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Dopo la Grecia, è la Spagna a far paura all’Euro

di Mauro Bottarelli - 16/04/2010


Gioite, cari lettori! La Grecia ha collocato sul mercato titoli di Stato per un totale 1,56 miliardi a sei mesi e a un anno (780 milioni di euro per ciascuna emissione), un ammontare superiore del 30% di quanto previsto (1,2 miliardi). Le due operazioni hanno suscitato una domanda molto forte tra gli investitori peccato che l’emittente, ovvero la Grecia, abbia dovuto riconoscere rendimenti elevati: 4,85% per la tranche a un anno (52 settimane) e 4,55% per quella a sei mesi (26 settimane).

Per avere un’idea di quanto stia costando alla Grecia lo squilibrio dei conti pubblici basta confrontare i tassi dell’ultima asta con quella analoga di gennaio scorso quando i T-bill a sei mesi erano stati collocati al tasso dell’1,38% e quelli a 12 mesi al 2,20%. «La domanda elevata - ha sottolineato Wilson Chin, strategist di Ing ad Amsterdam al Sole24Ore - deriva dalla maggiore chiarezza sul piano di aiuti» dopo la definizione dell’entità dell’impegno dei partner della zona euro. «È un passo avanti che può contribuire a rasserenare i mercati, anche se la volatilità degli spread è destinata a continuare».

Luca Cazzulani, strategist di Unicredit ha definito, sempre sul quotidiano di Confindustria, comunque «incoraggiante» il fatto che i rendimenti dei titoli greci collocati oggi sia risultato inferiore al 5% per entrambe le scadenze. La prossima settimana è prevista una nuova asta a tre mesi: il forte aumento dei tassi nel collocamento di martedì rispetto all’asta precedente fa pensare, però, che solo il primo scoglio è stato superato. Le finanze greche devono, infatti, rassegnarsi a navigare in mercati turbolenti ancora per molto: entro la fine dell’anno Atene deve rifinanziare più di 50 miliardi di debito pubblico.

E come farà? Calcolando che le banche tedesche e francesi hanno in pancia obbligazioni elleniche per 120 miliardi di euro, viene da ridere. Se non da piangere. Una cosa è certa: il piano di salvataggio congiunto Ue-Fmi non sarà di 30 miliardi di euro ma almeno del doppio. Il perché é presto detto: non ci si può permettere un effetto Lehman, ovvero far fallire per non pagare dieci e poi dover pagare mille per il fallimento. Ma, soprattutto, perché non è politicamente accettabile creare un precedente, ovvero permettere alla Grecia un default controllato che la porti fuori dall’euro con una valuta legata da un peg con quella comune.

E sapete perché? Non perché non sia elegante ma perché a breve, se questo accadesse, sarebbe la Spagna a bussare alle porte di Bruxelles chiamandosi fuori dall’unione monetaria per non andare in fallimento. Le casse di risparmio spagnole sono al collasso totale, dovrebbero fondersi come chiesto dalla Banca centrale di Madrid per creare riserve sufficienti ma non lo fanno, sia per ego personale sia perché le varie regioni spagnole ne controllano quote sostanziali e non hanno intenzione di perdere potere.

Peccato che lo scherzetto, a occhio e croce, costerà alle case spagnole 43 miliardi di euro, almeno stando al report già preparato da Morgan Stanley in caso di worst scene scenario. Come dire, se le banche d’affari lavorano a questa ipotesi, vuol dire che se non è alle porte poco ci manca. Ma non solo le casse di risparmio piangono, in Spagna: per attirare clienti, quindi cash, Santander offre il 4% netto per un anno ai nuovi correntisti. E cosa fa l’antagonista BBVA? Offre il 4% ai clienti di Santander che decidono di chiudere il proprio conto e aprirne uno presso i propri sportelli.

Si chiama, nemmeno troppo in gergo, disperazione. E ne hanno ben donde gli spagnoli, visto che la bolla immobiliare lì è ben lungi dall’essere terminata: in America, infatti, le case si costruiscono durante i boom ma poi si abbattono anche, ricreando “spazio” al mercato. In Spagna no, restano lì, invendute e gravanti come macigni sugli assets bancari. Auguri a Zapatero, ne ha davvero bisogno. Ma a far riflettere non solo su come gira il mondo ma su cosa ci aspetta, ci pensa la Polonia, il cui governo è stato decapitato nell’incidente aereo del 10 aprile ed entro la metà di giugno tornerà alle urne.

Ebbene, alla chiusura del 13 aprile il cds sul sovereign debt di Varsavia era sceso a 99 dai 104 del 9 aprile, il giorno precedente all’incidente, lo stesso in cui la banca centrale del paese, il cui direttore è deceduto nello schianto, aveva svalutato lo zloti per l’ennesima volta a causa del forte apprezzamento verso l’euro garantito dall’ottimo dato di crescita della nazione, il 4,3%. D’altronde, la Polonia è paese sano e con conti relativamente in ordine, il suo Pil era l’unico in positivo nel 2009, l’agganciamento dello zloti all’euro permetteva competitività altrimenti erosa dall’appartenenza alla moneta unica, l’inflazione alta - oltre il 3,5% - spaventava fino a un certo punto, visti i chiari di luna generali e i rischi deflattivi.


Eppure, guardate i grafici del cds: il costo, in punti base, per assicurarsi da un possibile default polacco sul debito era cominciato a crollare come un sasso da almeno un mese, sui mercati qualcuno vedeva il mix di sanità economica e potenzialmente avvicinamento all’introduzione dell’euro come un combinato congiunto su cui scommettere. Eppure, il governatore della banca centrale era contrario a un ingresso troppo rapido nella moneta unica, lo aveva anche scritto in una lettera-articolo che il Financial Times ha pubblicato postuma lunedì 12.

GRAFICO (cds sulla Polonia a 5 anni) http://www.ilsussidiario.net/img/grafici/Bottarelli_150410_1_jpg.gif

Poco male, a quanto pare il suo parere non spaventava i mercati. Dall’attentato in poi, come potete vedere, i cds a 5 e 10 anni sono scesi ancora: insomma, nella migliore delle ipotesi agli investitori il fatto che un paese resti senza mezza classe dirigente non interessa affatto. Nella peggiore, a livello di cinismo, fa “piacere”. Attenzione, quindi, a valutare le notizie nel giusto modo e a leggere la realtà tra le righe: non ci sono in ballo solo gli 1,38 trilioni di metri cubi di gas non convenzionale del baltico su cui americani e canadesi volevano mettere le mani, ma l’ingresso anticipato del paese nell’euro, una scelta eterodiretta o eterodesiderata - passatemi il neologismo - sopra la testa non solo della volontà popolare polacca ma anche delle linee guida della sua banca centrale.

GRAFICO (cds sulla Polonia a 10 anni) http://www.ilsussidiario.net/img/grafici/Bottarelli_150410_2_jpg.gif

«Il nostro impegno, lavoro e agenda non cambieranno», ha detto il vice-direttore dell’istituto, di fatto oggi reggente in pectore. Ne siete sicuri? Qualcuno, là fuori, aveva cominciato a scommettere sulla Polonia europea almeno un mese fa, abbattendo a livelli impressionanti il valore del cds dal picco di febbraio. Cos’era accaduto a febbraio? Scioperi negli ospedali polacchi con rischio di licenziamenti, dato sulla disoccupazione in crescita fino al 2012 e dato sull’inflazione sopra le previsioni degli analisti: insomma, detto tra noi e fuori dai denti, proprio nulla che possa spaventare chi da anni sta sui mercati e “gioca” col debito.

A febbraio era stata però resa chiara la volontà del paese di non entrare troppo in fretta nell’euro: appena svanite alcune riserve, con metà governo pronto a trattare e l’economia che pompava, il cds si è sgonfiato come un sufflè venuto male. Mondo, economia e politica girano così, funzionano così. E noi possiamo davvero farci poco. Attenti alla Spagna, nonostante Fitch abbia tentato il blitz sul Portogallo abbassando il rating, è Madrid a dover avere paura. E farci paura.