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Prendere esempio dal Brasile

di David G. Victor - 29/04/2006

 

La necessità di petrolio è una condizione che deve essere controllata, non deve rappresentare una dipendenza. Sono necessarie efficienza, politiche moderate nei confronti delle energie alternative e una maggiore produzione. Il Brasile può mostrare la via da seguire a chi dispone di risorse energetiche

Il governo brasiliano sta celebrando la sua vittoria nella battaglia decennale per l'autosufficienza sul fronte petrolifero. Questo traguardo storico è motivo di festeggiamenti in un paese che ha lungamente pagato l’ingente costo dell’energia importata.

Le ripercussioni si fanno sentire anche negli Stati Uniti, dove gli attori politici stanno cercando di ridurre le importazioni più costose, svincolando il paese da un mercato altalenante e dall’approvvigionamento estero. Dobbiamo imparare la lezione. Il Brasile deve il suo successo non al fatto di aver considerato il petrolio come un elemento aggiuntivo, ma dall’averne aumentato la produzione e dall’essersi reso ancora più dipendente dal mercato mondiale.

Negli Stati Uniti buona parte dell’attenzione che è stata data all’approvvigionamento di combustibile dal Brasile si è focalizzata essenzialmente sull’ambizioso programma di sostituzione del petrolio con l’etanolo – ottenuto facendo fermentare lo zucchero prodotto localmente. La stampa Usa è stata invasa da storie sui famosi veicoli flex fuel che rendono possibile l’utilizzo dell’etanolo al posto del carburante convenzionale.

Spronati in parte dall’apparente successo del Brasile, i politici statunitensi stanno cercando di ottenere nuovi permessi per l’utilizzo dell’etanolo e i veicoli flex fuel stanno iniziando a prendere piede. L’impressione è che l’etanolo sia il vero protagonista di questo processo. In realtà, l’etanolo ricopre un ruolo abbastanza marginale nell’offerta energetica del Brasile. Rappresenta meno di un decimo di tutte le risorse energetiche liquide del paese.

La vera fonte dell’autosufficienza brasiliana è stata la sua straordinaria capacità di produrre più petrolio. Dopo la crisi petrolifera degli anni '70, quando la spesa del Brasile per le importazioni energetiche salì alle stelle, il governo spinse la Petrobras, la compagnia petrolifera statale, a cercare autonomamente nuove risorse energetiche.

La Petrobras ebbe successo, specialmente a livello nazionale, perchè aprì la strada alle tecnologie che rendono possibile l’estrazione del petrolio dai giacimenti che si trovano sotto il fondo marino, in acque molto profonde. A metà degli anni '70, il Brasile arrivava a malapena a produrre 180.000 barili di petrolio al giorno, importandone quattro volte tanto. Attualmente ne produce circa 2 milioni, riuscendo così ad essere autosufficiente. Il recente traguardo di autosufficienza viene ora celebrato con l’inaugurazione di una piattaforma, la P50. Quando la P50 raggiungerà la sua produzione massima, fra qualche mese, al Brasile apporterà da sola più di quando riesca a fare l'intero programma dell'etanolo.

L’autosufficienza brasiliana offre tre lezioni alla politica energetica degli Stati Uniti.

La prima è che l’etanolo, con le attuali tecnologie a disposizione, non sarà certo l’elemento determinante per recidere la nostra dipendenza dall’energia importata. L’attuale approccio è quello di coltivare lo zucchero in Brasile e il mais negli Stati Uniti, per poi farli fermentare e ottenere il combustibile. Le piante di zucchero nel clima brasiliano riescono a convertire meglio la luce del sole in biomassa rispetto al mais nel Midwest. Tuttavia, la politica statunitense incentiva la coltivazione di grano (e impone tariffe sullo zucchero importato) perché il programma mira ad ottenere voti vitali per il paese – piuttosto che produrre un combustibile commercialmente proficuo. Nonostante il clima del Brasile ed una conformazione del suolo adatta alla coltivazione di zucchero, la produzione di etanolo sta raggiungendo la sua soglia massima. Questo perché la terra e le risorse utilizzate per la produzione di etanolo potrebbero essere investite per altri scopi, quali la coltivazione di alimenti e di prodotti agricoli destinati al mercato. Attualmente il governo brasiliano sta riducendo la quota di etanolo da mescolare alla benzina perché i coltivatori di zucchero preferiscono guadagnare di più vendendo il loro prodotto sul mercato mondiale, piuttosto che farlo fermentare nell’alcol. Le nuove tecnologie, che lavorano sulle “biomasse cellulosiche”, potrebbero incentivare l’uso dell’etanolo da sostituire al petrolio. La biomassa cellulosica è interessante perché taglia i costi facendo fermentare tutta la pianta nel combustibile, la cellulosa presente nello stelo, il chicco o lo zucchero. I promotori di tale tecnologia, tra cui figura anche il presidente Bush grazie al suo discorso annuale sullo stato dell’Unione, hanno confuso l’allettante promessa di questo nuovo approccio nei confronti dell’etanolo con la realtà concreta del mercato energetico. I programmi di produzione della biomassa cellulosica, al momento, possono essere attuati solo in determinate circostanze. Nessuno è finora riuscito a produrre su scala industriale la quantità di combustibile necessaria a rendere commerciabili tali tecnologie.

Seconda lezione: dovremmo imparare fin da ora che la forza principale per allentare il mercato petrolifero mondiale è il petrolio stesso. Possiamo ottimizzare lo sfruttamento del petrolio con una tassa sul carburante o con un’oculata economia energetica. Ma possiamo anche riuscire a produrre più petrolio, come ha fatto il Brasile con la sua Petrobras. Il problema principale degli attori politici statunitensi è che le risorse più ricche per la nuova produzione si trovano al di fuori degli Stati Uniti e del loro diretto controllo. Infatti, il governo brasiliano ha reso la Petrobras più produttiva, allentando il controllo su di essa. Quando lo stato ha venduto parte della azioni della compagnia, automaticamente ha accettato le procedure di contabilità occidentali e le relative restrizioni, dando a Petrobras autonomia e affidandone la contabilità ai nuovi azionisti, che in cambio hanno contribuito a rendere la Petrobras più efficiente. Abbiamo interesse a vedere altri paesi intraprendere lo stesso percorso: l’Algeria, il Messico, l’Iran e la Russia. Ma non possiamo trascurare il fatto che il Brasile abbia agito autonomamente, in risposta alle pressanti richieste interne di riforma, e con una minima influenza da parte dei governi stranieri. Abbiamo interesse a vedere altri paesi intraprendere lo stesso percorso: l’Algeria, il Messico, l’Iran e la Russia. Ma non possiamo trascurare il fatto che il Brasile abbia agito autonomamente, in risposta alle pressanti richieste interne di riforma, e con una minima influenza da parte dei governi stranieri.

Terzo, dovremmo prendere esempio dal Brasile per non confondere una maggiore autonomia energetica con l’illusione di una totale indipendenza. Il Brasile, pur essendo autosufficiente, paradossalmente è diventato sempre più dipendente dai mercati mondiali. Questo perché il governo brasiliano ha diminuito il controllo sui prezzi, in modo da renderli più accessibili al mercato mondiale. Perciò i brasiliani si rendono conto di quali sono i prezzi reali quando si trovano ad un distributore di benzina. Le loro decisioni su quale vettura acquistare e su quanta strada percorrere riflettono i costi reali e il rendimento del carburante che consumano. Questo è il motivo per cui, anche se il paese è autosufficiente, i brasiliani devono prestare sempre più attenzione al consumo del carburante, perché i prezzi della benzina aumentano ogni giorno di più.

La necessità di petrolio è una condizione che deve essere controllata, non deve rappresentare una dipendenza. Sono necessarie efficienza, politiche moderate nei confronti delle energie alternative quali l’etanolo, e una maggiore produzione – tutti strumenti di chi gestisce le risorse, non di chi ne è dipendente. Il Brasile può mostrarci la strada, ma solo se impariamo la lezione.



David G. Victor è un Membro Senior per la sezione Scienza e Tecnologia presso il Comitato sulle Relazioni Estere (CFR - Council on Foreign Affairs).


 

Fonte: http://www.motherjones.com/commentary/columns/2006/05/learning_from_brazil.html
Traduzione a cura di Maria Chiara Parollo e Martina Giorgi per Nuovi Mondi Media