L'economia italiana in mano ai... Draghi
di Luigi Tedeschi - 29/04/2006
Fonte: italicum
Fatti e misfatti di Bankitalia.
Il 2005 ha segnato una svolta nella politica italiana: le dimissioni di Fazio da Bakitalia e la nomina alla presidenza di Draghi è stato l'evento culminante di una lunga stagione politica iniziata nel '92/'93 con tangentopoli, che ha visto il progressivo smantellamento delle strutture politico – economiche nazionali a favore del capitalismo finanziario globale. Tale evoluzione dell'Italia, è esaltata dai media e dalla classe politica, come un fase del coinvolgimento dell'economia italiana nel processo di globalizzazione mondiale che non tollera ostacoli al primato del dell'occidente capitalista dominato dagli USA. La vicenda Fazio, legata alla scalata degli immobiliaristi e della Unipol alle banche Antonveneta e BNL e della difesa ad oltranza messa in atto dall' ex governatore per impedire l'ingresso di banche straniere nel sistema lobbistico italiano, si riassume in uno scontro frontale tra i gruppi della finanza italiana (sostenuta dai partiti di sinistra e dalla Opus Dei), e quelli legati al capitalismo laico e internazionale. La vittoria di questi ultimi, sancita dalla nomina di Draghi a governatore di Bakitalia, apre nuovi scenari in tema di controllo del sistema creditizio italiano da parte della finanza trasversale di gruppi quali Bilderberg, Rothschild, Goldman Sachs. E'dunque d'obbligo una riflessione sul ruolo politico-istituzionale ricoperto da Bankitalia, alla luce del quale possono essere comprese le logiche e le conseguenze relative a questo scontro tra “poteri forti”. Bankitalia, a seguito del varo dell'euro, non è più istituto di emissione monetaria e, dopo il trattato di Maastricht, non ha più il potere di determinare i tassi d'interesse.
A parte la sua funzione di controllo sul credito e sul risparmio, peraltro esercitata in modo alquanto discutibile (come testimoniano i vari scandali dai bonds argentini, a Cirio e Parmalat), la sua azione è puramente esecutiva delle direttive della BCE. In questo contesto, in una Italia privata della sovranità economica e monetaria, i compiti di Bankitalia sono nei fatti indefiniti. Essa ha esercitato, nella realtà, dopo la nascita della UE, il ruolo di influenza finanziaria su ispirazione dei gruppi di pressione palesi ed occulti, impartendo direttive prammatiche ai governi nella relazioni annuali del governatore. Questo nuovo ruolo, determinante nella politica italiana, si è affermato di fatto dagli anni di tangentopoli e i governi “tecnici” susseguitisi (da Dini a Ciampi che non a caso è divenuto Presidente della Repubblica), sono stati diretta emanazione di Bankitalia. Essa è stata protagonista del mutamento istituzionale realizzatosi in Italia che ha comportato il primato della economia finanziaria nel governo del Paese. Tramite Bankitalia quindi, si è affermato un potere politico indipendente dal consenso popolare. Sin dalla nascita della Repubblica, l'istituto ha svolto le sue funzioni in piena autonomia rispetto alla politica, come previsto dal suo statuto, ma il suo ruolo istituzionale è svincolato dallo Stato, dato che il Tesoro non ne controlla la maggioranza delle quote.
Bankitalia è controllata dalle grandi banche quali Unicredito, Intesa, Capitalia, San Paolo. Finché le banche d'interesse nazionale erano controllate dallo Stato tramite l'IRI, il potere statuale aveva un'influenza determinante sull'istituto, ma poiché il sistema bancario (già controllato dallo Stato per il 70%), è stato privatizzato, Bankitalia è oggi un organo di vigilanza i cui soci, in aperto conflitto di interesse, vigilano su se stessi. La sovranità economica è dunque delegata ad un organismo privato e la mancata tutela del risparmio evidenziatasi negli scandali degli ultimi anni ne è la prova. In tali circostanze infatti, le banche, tramite la conversione dei loro crediti in titoli ceduti ai risparmiatori, hanno riversato il rischio sui cittadini, che si sono trovati ad essere spogliati dei loro risparmi.
Ciampi e Draghi: i protagonisti dello Stato svenduto e “privatizzato”
Bankitalia è stata protagonista della politica di privatizzazione delle partecipazioni statali inaugurata da Ciampi nel '92. tali politiche hanno portato allo smantellamento dei settori strategici dell'industria, della ricerca, alla fine degli investimenti nelle grandi opere pubbliche. Ciampi nel '92, per fare fronte ad una manovra speculativa perpetrata da Soros, per porre un argine alla svalutazione della lira, prosciugò le riserve valutarie per ben 100.000 miliardi di lire. In seguito ebbe luogo il summit sul panfilo Britannia, cui partecipò, tra glia altri, Mario Draghi, quale direttore generale del Tesoro ed esponenti delle banche Berings, Waburg, Barclay, ecc, ove fu deliberata la privatizzazione delle partecipazioni statali e vennero conclusi accordi circa la svalutazione della lira. Infatti, le privatizzazioni furono realizzate dopo una svalutazione della lira del 30% circa, quindi a condizioni di svendita fallimentare da parte dello Stato. Oggi si attribuisce a Draghi il merito di aver concluso dismissioni per 182.000 miliardi di lire, che costituirono entrate sufficienti a far diminuire il debito pubblico dal 125% al 110% del Pil. Occorre osservare che, mentre la voragine del debito pubblico ha continuato a riprodursi incessantemente, le entrate derivanti dalle dismissioni servirono a ricostituire parte delle riserve valutarie già bruciate nei mercati finanziari.
L'entrata in vigore dell'euro e il “patto di stabilità” hanno accentuato la politica delle dismissioni: i Paesi maggiormente indebitati (vedi Italia), alfine di rispettare i parametri deficit/Pil imposti dalla UE, sono costretti periodicamente a ricorrere alla cessione di quote cospicue del loro patrimonio economico. Si tratta, tuttavia, di entrate una tantum a fronte di decrementi di risorse strutturali: è questa una strategia che alla lunga conduce al sottosviluppo.
Nel curriculum di Draghi viene ascritta la emanazione del Testo Unico della finanza che contempla l'obbligo dell'Opa totalitaria per gli acquirenti di una quota di una società che superi il 30%. Pertanto, chi lancia un'Opa acquista azioni ad un prezzo uguale a quello dei piccoli risparmiatori. L'Italia nel '92 fu oggetto di una campagna diffamatoria ordita dall'agenzia di rating Moody's che declassò la Fiat e soprattutto i Bot italiani, contribuendo in modo determinante alla svalutazione della lira. Esplicati di tale situazione sono le dichiarazioni di Reginald Bartholomew (ambasciatore americano a Roma): “Continueremo a sottolineare ai nostri interlocutori italiani la necessità di essere trasparenti nelle privatizzazioni, di proseguire in modo spedito e di rimuovere qualsiasi barriera agli investimenti esteri”. Fece così ingresso in Italia la cultura liberista, che vedeva le privatizzazioni come strumento di sviluppo dei mercati mondiali e incitava i risparmiatori al disinvestimento dei titoli di Stato a favore dei fondi di investimento internazionali, del mercato azionario e obbligazionario. A quel tempo Draghi si rese responsabile della immissione del debito pubblico nei mercati finanziari, facendo lievitare l'indebitamento italiano verso l'estero, oggi assai rilevante, mentre precedentemente la sua quota era esigua rispetto a quello interno. Dai media apprendiamo che Draghi ebbe il merito di contribuire a far crescere la capitalizzazione della Borsa italiana del 400%. Tuttavia, il trasferimento del risparmio italiano nei mercati finanziari internazionali ebbe l'effetto di privare l'economia italiana di ingenti risorse necessarie allo sviluppo e contribuire a minare la credibilità e la fiducia dei risparmiatori assoggettati al rischio dei mercati. La successiva creazione della previdenza integrativa e la riforma del Tfr sono varie fasi che delineano un processo di liberalizzazione ed esproprio di risorse a danno delle imprese e dei lavoratori.
L'ombra di Goldman Sachs sull'Italia
Attraverso le privatizzazioni furono smantellati settori trainanti dell'economia italiana: il settore agro-alimentare già dell'IRI (acquisito da gruppi inglesi, olandesi ed americani), il Nuovo Pignone dell'ENI, la siderurgia di Stato, l'Italtel, l'IMI. Furono inoltre privatizzate Telecom, Enel, ENI, già enti di Stato, ora attive e prossime alla vendita a multinazionali estere. Draghi, nel mondo finanziario, vanta un curriculum di prim'ordine, avendo operato nella banca Mondiale, nel gruppo Bilderberg, oltre ad essere stato vicepresidente della Goldman Sachs. Tale gruppo, già presente al summit del Britannia, ha ricoperto un ruolo essenziale nel processo di privatizzazione delle partecipazioni statali. Non si è allora autorizzati a sostenere che nella presenza di Draghi alla presidenza di Bankitalia sia ravvisabile un evidente conflitto di interessi, dato che egli, avendo ricoperto posizioni di vertice nella Goldman Sachs? Draghi, oltre che segretario del Tesoro tra il '91 e il 2003, presiedette nel '93 il Comitato per le privatizzazioni. Nello stesso periodo Goldman Sachs, tramite il fondo Whitehall acquisì nel 2000 l'ingente patrimonio immobiliare dell'ENI di San Donato Milanese, oltre agli immobili della Fondazione Carialo e, assieme alla Morgan Stanley quelli della Unim, Ras e Toro.
Altro consulente di rilievo della Goldman Sachs è stato Prodi, il quale, una volta asceso alla presidenza dell'IRI, realizzò la privatizzazione della Credit tramite la Goldman Sachs, che fissò il valore delle azioni a Lit. 2.075, meno del valore in borsa, che era di Lit. 2.230. Prodi, inoltre, ha concluso la cessione dell'Italgel (900 miliardi di fatturato) alla Nestlé per 437. Questo benefattore delle multinazionali si è reso inoltre responsabile della cessione della Cirio-Bertolli-De Rica (fatturato 110 miliardi, valutata 1.350), ad una fantomatica finanziaria lucana (FISVI) al prezzo di 310 miliardi (unica offerta), che ne garantì il pagamento con la futura alienazione di parte del gruppo stesso. La cessione venne effettuata successivamente nei confronti della Unilever, gruppo del quale Prodi era stato consulente. Denunce, indagini della procura non sortirono alcun risultato. Goldman Sachs (che ora afferma sarcasticamente che a noi italiani è rimasto solo cibo e turismo), è dunque il filo conduttore che lega il governatore Draghi a Prodi, probabile futuro premier. Tra l'altro, alla vicepresidenza di Goldman Sachs, lasciata vacante da Draghi è stato ora chiamato Mario Monti, ex commissario UE e uomo di fiducia dei poteri forti.
Politica ed economia nell'Italia “privatizzata”
La consapevole e colpevole assenza di coscienza dell'interesse e della dignità nazionale della classe politica italiana è palese a tutti. Alla sovranità nazionale si antepone l'interesse della lobby, del partito, del credo ideologico. La chiave di lettura della storia d'Italia degli ultimi 50 anni è questa: la visione ideologica e particolare si è sempre sovrapposta all'interesse nazionale, senza valutare la compatibilità tra l'una e l'altro. Già nel 1944, dal viaggio negli USA degli esponenti dell'azionismo italiano Mattioli, La Malfa, Cuccia e Sforza, latori di un memoriale in cui si delineava un'Italia antifascista, liberale e non comunista (un Paese che non esisteva se non nei deliri ideologici azionisti, ma comunque omologabile agli USA), si prefigurava il destino di un Paese che sarebbe stato governato di fatto da elites finanziarie che fossero garanti di un ordinamento subalterno agli USA e funzionale ai loro interessi. L'economia italiana è stata per 50 anni succube di Mediobanca e del capitalismo familiare. Il regime di economia mista si è realizzato mediante il controllo dello Stato sulle banche d'interesse nazionale, il cui ruolo è stato quello di procurare fondi alla grande industria privata. L'anomalia italiana è consistita nella subalternità dello Stato verso il grande capitale privato, le cui perdite ed errori imprenditoriali hanno gravato sulla finanza pubblica.
Dopo il crollo dell'URSS e l'avvento della globalizzazione tali equilibri vennero meno. Alla vecchia classe politica si sostituì quella di una sinistra ex Pci riciclata e convertitasi al credo liberista-finanziario, che potesse garantire la pace sociale necessaria all'instaurazione di un'economia liberista eterodiretta dalle multinazionali. La nuova classe politica divenne intermediario politico del neocapitalismo, mantenendo tuttavia i suoi privilegi nella sussistenza del movimento cooperativo (di diretta emanazione diessina), che contò a godere di protezione politica. Il recente fallimento della scalata della Unipol alla BNL è, con tutti i suoi risvolti giudiziari, un evento indicativo di una nuova trasformazione. Il neocapitalismo non necessita più di intermediari per preservare un ordine da esso istaurato. La fine di certo capitalismo nostrano cresciuto all'ombra della politica e del capitalismo assistito sotto le mentite spoglie delle Coop, sembra ormai imminente. Il neocapitalismo globale vuole gestire il potere economico in Italia, mediante una politica eterodiretta che nasce dal connubio tra Bankitalia, poteri forti e la coalizione di centro – sinistra prossima ventura. Prodi potrebbe essere il gestore provvisorio di un governo a tempo, cui potrebbe succedere un nuovo un nuovo “Partito Democratico” sostitutivo dell'Ulivo, sostenuto dalla grande industria, da una sinistra rinnegata e veltroniana, dalla cultura radical chic. Tale ipotesi è avvalorata dalle iniziative degli industriali (in primo luogo De Benedetti), circa la scelta dei nuovi futuribili ministri. Tra l'altro, in un vertice tenuto nell'autunno scorso tra i grandi personaggi internazionali della finanza, della politica e dell'industria, l'ospite d'onore Henry Kissinger ha affermato che il ruolo del Continente europeo è quello di “serbatoio di risparmio mondiale” occorrente al perseguimento degli obiettivi strategici americani per “l'esportazione della democrazia nel mondo”.
Da tutto ciò emerge che l'Italia è parte di un disegno strategico di colonizzazione perseguito dagli americani verso il Continente europeo. Ma l'Europa può esportare democrazia americana solo a prezzo della propria indipendenza. Infatti la democrazia ha una propria ragion d'essere solo in un ordinamento libero e sovrano, la sua espressione egemonica e mondialista presuppone il primato di un occidente che si rivela ogni giorno di più la tomba dell'Europa.