettarne tutte le conseguenze; esistono degli obblighi inerenti a ogni vera conoscenza, in confronto ai quali tutti gli "impegni" esteriori appaiono vani e ridicoli; tali obblighi, proprio perché puramente interiori, sono gli unici che non si possono eludere. Quando si ha dalla propria parte la potenza della verità, quand'anche non si possieda nient'altro di fronte agli ostacoli più temibili, non si può cedere allo scoraggiamento, perché questa potenza è tale che nulla riuscirà infine a prevalere contro di essa; soli possono dubitarne coloro che non sanno che tutti gli squilibri parziali e transitori devono necessariamente concorrere al grande equilibrio totale dell'Universo.

Note

1. Introduzione generale allo studio delle dottrine indù, parte 2a, cap. VIII.


 

Aggiunta (1948)

Crediamo che nessuno possa contestare che dal giorno in cui questo libro fu scritto 1 la situazione è più che mai peggiorata, non soltanto in Occidente ma in tutto il mondo, sola cosa da attendersi quando non si fosse verificato un ristabilimento dell'ordine nel senso da noi indicato; d'altra parte, ed è pressoché superfluo dirlo, non ci siamo mai aspettati che tale ristabilimento dell'ordine potesse effettuarsi in così breve tempo. Bisogna tuttavia dire che il disordine è andato aggravandosi in modo ancora più rapido di quanto si sarebbe potuto prevedere, e di ciò bisogna tener conto, anche se non influisce per nulla sulle conclusioni da noi formulate.

In Occidente, il disordine in tutti i campi è diventato così evidente, che sempre più numerosi sono coloro che cominciano a mettere in dubbio il valore della civiltà moderna. Ma, benché si tratti di un segno in un certo qual modo favorevole, il risultato ottenuto non rimane con ciò meno puramente negativo; molti emettono eccellenti critiche sul presente stato di cose, ma non sanno praticamente quale rimedio porvi, e di quel che suggeriscono nulla va oltre il livello delle contingenze, per cui tutto ciò rimane manifestamente privo di ogni efficacia. Da parte nostra non possiamo se non ripetere che l'unico vero rimedio consiste in una restaurazione dell'intellettualità pura; purtroppo da questo punto di vista le probabilità di una reazione che provenga dall'Occidente in quanto tale sembrano diminuire ogni giorno di più, giacché quel che di tradizionale rimane in Occidente è sempre più contaminato dalla mentalità moderna, e di conseguenza sempre meno atto a costituire un solido fondamento per una tale restaurazione; cosicché, senza escludere nessuna delle possibilità che ancora possono esistere, pare più che mai verosimile che l'Oriente debba intervenire più o meno direttamente, nel modo da noi esposto, se un giorno o l'altro questa restaurazione dovrà realizzarsi.

D'altra parte, per quanto riguarda l'Oriente, dobbiamo convenire che i danni causati dalla modernizzazione sono andati considerevolmente aumentando, almeno dal punto dì vista esteriore; nelle regioni che più a lungo vi avevano resistito, il cambiamento sembra ormai effettuarsi a ritmo accelerato; l'India stessa ne è un esempio caratteristico. Tuttavia nulla di tutto ciò ha ancora raggiunto il cuore della Tradizione: dal nostro punto di vista, questa è la sola cosa che importi, e sarebbe senza dubbio errato attribuire un'importanza eccessiva ad apparenze che possono essere soltanto transitorie; ad ogni modo, è sufficiente che il punto di vista tradizionale, con tutto ciò che esso comporta, sia integralmente preservato in Oriente in qualche luogo inaccessibile all'agitazione della nostra epoca. E inoltre non bisogna dimenticare come in realtà tutto quel che è moderno, anche in Oriente, non sia che il segno dell'invadenza della mentalità occidentale; l'Oriente vero, l'unico che meriti realmente tale nome, è e sarà sempre l'Oriente tradizionale, quand'anche i suoi rappresentati siano ridotti a non essere più che una minoranza, ciò che attualmente è ancora ben lungi dall'esser vero. è di questo Oriente che noi intendiamo parlare, così come, parlando dell'Occidente, ci riferiamo alla mentalità occidentale, e cioè alla mentalità moderna e antitradizionale, in qualunque luogo si possa trovare: di fatto, quella che prendiamo in considerazione è prima di tutto l'opposizione di questi due punti di vista, e non semplicemente quella di due termini geografici.

Approfitteremo infine di quest'occasione per aggiungere che siamo più che mai inclini a considerare lo spirito tradizionale, in quanto ancora vivente, come rimasto intatto unicamente nelle sue forme orientali. Se l'Occidente possiede ancora in se stesso i mezzi per ritornare alla propria tradizione e restaurarla pienamente, sta ad esso provarlo. Nell'attesa, siamo obbligati a dichiarare che finora non abbiamo rilevato il minimo indizio che ci autorizzi a supporre che l'Occidente, abbandonato a se stesso, sia realmente in grado di portare a termine questo compito, qualunque sia la forza con cui s'imponga ad esso l'idea della sua necessità.

Note

1. 1924
 
 
 
 
Da:http://www.loggia-rene-guenon.it/Sito/Guenon/Bibliografia/Libri/Testi/OrienteOccidente/ Premessa.htm