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Simboli e miti della tradizione sciamanica

di Università di Bologna - 03/05/2006

 

Convegno Internazionale di Studi

SIMBOLI E MITI DELLA TRADIZIONE SCIAMANICA

Bologna, Aula Prodi, Piazza San Giovanni in Monte, 3

4-5 maggio 2006

giovedì 4 MAGGIO 2006, ore 9,30

APERTURA DEL CONVEGNO

I SESSIONE

Presiede e introduce: Carla Corradi Musi

Carla Corradi Musi (Bologna)

Simboli e miti della tradizione sciamanica ugrofinnica e siberiana


Nell'originario sistema dei miti alla base dello sciamanesimo
ugrofinnico e siberiano l'ambiente naturale nelle sue varie
manifestazioni ha un ruolo di primo piano e assume ripetutamente
connotazioni totemiche. Altrettanto ricca è la simbologia relativa alla
flora e alla fauna sacre, al sole, al fuoco o all'acqua, caratterizzata
da una inconfondibile complementarità degli emblemi contrastanti, frutto
di un pensiero elaborato, troppo a lungo incompreso in Occidente.

Soltanto negli ultimi anni le cosiddette società avanzate hanno scoperto
l'importanza data dallo sciamanesimo, ancor oggi praticato in alcune
aree, a un rapporto equilibrato tra l'uomo e la natura, che implica un
codice di comportamento civile e morale di estremo interesse. Per quanto
concerne gli Ugrofinni, questo e altri caratteri basilari della loro
visione del mondo, come la concezione del "doppio" o quella del fenomeno
naturale della metamorfosi, trovano singolare riscontro non solo nella
letteratura e nell'arte, ma anche nella struttura delle loro lingue.

Pure nella tradizione indeuropea e nei rispettivi simboli e miti sono
presenti elementi tipologici affini a quelli dello sciamanesimo,
probabilmente in parte originari, come risulta dalle recenti ricerche
che stanno determinando una svolta rispetto alle precedenti
impostazioni. Certamente, però, gli Indeuropei non possedettero né
recepirono dall'esterno i caratteri strutturali del sistema sciamanico
di credenze ugrofinnico e siberiano, rispondente alle esigenze delle
popolazioni che lo crearono.

Mihály Hoppál (Budapest)

Mythology and Symbolism on Shamanic Drums

There are a number of myths and legends concerning Siberian shamanic
drums and their symbolism. The main aim of the present paper is to
explain some basic notions on the consecration of a new drum and about
the sacred meaning of the drawings on the surface of drums. One of the
latest new results of the research on Siberian shamanic drums is that
drums may serve as portable altars for the shamans and the drawings are
the representations of the world model in shamanic ideology. The cross
signifies the middle of the world which is nothing else but the place of
the shamanic rituals.

Amedeo Di Francesco (Napoli)

"Dal diario di uno studente errabondo": un altro garabonciás di Jeno
Dsida

Analizzo qui una seconda poesia che Jeno Dsida (1907-1938), poeta
insigne della letteratura ungherese di Transilvania, dedica alla figura
emblematica e misteriosa del garabonciás (studente negromante). E qui
intendo ancora una volta indagare sulla simbologia del profondo che
domina questo personaggio che appartiene alle antiche credenze del
popolo magiaro e che però ha subito profonde trasformazioni semantiche
nel corso della storia letteraria ungherese. È un incontro, quindi,
quanto mai felice di antropologia e letteratura dal quale scaturiscono
fattori decisivi della identità culturale ungherese. Questo chierico
vagante, infatti, anche in questo testo di Dsida è espressione di una
interiorità ungherese troppo a lungo e troppo spesso offuscata da
stereotipi che non ne rivelano la natura più autentica. E si sosterrà la
tesi, non del tutto azzardata, che il vagabondaggio di questo studente
particolare è evocazione continua della sorte storica di un popolo
continuamente in cammino e che si domanda problematicamente sul senso
del suo nomadismo.

Arianna Quarantotto (Caserta)

Gli enigmi dell'anima e il grabancijas croato di Ulderico Donadini

Un malinconico e visionario negromante si aggira per la Croazia, vagando
da Klek a Zagabria. È il grabancijas di Ulderico Donadini (1894-1923),
anima lacerata e inquieta proprio come il personaggio a cui dà vita.
Morto suicida a soli 29 anni, Donadini vive l'esperienza tragica dell'
espressionismo i cui motivi estetico-letterari sono sottesi nel romanzo
satirico Grabancijaseva putovanja (I viaggi del grabancijas, 1918). Il
nostro fascinoso personaggio vaga tra cielo e terra e carpisce i segreti
e le menzogne dell'uomo. Sono pagine di squisita raffinatezza poetica
quelle in cui il grabancijas, spirito puro, nato dalla fantasia di poeti
e scrittori e destinato all'eternità, tenta, invano, di essere compreso
dall'uomo accecato dalla fredda razionalità, dal denaro e dalla vanità.
Vive quindi il dramma dell'incomunicabilità ed è costretto a ritirarsi
nei boschi, accanto alle sorgenti d'acqua: qui si incontra con streghe,
fate, esseri gibbuti, al circolo magico, il Vrzino kolo, dove, dopo aver
frequentato le tredici scuole, acquisisce la conoscenza ultima delle
cose. Pallida e fragile creatura, dal volto patito come quello degli
uomini che sanno molto, il grabancijas di Donadini è un essere che,
sospeso tra il divino e il mortale, investiga e scruta negli abissi
della coscienza, dell'anima e del pensiero umano. Il testo croato,
pubblicato nel 2002, si struttura su tre macrosequenze: nella prima il
grabancijas si scontra con una burocrazia asservita al potere e al
denaro; nella seconda descrive la città di Zagabria e la sua
architettura facendo parlare finestre, facciate, muri che raccontano, in
toni delicati, amori e delusioni di chi vi abita; la terza - dai toni
davvero surreali - è un dialogo tra cose, animali e persone, tutti
dotati di un'anima.

Zsuzsanna Rozsnyói (Bologna)

La metamorfosi del mito del cervo nella letteratura ungherese moderna

Tra i miti sull'origine degli ungheresi il più noto è senz'altro quello
relativo al cosiddetto "cervo miracoloso". Riportato nelle cronache
medievali, esso narra che a guidare i due cacciatori, Hunor e Magor,
verso una nuova patria fosse stato un animale cornuto di probabile
origini celesti. Ricorrente in tutta la letteratura popolare ungherese,
il mito del cervo venne elevato nell'Ottocento fino a divenire uno dei
più rappresentativi dell'identità magiara, in particolare nell'epopea La
morte di Buda, di János Arany, tra i più importanti poeti dell'epoca. La
leggenda immortalata da Arany venne reinterpretata in diverse chiavi dai
maggiori esponenti della letteratura moderna. Tra questi un posto di
assoluto rilievo è occupato dal compositore Béla Bartók che ne fece il
fulcro della sua Cantata Profana che egli stesso riteneva una delle
proprie opere di arte poetica. L'indagine sul motivo del cervo rivela un
processo di continua ripresa e rivisitazione del mito dell'identità, che
è senz'altro tra i più sentiti e ricorrenti della letteratura moderna
ungherese.

Ore 15,00

Presiede:

Amedeo Di Francesco

Juha Pentikäinen (Helsinki)


The Gold King of the Forest. The Lore and Mythology of the Northern Bear
(of the Finno-Ugric Great Bear Peoples)

The mythical relationship between man and bear found in the vocabulary,
mythology and folklore of Finnish related peoples living in the Arctic
gives basis to call these cultures "Peoples of the Big Bear" rather than
"Peoples of the Water Bird" (Estonian President Lennart Meri's book and
film). Only few pictures of bears are to be found in the North Eurasian
and Siberian rock art. Since the bear, however, has been common, His
absence in the rock art must be based on ideological reasons. The
attitudes to the bear have been ambivalent. People have been afraid of
Him but at the same time the human animal has been highly admired. This
state of affairs is reflected in the bear ritual. The central purpose is
to appease the divine predator and to return the soul of the bear to His
celestial home. The Sami consider the bear as a man in camouflage, a
transformed cultural hero.

The paper is an audiovisual dvd presentation of the recent results of
the field work carried out by the author among the peoples of the Great
Bear in Scandinavian (Finns, Sami) and Siberian North (Khanty, Mansi,
Nenets).

Romano Mastromattei (Roma)

Il suono nei rituali sciamanici: dal grado x al grado 0


Questo contributo vuole sottolineare il ruolo strutturante che il ritmo
ha nei rituali sciamanici, prima e al di là di qualsiasi forma musicale
sonora. Vengono presi in esame casi osservati nell'area himalayana, all'
interno di una vasta comparazione (Siberia, Mongolia). Viene altresì
esaminato il ruolo dei pochi strumenti musicali impiegati nel rituale
sciamanico. L'arco temporale della ricerca svolta va dal 1984 ai nostri
giorni.

Alessandro Grossato (Perugia)

La fenice e lo sciamano

La fenice, simbolo per eccellenza della luce e del calore solare, ma
anche dell'immortalità, ha verosimilmente un'origine estremo orientale,
e più esattamente mongolo-siberiana, e dunque sciamanica. Nella
preistoria dell'Eurasia, la fenice altro non era che l'ipostasi mitica e
simbolica del re-sacerdote sciamano il quale, rivestito il costume dell'
aquila solare, compiva nello stato di sogno, o mimandola con la sua
danza rituale, l'ascesa lungo il tronco dell'"albero cosmico" ed oltre,
fino al sole, ridiscendendo quindi sulla terra, trasfigurato in un
uomo-uccello di luce, resosi definitivamente immortale. Nelle
iconografie dell'Asia orientale, centrale e meridionale è ancora
possibile riconoscere una chiara traccia di questa antica origine della
fenice dal costume sciamanico. Viceversa, ampiamente diffuso risulta
ancor oggi l'uso della maschera e del costume della fenice sia nelle
danze rituali, che nelle sacre pantomime teatrali eseguite dall'India al
Tibet, dall'Indonesia al Giappone, fino alla Mongolia e alla Siberia.

Pavel Limerov (Syktyvkar)

The Pre-Christian Religion of the Komi. For the Reconstruction of the
Cosmological System

Pre-Christian religion of the Komi goes back to religions of the
North-Euro-Asian huntsmen on elks and deers of the Upper Palaeolithic
and Mesolithic. We can judge this from medieval shaman belt buckles of
Perm animal style, whose images correspond to cult scenes of the
Northeastern Europe, West Siberia and Pre-Urals of the Stone Age. From
mid XIX century many hypotheses were made concerning the semantics of
the images on buckles, but the researchers have recently asserted that
the animal images of Chud' buckles reflect the cosmological ideas of
ancient Komi. One of the most wide-spread images of Perm medieval
plastics is a man with elk's head (elk-female) standing on a pangolin.
Two feminine figures with elk-female heads are situated on both sides of
the composition, moreover, mugs of elk-females at the top of the buckle
make the semicircle, forming together with a pangolin a frame for
central images. As a whole, the compositions of shaman buckles
correspond to the known cosmological scheme, in which zoomorphic symbols
is encoding different levels of the Universe. As a central image they
also used the images of a traveling woman-elk and feminine deity. The
Goddess has high sacral status and personifies the whole average world,
linking together terrestrial bottom and celestial top, solar signs on
her head and on bosom show her attitude to solar invigorating power and
terrestrial fertility. The image of a human face on the bosom of the
feminine figure allows to suggest that she dealt with reproduction of
the people. Evidently, this image of the Goddess-Mother in ancient Komi
mythology is known in medieval Russian and West-European sources as
Golden Woman.

Pertti Lepistö (Bologna)

Osservazioni sugli arcaismi della musica e letteratura finlandesi di
oggi


Quasi subito dopo la pubblicazione della prima edizione del Kalevala
(1835) divenne chiaro che la giovane letteratura finlandese - la
tradizione orale era vasta ma quella scritta no - ebbe in quell'epopea
un'opera che faceva da guida. Giustamente si può parlare di era pre- e
postkalevaliana. E anche di più: si è anche detto che lo stesso Kalevala
ha creato una nazione oppure che senza il Kalevala non si sarebbe potuto
immaginare l'identitá nazionale finnica oppure che la Finlandia divenne
veramente autonoma con il Kalevala. Senza il minimo dubbio l'epopea ha
avuto una grandissima influenza sulla cultura finlandese anche se non si
è forse mai riusciti a stabilire in quale misura essa sia poesia
popolare e quale sia stato il ruolo del suo creatore, Elias Lönnrot
(1802 - 1884), che si trasformò da un trascrittore ad un vero cantore.
Con il passare degli anni il Kalevala è diventato sempre di più oggetto
di critica e osservazione, e con esse molti dei suoi eroi hanno perso
lustro, ma d'altro canto molti personaggi che fino a qualche decina di
anni fa sono stati visti come personaggi maggiormente negativi sono
stati in qualche modo riabilitati. Più va avanti la ricerca più diventa
chiaro che il Kalevala è tuttora una grande fonte di ispirazione anche
nella musica e letteratura finlandese di oggi.


Enrico Comba (Torino)

Elementi sciamanici nel rituale della Sun Dance tra i nativi americani


Il rituale della Danza del Sole fiorisce durante l'epoca equestre,
quando l'acquisizione del cavallo stimola numerosi gruppi a penetrare
nell'area delle Pianure dedicandosi alla caccia ai bisonti, tra la fine
del XVIII secolo e il 1880.

La cerimonia assume una molteplicità di significati e intenti: mette in
rilievo l'importanza della comunità e della sopravvivenza del gruppo,
l'opposizione contro i nemici, la celebrazione del rinnovamento delle
forze vitali della natura e la riproduzione della selvaggina. Tuttavia,
un nucleo centrale di pratiche di mortificazione e di auto-sacrificio
trae la sua origine, certamente, dalle procedure di ricerca di un
contatto spirituale personale, che trovano la propria realizzazione più
completa nell'iniziazione sciamanica. I due temi principali intorno a
cui ruota il sistema cerimoniale della Danza del Sole sembrano dunque
essere l'acquisizione di potere, attraverso la sofferenza e l'esperienza
della visione, e il rinnovamento della natura e del mondo sociale.
Entrambi possono essere ricondotti a pratiche sciamaniche ampiamente
diffuse tra i cacciatori-raccoglitori delle Americhe, la cui origine
risale probabilmente al più lontano passato, quando i primi cacciatori
preistorici giunsero dall'Asia a popolare il nuovo continente.

II SESSIONE

venerdì 5 MAGGIO 2006, ore 9,30

Presiede:

Romano Mastromattei

Carlotta Capacchi (Bologna)

La "Via delle Anatre": il simbolismo degli uccelli nelle tradizioni
eurasiatiche

Il simbolismo degli uccelli, estremamente antico, è anche assai
complesso. La leggerezza, la capacità di volo e di elevazione verticale
fa dell'uccello la rappresentazione ideale dell'anima o dell'elemento
spirituale in genere e uno dei tramiti per eccellenza fra il mondo
terreno e quello celeste.

 Anche in ambito sciamanico gli uccelli rappresentano l'anima quando è
separata dal corpo e nelle loro migrazioni indicano il cammino dei
defunti verso l'aldilà.

Oltre a queste connotazioni più intuitive e immediate la tradizione
sciamanica ne attribuisce ai volatili altre fondamentali all'interno
della mitologia, del simbolismo e quindi del rito. Gli uccelli compaiono
infatti come protagonisti nei miti cosmogonici e di fondazione e hanno
legami di tipo totemico con la figura dell'antenato (e quindi con quella
dello sciamano il cui costume spesso ne richiama la natura).

Il motivo decorativo ornitomorfo, insieme a quello dell'albero della
vita al quale spesso è associato, è uno dei più diffusi in tutto il
continente, così come fin dall'antichità più remota sono ovunque diffuse
raffigurazioni di esseri umani con la testa di uccello.

Rita Barchetti (Bologna)

Il simbolismo della pipa nella cultura degli Amerindi del nord


L'immagine della "pipa della pace" è strettamente connessa con gli
Indiani dell'America del Nord e rappresenta un elemento essenziale della
loro cultura. Questo oggetto, così banale all'apparenza, è in realtà
talmente carico di significati che racchiude in sé il nucleo stesso
della cultura dei Nativi nordamericani e ne rappresenta i principi
fondamentali. A torto, fin dalla sua prima comparsa tra i pionieri
europei, essa è stata vista esclusivamente come "pipa della pace". Ma
non tutte le pipe sono "pipe della pace": questa è solo una delle molte
funzioni ad essa collegate. Per gli Indiani dell'America del Nord la
pipa è un oggetto sacro, ed ogni parte che la compone simboleggia una
specifica parte dell'universo; fumare la pipa sacra significa creare un
contatto con tutti gli esseri dell'universo, significa riconoscere che
esiste un'interdipendenza tra l'uomo e tutte le altre forme di vita -
considerate sacre e degne di rispetto - , significa aprire un varco tra
l'uomo e lo spirito creatore.

Alfredo Ancora (Siena)

Lo sciamano nella testa: viaggio fra i miti dell'operatore della salute
mentale

"Sciamano" -termine da sempre legato ad un immaginario di "mysterium"
per dirla con Jung- ma nello stesso tempo "guaritore dell'anima ferita"
che molti vedono vicino a chi opera nel campo della salute mentale. In
realtà è difficile accostarsi a questa figura senza incorrere in tutte
quelle mitologie, pregiudizi e costruzioni "ad hoc" che lo hanno
relegato o in un luogo arcaico e per questo irraggiungibile oppure nelle
strettoie di luoghi comuni - quali quelli legati a sfere magiche se non
proprio occulte. L'autore, psichiatra e psicoterapeuta propone -sulla
scia di esperienze dirette con sciamani della Siberia e Mongolia- una
sua lettura "in punta di piedi" di questi personaggi incontrati. Non
bisogna infatti dimenticare che ci si trova di fronte a figure
straordinarie, nel senso di "fuori dell'ordinario", e che l'errore più
frequente che si commette è quello di estrapolarli dalla loro dimensione
religiosa e culturale e immetterle in categorie ad uso e consumo di un
osservatore o in perenne crisi di identità o a caccia di nuovi esotismi.
In realtà, spesso sfugge a chi vuole avvicinarsi a queste tematiche che
non è possibile seguire vie meno impervie di quelle costruite nella
propria testa- più facili e più scontate. Ecco perché è tanto comodo
farsi una idea personale dello sciamano, tenersela stretta e soprattutto
non confrontarla con quella reale!

Sonia Maura Barillari (Genova)

Ivano, Owein e il leone. Relitti sciamanici in un romanzo cortese

Si intende proporre l'analisi del rapporto che intercorre fra l'Yvain di
Chrétien de Troyes e il suo parallelo gallese Owein o Il racconto della
dama della fontana o, meglio ancora, fra essi e la matière alla quale
attingono entrambi. L'analisi comparativa condotta su alcuni brani pone
in evidenza quale discrimine più marcato un diverso modello di
traduzione dei dati desunti da un comune sostrato leggendario: una
concezione dell'Altro Mondo, dei suoi abitanti e delle modalità per
accedervi, riconducibile al complesso di credenze proprie dello
sciamanismo, relitti segnici che, allentati i legami con i referenti
legittimi e originari, si coagulano per plasmare e dare consistenza a un
Altrove dalle connotazioni ancora espressamente ambivalenti.

Gabriele Costa (Campobasso)

Sciamanismo indeuropeo

La ricerca ha finora sottovalutato, se non misconosciuto, l'importanza
delle numerose e significative vestigia dello sciamanismo nelle culture
di lingua indeuropea, attribuendole per lo più a influssi
vicino-orientali tardi e alloglotti. Un riesame delle testimonianze
note, l'adeguato sfruttamento degli studi più recenti, e soprattutto l'
inquadramento generale del problema all'interno della teoria della
continuità paleolitica, consente invece di far emergere l'evidenza di
una fase sciamanica preistorica originale e propria alla storia
etnolinguistica delle popolazioni indeuropee, uno sciamanismo indeuropeo
le cui ultime propaggini sono ancora vitali nelle grecità storica.

Francesco Benozzo (Bologna)

Residui del canto sciamanico arcaico nella lingua poetica dei trovatori
occitanici

Seguendo l'ipotesi recentemente argomentata da Gabriele Costa sull'
esistenza di uno sciamanismo autoctono europeo e di un linguaggio
poetico costituitosi in epoca paleo-mesolitica, questo intervento
individua i contrassegni fondamentali del canto sciamanico arcaico e ne
rintraccia la presenza nella lingua poetica dei trovatori occitanici del
XII secolo, passando attraverso le attestazioni dei poeti di area
celtica dei secoli VI-VIII. I cinque elementi fondamentali esaminati
sono 1) il riferimento all'esperienza estatica e onirica, che
corrispondeva, nella fase del canto rituale, al resoconto-narrazione del
proprio viaggio nel regno dell'Oltre; 2) un'apertura del canto
caratterizzata da un'invocazione-descrizione-lode del mondo naturale,
accostata ad affermazioni di tipo gnomico su vari aspetti della realtà
umana; questo procedimento corrispondeva, nella fase del canto rituale,
a una precisa tecnica propiziatoria di avvicinamento, integrazione e
appropriazione degli elementi del paesaggio e di affermazione della
propria autorità mantica-sapienziale; 3) l'uso della prima persona con
chiari segnali registrali di un'autocoscienza mantica, sapienziale e
divinatoria (con un'analisi delle tre formule principali (a) "Io
conosco", "Io so", (b) "Io sono stato", "Io fui" e (c) "Io sono", spesso
seguito da un nome proprio); tale uso corrispondeva, nella fase del
canto rituale, all'affermazione e asseverazione del proprio ruolo di
custode della tradizione etnolinguistica del popolo; 4) riferimenti a un
proprio presente stato di malattia e/o di follia, che corrispondeva,
nella fase del canto rituale, allo stato di malattia sciamanica tipico
delle fasi successive all'estasi; 5) riferimenti a proprie metamorfosi,
in particolare allusioni a trasformazioni in forme vegetali, che
corrispondevano, nel canto rituale, alle metamorfosi in forma vegetale
dell'anima dello sciamano durante l'estasi. Vengono così evidenziati
aspetti di continuità tra la lingua poetica del canto sciamanico arcaico
e la lingua poetica dei trovatori, che fanno postulare una tradizione
ininterrotta, tramandatasi da epoca arcaica presso le popolazioni che
abitavano l'Europa antica e quella medievale. L'intervento si chiude con
una nuova ipotesi etimologica, coerente con questa interpretazione,
relativa al sostantivo occitanico trobaire ('trovatore') e al relativo
verbo trobar ('trovare').

Ore 15,00
Presiede:

Giovanni Pierini

Jurij Caliev (Birsk)

The Significance of Mari Mythology as a Way of Life

Giovanni Pierini (Bologna)

Metafisica dell'Uomo Medicina

Uomo Medicina è un'espressione ormai quasi comune nel linguaggio, una
connotazione di colore culturale, dedicata a rappresentare nell'insieme
aspetti cognitivi, culturali e di arte dell'operare medico nell'ambito
del mondo "primitivo". Basti di contro la lezione fra gli altri di De
Santillana per ricordarci che quello mitico è un linguaggio completo,
del quale sono state perdute molte chiavi di lettura, e che è del tutto
senza fondamento l'idea di una storia dell'umanità lungo un percorso che
va da un buio della ragione ai lumi della coscienza scientifica. Anche
la medicina moderna ha dimenticato questo aspetto che la riguarda da
vicino, ovvero quel che di empirico che da sempre accompagna la tensione
della costruzione dell'investigazione, negandogli quella cittadinanza di
pensiero che gli compete. È bene avvicinarsi al pensiero magico per
scoprire quanto di magico c'è nel nostro, e quanti suggerimenti possono
arrivare evitando di aggiustare frettolose giunture fra teorie col
cemento dell'analogia mal compresa, che rappresenta un'eredità ancora
attuale. Le piante magiche o di potere sono un aspetto inscindibile
della figura stessa dell'Uomo Medicina, e conviene vedere allora questa
sizigia più da vicino, Ossa vehementer sicca.


Aldo Lo Curto, medico volontario in Mongolia e Amazzonia

presenta e commenta insieme col pubblico i propri filmati originali

 

ALMA MATER STUDIORUM - UNIVERSITÀ DI BOLOGNA

DIPARTIMENTO DI LINGUE E LETTERATURE STRANIERE MODERNE

SEZIONE DI FILOLOGIA UGROFINNICA