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Tipping points: prevenzione e cura

di Gianfranco Bologna - 23/04/2010


 

A valle della Giornata della Terra (Earth Day) celebrata ieri, 22 aprile, in tutto il mondo credo sia utile, una volta di più, riflettere sulle numerose ricerche che si stanno producendo nel campo delle scienze del sistema Terra e che ci aiutano a comprendere la dimensione del nostro ruolo e del nostro impatto su questo straordinario pianeta. Uno dei temi più interessanti che la ricerca scientifica ha negli ultimi tempi approfondito in questi campi, è quello dei cosiddetti Tipping points, cioè i punti critici, che possono essere toccati in diverse aree del nostro pianeta.

Si tratta di situazioni che potrebbero sorpassare una vera e propria "soglia critica", per cui il verificarsi di una piccola perturbazione potrebbe qualitativamente alterare lo stato o lo sviluppo del sistema provocando, a cascata, un'ampia scala di impatti sui sistemi umani ed ecologici. Le attività umane hanno, infatti, la potenzialità di far transitare i sistemi naturali verso altri stati che possono, purtroppo, produrre effetti negativi per le società umane stesse.

Questi fenomeni sono descritti come punti critici, seguendo la nozione popolare che, in un particolare momento nel tempo, un piccolo cambiamento può provocare conseguenze ampie e di lungo termine, come ricorda il detto "piccole cose possono produrre grandi differenze".

Alcune ricerche pionieristiche sui punti critici del sistema climatico hanno individuato oltre una decina di aree o fenomeni sui quali la nostra attuale conoscenza indica la possibilità del sorpasso di una soglia critica, in archi temporali differenti. Il fatto che alcune di queste situazioni, sottoposte ad un continuo cambiamento climatico antropogenico, possano raggiungere il loro punto critico in tempi relativamente brevi, pone un serio problema al mondo politico economico, per quanto riguarda la pronta reazione necessaria.

Le ricerche sul concetto di punto critico si sono estese oltre l'analisi dei fenomeni  nell'ambito del sistema climatico e sono state avviate anche sul fronte degli aspetti ecologici che, ovviamente, presentano molti incroci con la situazione climatica.

Il nuovo "Global Biodiversity Outlook 3", il rapporto sullo stato della biodiversità  nel mondo che le Nazioni Unite, attraverso la Convenzione sulla Biodiversità, presenteranno in occasione del 22 maggio (Giornata mondiale della Biodiversità) e che ho avuto occasione di leggere nei documenti preparatori, si sofferma molto sul concetto dei punti critici ecologici del nostro pianeta e ne ricorda opportunamente le caratteristiche.

Un punto critico costituisce una situazione in cui i cambiamenti nelle funzioni di un ecosistema sono così significativi da produrre un impatto importante sulla biodiversità e sulla capacità di proseguire ad offrire servizi ecosistemici, sia a scala regionale che globale. Infatti l'effetto delle nostre pressioni sugli ambienti (come la trasformazione di habitat, il mutamento climatico o l'inquinamento) è amplificato dai feedback positivi che ne costituiscono drammaticamente una sorta di circolo vizioso (ad esempio, la deforestazione che riduce le precipitazioni a livello regionale, che incrementa il rischio di incendi e causa il progressivo disseccamento della foresta e l'ulteriore scarsità idrica in un drammatico loop perverso). I cambiamenti indotti sono realmente difficili da invertire e l'accelerazione temporale può essere veramente repentina.

Possiamo prendere, come esempio, il problema della foresta tropicale amazzonica, sul quale da tempo, si è concentrata la ricerca interdisciplinare di tanti scienziati, coordinati nel cosiddetto The Large-Scale Biosphere-Atmosphere Experiment in Amazzonia, iniziativa rientrante nei programmi di ricerca internazionale sui cambiamenti globali dell'Earth System Science Partnership. Questa straordinaria foresta ricca di biodiversità è, nel suo complesso, strettamente collegata al clima mondiale e sono stati resi numerosi studi e rapporti su questa problematica analizzata da diversi scienziati e, in particolare, dal noto ecologo Daniel Nepstad, del prestigioso Woods Hole Research Centre statunitense.

Innanzitutto la foresta influenza il clima agendo, a livello del suolo, come un gigantesco consumatore del calore, assorbendo, attraverso l'evaporazione dell'acqua, tramite le foglie, metà dell'energia solare che la raggiunge (la maggior parte dell'energia contenuta nell'acqua viene rilasciata quando il vapore si condensa per costituire le nuvole e la pioggia e questo meccanismo rappresenta uno dei principali motori della circolazione atmosferica mondiale). Inoltre l'Amazzonia rappresenta un grande serbatoio di carbonio, che però viene rilasciato nell'atmosfera tramite la deforestazione, le siccità e gli incendi, e contribuisce quindi all'accumulo di gas atmosferici a effetto serra, che, a loro volta, causano il riscaldamento globale.

Infine, l'acqua che defluisce da queste foreste nell'Oceano Atlantico rappresenta il 15-20% del deflusso fluviale globale totale e potrebbe essere sufficiente per influenzare alcune delle grandi correnti oceaniche che, da sole, rappresentano degli importanti regolatori del sistema climatico globale. La conservazione della foresta amazzonica è quindi necessaria anche per mantenere una sorta di stabilizzazione del clima mondiale.

L'Amazzonia si trova oggi all'apice di un periodo di drammatiche trasformazioni dovute ai cambiamenti climatici. Il riscaldamento globale, secondo alcuni modelli previsionali, potrebbe infatti ridurre le precipitazioni nell'Amazzonia orientale di più del 20%, aumentando contemporaneamente la temperatura generale dell'intera regione di più di 2°C, forse addirittura di 8°C, entro la fine del secolo se non si interverrà seriamente con drastiche riduzioni delle emissioni di gas a effetto serra.

Gli studiosi prevedono che le siccità più gravi si verificheranno nell'Amazzonia orientale e, unitamente alla tendenza al riscaldamento, potrebbero essere rinforzate dal cosiddetto dieback (il disseccamento della foresta, una sorta di tracollo) su larga scala delle foreste pluviali di questa regione, che verrebbero sostituite da una vegetazione semi-arida, simile a quella presente negli ambienti di savana.

Infatti nei prossimi 15-25 anni, molti dei cambiamenti attualmente in corso in Amazzonia potrebbero portare a un'ampia conversione e al degrado di quelle foreste, ben oltre il dieback di fine secolo, previsto per la foresta da alcuni modelli. Gli attuali trend relativi all'espansione di agricoltura e allevamento, agli incendi, alla siccità e al taglio illegale di legname potrebbero far sparire o danneggiare gravemente il 55% della foresta pluviale amazzonica entro il 2030.

Il grave ed esteso degrado della foresta potrebbe subire un'accelerazione legata all'influenza sinergica di alcuni circoli viziosi di feedback esistenti fra, e all'interno degli ecosistemi e il clima stesso della regione amazzonica. Se la foresta amazzonica dovesse raggiungere il suo punto di non ritorno, le prospettive della sua  conservazione diminuirebbero enormemente, mentre aumenterebbero la perdita di biodiversità e le emissioni di gas serra della regione.

Il punto di non ritorno ecologico  potrebbe essere raggiunto quando le foreste native,  che offrono resistenza agli incendi, saranno degradate in arbusti facilmente incendiabili a causa dei ripetuti danneggiamenti legati a siccità, attività di taglio o combustione. Tale punto di non ritorno viene favorito dai circoli viziosi legati gli incendi di questa regione. Le foreste bruciate risultano più suscettibili a ulteriori incendi, in quanto gli alberi bruciati permettono la penetrazione di una maggiore quantità di luce solare all'interno della foresta, facendo seccare le foglie morte e i rami sul terreno. Dopo un incendio la foresta viene invasa da erbe, felci e bambù infiammabili e tale invasione rinforza il circolo vizioso della combustione aumentando la quantità di materia "combustibile" presente sul terreno della foresta. Il punto di non ritorno ecologico viene favorito da alcune pratiche agricole, strettamente connesse agli incendi, che forniscono grandi quantità di fonti di combustione, come l'allevamento di bestiame e l'agricoltura basata sul taglio e l'incendio della vegetazione.

Il punto di non ritorno climatico viene raggiunto inoltre quando la deforestazione, i fumi, le anomalie della temperatura della superficie del mare, come gli episodi di El Niño, e lo stesso riscaldamento globale inibiscono le precipitazioni su scala regionale. Tale punto di non ritorno climatico si perpetua da solo in automatico, in quanto favorisce il degrado e la combustione delle foreste, che a loro volta riducono l'emissione di vapore acqueo e aumentano quella di fumi nell'atmosfera, due azioni che diminuiscono le precipitazioni. L'inibizione delle precipitazioni dovuta alla deforestazione sembra diventare più forte quando il disboscamento supera il 30%.

La deforestazione dell'Amazzonia potrebbe accelerare in futuro a causa di due trend principali. Primo, la crescente richiesta mondiale di soia, biocombustibili e carne sta aumentando il rendimento delle produzioni derivanti dall'agricoltura e dall'allevamento in Amazzonia, rafforzando così gli incentivi per gli agricoltori e gli allevatori a convertire le loro riserve forestali, richieste legalmente, in terreni agricoli e pascoli. Secondo, il rischio di incendi accidentali scoraggia i proprietari terrieri dall'investire in piantagioni di alberi sensibili al fuoco, in una gestione forestale o in miglioramenti dei pascoli, rinforzando la dipendenza dall'allevamento estensivo di bestiame (con basse densità di vegetazione per pascolo) e dall'agricoltura basata sul taglio e l'incendio della vegetazione che, di contro, aumentano ulteriormente il rischio di incendi accidentali.

Il degrado su larga scala delle foreste amazzoniche potrebbe accelerare la   degenerazione climatica globale, influenzando le precipitazioni in luoghi lontani del pianeta. Le previsioni fatte per il 2030,  prevedono l'emissione di 15-26 miliardi di tonnellate di carbonio nell'atmosfera, equivalenti a 1,5-2,6 anni delle attuali emissioni mondiali di carbonio. Un'ulteriore distruzione della foresta amazzonica porterà a un'anticipazione dei cambiamenti nelle precipitazioni in altri luoghi del pianeta. Alcuni modelli indicano che in India e in America Centrale le precipitazioni potrebbero diminuire e che nelle cinture del grano del Brasile e degli Stati Uniti si potrebbe verificare una diminuzione delle precipitazioni durante la stagione di crescita dei raccolti.

Si potrebbe invece innescare un circolo virtuoso ecologico. Entro 15 anni, la maggior parte delle terre degradate dell'Amazzonia, se protetta dal fuoco, potrebbe tornare con un evoluzione naturale allo stato di foresta chiusa,  recuperando la funzione di stabilizzatore delle precipitazioni della foresta primaria. Ogni anno trascorso senza incendi diminuisce l'infiammabilità della foresta e aumenta la quantità di nuvole cariche di pioggia che formano vapore che si accumula nell'atmosfera.

Nel circolo virtuoso climatico il ripristino della produzione di vapore acqueo della foresta (traspirazione) su ampi paesaggi per mezzo della ricrescita forestale e della messa a dimora di alberi, unitamente alla riduzione degli incendi, porterebbe un aumento delle precipitazioni che, a sua volta, faciliterebbe il ripristino forestale con un'ulteriore riduzione degli incendi.

Due circoli virtuosi economici  potrebbero coinvolgere mutamenti nel comportamento dei proprietari terrieri al fine di ridurre l'incidenza degli incendi incrementando la conformità alla legislazione in materia di utilizzo del suolo. Primo, i mercati richiedono sempre maggiori prestazioni sociali e ambientali da parte dei coltivatori e degli allevatori che, in risposta, promuovo campagne volte ad aumentare la legalità e le prestazioni socio-ambientali delle loro aziende agricole e allevamenti. Un'applicazione su un piano paritario e l'obiettivo comune di un maggiore accesso ai mercati di merci remunerative sta provocando un aumento degli investimenti nei campi della prevenzione degli incendi, del ripristino delle foreste delle zone riparali e della conformità ai requisiti richiesti per le riserve forestali su terreni privati. Secondo, i molti proprietari terrieri che sono riusciti con successo a mettere a dimora specie pirofite e a organizzare sistemi di gestione forestale e pascoli ottimizzati sui loro terreni tendono a utilizzare in misura minore il fuoco come strumento di gestione, investendo maggiori cifre nella prevenzione degli incendi. Questi proprietari terrieri, inoltre, incoraggeranno i loro vicini a prevenire gli incendi incidentali, si spera fino al momento in cui si raggiungerà un punto di svolta oltre il quale i produttori che utilizzano il fuoco diventeranno una sempre più esigua minoranza.

Una gestione sostenibile del legname e la concreta applicazione delle politiche e dei programmi di utilizzo del suolo esistenti all'interno dell'Amazzonia brasiliana e un'estensione di tali politiche e programmi agli altri paesi amazzonici potrebbero dimezzare la deforestazione. Per esempio, il Programma per le Aree protette dell'Amazzonia (ARPA) e i processi partecipatori di pianificazione regionale in preparazione per gli investimenti nelle infrastrutture hanno già contribuito, nei soli 2004 e 2005, alla creazione di 23 milioni di ettari di nuove riserve, con conseguente riduzione della disponibilità della terra sulla frontiera amazzonica brasiliana e del tasso di deforestazione.

Siamo ancora in tempo per ridurre il rischio di un diffuso degrado della foresta amazzonica e di un'accelerazione del riscaldamento globale che esso provocherebbe. È necessario cogliere tutte le opportunità per regolare l'espansione della frontiera amazzonica. Uno degli approcci più promettenti alla conservazione su larga scala delle foreste amazzoniche consiste proprio nel compensare le nazioni tropicali per la loro riduzione delle emissioni di gas a effetto serra dalle foreste tropicali.

Quindi tutti quelli che vengono oggi definiti punti critici potrebbero essere, con opportune politiche di sostenibilità, in qualche modo neutralizzati. E fondamentale studiarli sempre di più e, nello stesso tempo, proporre le soluzioni migliori per cercare di disinnescarne gli effetti perversi provocati dal nostro intervento.