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Geotermia sul Monte Amiata, una storia di distruzione

di Carlo Carlucci - 23/04/2010


Torniamo a parlare di geotermia, questa volta attraverso le parole di Carlo Carlucci, testimone dell'attività dell'Enel sul monte Amiata. Un'operazione definita insostenibile da più parti, che ha trovato l'opposizione di comitati locali e ambientalisti. Ma che nonostante tutto prosegue guidata da obiettivi di mercato, a scapito del territorio che, lentamente, sta contribuendo a stravolgere.



energia geotermica amiata
Nell’estate del 1958 si perforarono due pozzi e nel settembre del 1962 iniziò la produzione geotermoeletterica a Piancastagnaio, versante est del monte Amiata
Dopo l'appello di alcuni cittadini dell'Amiata pubblicato nelle scorse settimane, facciamo oggi un breve excursus in grado di tracciare a grandi linee qual è stata la storia della geotermia sul noto monte toscano.

Ripristinati gli impianti di Larderello distrutti dalla guerra - primo caso al mondo di sfruttamento dell'energia geotermica per la produzione di energia elettrica e primo generatore geotermico in Toscana sperimentato dal principe Piero Ginori Conti - , la società che gestiva la la struttura si impegnò nel reperimento di altre risorse geotermiche e, nel seguire la dorsale delle colline metallifere (lungo la quale via via sono sorte altre centrali geotermiche e su cui sorge il comune di Larderello), fu naturale giungere alla fonte per eccellenza e cioè al vulcano, l'Amiata.

Così, nell’estate del 1958 si perforarono due pozzi e nel settembre del 1962 iniziò la produzione geotermoeletterica a Piancastagnaio, versante est della montagna. Dallo Stato, allora titolare dei diritti di concessione mineraria, l’ente produttore reclamò di poter agire senza impedimenta e controlli di sorta. In pieno boom economico, di energia ce n’era bisogno eccome e quindi tutti i problemi legati alla capacità del territorio (notevolmente antropizzato) di tollerare quella ingombrante e crescente presenza non vennero presi in considerazione.

E non venne soprattutto preso in considerazione il tessuto geomorfologico del vulcano e il fatto che si trattasse di una struttura particolarmente delicata in quanto depositaria delle più ricche riserve idropotabili del centro Italia (Il nome Amiata infatti deriva da 'ad meata', le vie delle fonti, e coincide con un bacino d’utenza di circa 700.000 persone).

È da dubitare che gli ingegneri e i geologi Enel non avessero qualche serio dubbio che nello svuotare le sacche sotterranee di gas e vapori compressi, la conseguente diminuita pressione sulle falde di contenimento degli immensi serbatoi d’acqua all’interno del vulcano avrebbe alterato gravemente il sistema geomorfologico della montagna.

Ma la tendenza allo spopolamento delle aree montane e agricole in genere, accentuato sull'Amiata con la chiusura delle miniere (e l’estrema parcellizzazione catastale del suo coltivato), un incipiente degrado sia sociale che ambientale, l’assenza di una qualsiasi normativa di riferimento, tutti questi fattori hanno giocato in favore dell’Enel che è subentrata nel governo del territorio (i siti di suo interesse) con la politica del divide et impera, già adottata dall’ENI ai tempi delle miniere di mercurio.

A chi aveva a cuore il proprio territorio allora apparve subito evidente come le tecnologie di Larderello non fossero reimpiantabili così com'erano su un territorio assai più delicato e complesso (per il patrimonio acquifero sottostante e per la particolarità dell'ecosistema). Tuttavia, poco a poco, dalla cortina di ferro che da sempre circonda l’attività geotermica qualche notizia cominciò a trapelare: la gamma dei gas emessi liberamente in atmosfera era più vasta e pericolosa di quella di Larderello.

energia geotermica
La crisi petrolifera degli anni settanta, le riserve sull’alternativa del nucleare portarono come conseguenza a una impennata e ad una intensificazione dell’attività geotermica
La crisi petrolifera degli anni settanta e le riserve sull’alternativa del nucleare portarono come conseguenza a una impennata e ad una intensificazione dell’attività geotermica. E con l’apertura dei pozzi sul versante Est sul crinale tra S. Fiora ed Arcidosso si assistette ad un fenomeno allora inspiegabile, la perdita di portata anche del 90% di alcune sorgenti accompagnata dall’esaurirsi di tutte le sorgenti alte.

A poco o nulla servì la legge 896 sulle risorse geotermiche o gli “studi finalizzati” approntati dalla Regione Toscana, subentrata allo Stato come titolare dei diritti di concessione mineraria. Con le intese separate con due comuni l’Enel dilagò saltando a piè pari tutti gli ostacoli elevati da un fragile sistema normativo. Gli incipienti indizi di una gravissima crisi nell’acquifero vennero liquidati con la solita formula “evento naturale”, ovvero piove meno.

Su una bella e pregevole rivista amiatina, Amiata Storia e Territorio, sempre presente dalla fine anni ’80 in difesa del territorio e della popolazione, il suo fondatore Carlo Prezzolini nell’editoriale del numero 13 (aprile ’92) osservava il comportamento della Regione nei confronti di uno studio dell'Enel prima criticato e dopo approvato: “Allora forse prendono corpo le voci che girano sulla montagna per le quali la Regione avrebbe dato via libera allo sfruttamento intensivo della geotermia in cambio della rinuncia alla costruzione della centrale a carbone di Piombino…”. L'Enel, fedele alla promessa fatta, a Piombino bruciò oli (combusti) e nei campi sottostanti le due torri l’idea di una inchiesta per la moria di bovini da diossina non venne neanche presa in considerazione.

I dati drammatici attuali riguardano il collasso del bacino idropotabile che si è ridotto del 50% se non più, e il fatto che le già “purissime acque” presentano percentuali di arsenico ben oltre i limiti stabiliti dall’OMS. Per l’Enel il problema è liquidato al solito con la formula delle “cause naturali”. Per la Regione Toscana e le varie autorità preposte, in forza della legge triennale delle deroghe, l’acqua è “legalmente” potabile.

Nel dicembre 2006, alla scadenza della prima deroga, i membri del Comitato per l’ambiente hanno reclamato con una ventina di raccomandate al Presidente della Regione, ai vari assessori all’ambiente (Regione, Provincia, Comune, Comunità Montana), ai vari difensori civici etc. etc. che non venisse applicata un’ulteriore deroga senza che le condizioni della prima (ricerca delle cause, approntamento dei rimedi e messa in allerta dei cittadini utenti del servizio), previste dal dettato legislativo, non venissero attuate.


I dati drammatici attuali riguardano il collasso del bacino idropotabile che si è ridotto del 50% se non più, e il fatto che le già “purissime acque” presentano percentuali di arsenico ben oltre i limiti stabiliti dall’OMS
In cambio ci fu solo un abbozzo di interessamento da parte del difensore civico della Regione, niente di più. Così partì la seconda deroga triennale mentre l’arsenico andava in crescita esponenziale. Ora che siamo verso la fine della seconda ed ultima deroga, pare siano stati installati degli abbattitori, ma il veleno è sempre oltre i limiti. Ma li hanno messi in funzione?

Nel 2007 scadevano varie concessioni tra cui quella della Centrale di Bagnore, pare la più inquinante (per le emissioni) fra quelle in funzione in Europa. Questa centrale era stata messa in funzione quando non vi era la legge sulla Valutazione di impatto ambientale (VIA). I comitati per l’ambiente invocarono quanto meno, prima del rinnovo, che tale centrale venisse sottoposta alle procedure di adeguamento alla nuova normativa comunitaria.

Con una carambola tutta italiana la Regione concesse il rinnovo senza il rispetto di tali procedure. Ma non solo. Poiché al momento del rinnovo delle concessioni in scadenza era prevista anche l’approvazione di un raddoppio della produzione geotermoelettrica i comitati chiesero una pausa, un attimo di riflessione vista la drammatica situazione del bacino idropotabile. Niente da fare, l’Enel ricevette il permesso di raddoppiare a breve scadenza la produzione e successivamente di giungere quasi a tripicarla.

A questo punto iniziò un’azione martellante dei Comitati - tutti documenti reperibili dall’ATO Acquedotto del Fiora, ARPAT - vennero passate al vaglio le contraddizioni rilevate e denunciate in incontri pubblici. La Regione nominò come assessore all’ambiente Annarita Bramerini, prima assessore al turismo, amiatina DOC, volitiva e rampante.

Dopo incontri, scontri, liti, si scoprì persino che l’Enel pagava pro KW prodotto sulla base del prezzo del petrolio negli anni ottanta. Del resto, si sa, la sinistra - salve le debite eccezioni - pensa agli ideali e non al profumo dei soldi.

Allora il capogruppo dei verdi in Regione, Roggiolani, lanciò la geniale proposta: “Facciamoci pagare perbacco! L’Enel finora ci ha corrisposto un’inezia rispetto a quanto lucrato e poi investiamo nei controlli, obblighiamo il partner a una geotermia pulita, perbacco!”. Gli ambientalisti si opposero chiedendo certezze prima di autorizzare eventuali permessi per altre centrali.

Scacco matto. I soldi arrivarono, un contentino subito e il resto scaglionato sulla regola del do ut des (e sempre che ad Enel siano garantiti i certificati verdi e il diritto di riconvertire centrali a metano in centrali a carbone in proporzione dei kw geotermici considerati 'verdi'). L’agenzia regionale all’ambiente, la famigerata Arpat di Regime intanto comunicò ai quattro venti che l’Enel doveva aver messo i filtri anche ai pozzi neri e alle fogne, posto che l’aria era salubre come non mai (tuttavia nessuna prova è stata esibita da parte dell'Enel).

La dott.ssa Bramerini richiese normative sulle emissioni che l’ARPAT con strumentazione ENEL si incaricò di controllare.

geotermia centrale turbine
La dott.ssa Bramerini richiese normative sulle emissioni che l’ARPAT con strumentazione ENEL si incaricò di controllare
In un momento di picco della tensione tra Comitati e Regione, dopo che all’ENEL era stato concesso di tutto e di più, l’assessore regionale all’ambiente confermò quanto il Presidente Martini aveva sancito precedentemente: “L’ENEL non pianterà più nemmeno un chiodo finché una commissione di esperti internazionali, super partes, non avrà studiato a fondo tutte le connessioni e implicazioni della geotermia sull’Amiata”.

Convitati tutti allo storico teatro degli Unanimi (denominazione che era tutto un programma), in Arcidosso, si scoprì che la commissione degli esperti super partes era costituita da un pool di docenti del dipartimento di geologia e dintorni dell’Università di Siena (Facoltà voluta e sostenuta finanziariamente dall’Enel), tutti o quasi già al servizio dell’Enel anche come consulenti nelle varie cause risarcitorie tutte perse dall’ente. Le procedure di valutazione che normalmente avrebbero dovuto, a detta di esperti non pro-Enel, richiedere anni di indagini sono state magistralmente espletate nel giro di pochi mesi. Time is money.

Il direttore dell’ARPAT regionale ha snocciolato una serie di dati per rassicurare il pubblico che i fumi tossici non hanno mai superato i livelli di guardia; subito un rappresentante dei Comitati, con altri dati ARPAT alla mano, ha contestato punto per punto quei rassicuranti prospetti. Circa il programma per le analisi epidemiologiche una buffa e allegra figura con un cravattone debordante ha rassicurato tutti.

Le indagini si faranno, ma è molto probabile che l’incidenza di alcuni tipi di neoplasie tra la popolazione dell’Amiata sia dovuta a erronee abitudini alimentari: troppe salcicce, troppi pensionati che si annoiano e fumano oltre misura.

Intanto sono passati quasi due anni e di quelle analisi ancora non si sa nulla. I comitati hanno fatto in tempo ad invitare il Prof. Bates di una prestigiosa università USA, che ha messo in guardia sui pericoli da sovra esposizione all’acido solfidrico. Bazzecole per gli amiatini, essendo questo gas una componente singola di una ricca miscela di numerose altre sostanze tossiche. Mentre la velocissima, tempestiva risposta del pool di esperti nominati dalla Regione Toscana ha ovviamente sancito che criticità ambientali presenti sull’Amiata sono dovute tutte a cause naturali (piove meno, governo ladro!).

monte amiata geyser
Intanto sono passati quasi due anni e di quelle analisi ancora non si sa nulla
A scanso di equivoci, ovvero a scanso di future incriminazioni lo studio dell’Università di Siena aveva raccomandato che solo un accurato bilancio (entrate e uscite) dell’acquifero amiatino, con piezometri, pluviometri, controllo accurato dei prelievi alle varie fonti, avrebbe potuto consentire risposte certe ed esaurienti. Quel bilancio dell’acquifero sottoscritto dalla Regione Toscana nel 2001 non è mai stato portato a termine.

Nel frattempo da parte di un gruppo di residenti e da loro legale sono state appurate gravi lacune e inadempienze relative alle integrazioni di Valutazione di impatto ambientale presentate dall’Enel per la megacentrale Bagnore 4. E meno male perché per l’Arpat e la Provincia (Grosseto) tutto era a posto, anzi, l’eco-mostro era considerato di richiamo turistico (occuperà parte di un Sito di Interesse Comunitario e il WWF si è già mosso con le sue Osservazioni depositate in Regione).

Nel contempo il legale dei residenti ha costretto la Regione ad aprire un procedimento di autotutela relativamente alla centrale Bagnore 3, la cui concessione scadeva nel 2007 ed era stata prorogata al 2013 senza procedure di VIA.

In pendenza del procedimento di autotutela è intervenuto un Decreto Legislativo che dichiara lo sfruttamento geotermico di interesse nazionale e che tutte le scadenze delle centrali in funzione vengono prorogate al 2024. Il che significa che solo dopo quella data potranno essere sottoposte a Valutazione di Impatto Ambientale. Il procedimento di autotutela fatto aprire dai residenti, ovviamente, è stato subito chiuso.