L’ape carpentiera di Celebes dischiude un’altra idea sulle variazioni morfologiche animali
di Francesco Lamendola - 03/06/2010
L’entomologo olandese Van der Vecht, nel 1953, rese pubblici i risultati dei suoi lunghi e pazienti studi sulle popolazioni di due specie delle cosiddette api carpentiere, nell’isola di Celebes ed in quelle adiacenti: la «Xylocopa diversipes» e la «Xylocopa nobilis».
Precisiamo che le api carpentiere sono imenotteri che scavano il legno per realizzare delle cavità con funzione di nido e che pertanto, come le formiche carpentiere, masticano il legno, senza però consumarlo.
Più precisamente, Vecht concentrò la sua attenzione sulle differenze morfologiche esistenti fra le tre sottospecie della prima e fra le sei sottospecie della seconda, passando al setaccio, per così dire, in tuta la sua lunghezza ed estensione, la grande isola indonesiana e prendendo nota della distribuzione geografica di ciascuna di esse, ossia di ogni singolo areale.
L’isola di Celebes (nome ufficiale indonesiano: Sulawesi) ha una superficie di 189.276 kmq., vale a dire più di metà di quella dell’Italia. Ad Ovest, lo Stretto di Makassar la separa dal Borneo; a Nord, il Mar di Celebes la separa dall’Arcipelago delle Sulu e da Mindanao; ad Est, il Mar delle Molucche e il Mar di Banda la separano dalle Molucche; a Sud, infine, il Mar di Flores la separa dalle Piccole Isole della Sonda (Bali, Sumbawa, Sumba, Flores e Timor).
Si tratta, quindi, di una terra discretamente isolata e tuttavia collegata alle terre circostanti da una notevole sequenza di “ponti” insulari, gettati con dovizia in ogni direzione, sì che in nessun punto le sue coste sono così remote da impedire la migrazione di piante ed animali, comprese le farfalle, gli imenotteri e i coleotteri studiati da Vecht. Più significativo appare invece, per certi aspetti, l’isolamento interno, dal momento che l’isola è interamente montuosa, essendo attraversata lungo tutta la sua estensione da una catena che si diparte dal nodo orografico centrale, che culmina nel Bulu Rantemario a 3.478 metri sul livello del mare.
La forma di questa strana terra equatoriale, che ricorda un grosso ragno dalle lunghissime zampe divaricate, e la sua natura aspra e selvaggia, spiegano il notevole interesse della sua ricca flora e fauna: le sue quattro lunghe penisole, particolarmente quella nord-orientale, si dipartono dalle montagne centrali in maniera tale che le comunicazioni dall’una all’altra sono, via terra, estremamente difficili; in compenso, i golfi da esse formati (Golfo di Tomini a Nord-est, Golfo di Tolo a Est e Golfo di Bone a Sud) incidono così profondamente l’isola, che nessun punto di essa dista più di novanta km. dal mare.
Se a ciò si aggiunge il clima tropicale, con le sue piogge abbondantissime che alimentano una vegetazione lussureggiante, si comprende facilmente come, nelle remote foreste di Celebes, molte specie viventi di estremo interesse siano state scoperte e molte altre, senza dubbio, attendono ancora di essere riconosciute dalla scienza. Basti dire che, nel 1912, venne ucciso un pitone dalla lunghezza straordinaria di quassi dieci metri: per la precisione, risultò misurare 9,98 centimetri. Del resto, appena un centinaio di chilometri separano le spiagge meridionali dall’isola di Komodo, famosa per ospitare gli ultimi “dinosauri” viventi: i grandi varani, lunghi fino a tre metri e mezzo, anch’essi scoperti dagli Olandesi nel 1912.
Si tenga anche presente che le notevoli altezze dei monti creano contrasti climatici e vegetazionali molto forti: al di sopra dei 3.000 metri, infatti, la foresta primigenia, ricchissima di orchidee e altri fiori equatoriali, cede il posto ad una bassa vegetazione di tipo sub-alpino ed alpino, caratterizzata da piccole foglie dure e resistenti non solo alle base temperature notturne, ma anche ai venti impetuosi che flagellano le sommità.
Ma torniamo alle api carpentiere del genere «Xylocopa».
Due specie e nove sottospecie, abbiamo detto, popolano l’isola di Celebes, ciascuna delle quali stabilita in un ben definito areale. Ma, prima di continuare, sarà bene precisare che cosa si intende per “areale”.
Non si tratta di un’area di distribuzione statica e fissa, ma, al contrario, di una entità dinamica, in continua evoluzione: come lo è tutto, del resto, nel campo della biogeografia. Per non appesantire troppo il lettore, rimandiamo a quanto scrivemmo nell’articolo «La “linea Wallace” e la “linea Weber” custodi di un enigma affascinante della biogeografia», pubblicato sul sito di Arianna Editrice in data 08/01/2009. Ad ogni modo, le persone tendono a pensare il contrario, perché la parola “geografia” suggerisce qualcosa di saldamente stabilito (cosa non vera, dato che non solo le montagne, ma gli stessi continenti sono soggetti a continui movimenti e mutamenti fisici); ma dimenticano che la biologia, in quanto scienza dei viventi, è la scienza del mutamento per eccellenza; e la stessa cosa vale per il concetto di “areale”.
Tanto per cominciare, ciascuna specie o sottospecie possiede almeno due areali distinti: quello primario, in cui, storicamente, si è insediata, e quello secondario, raggiunto in epoca posteriore, magari anche grazie al contributo dell’uomo (cosa particolarmente frequente nel caso di un insetto dalla forte rilevanza economica, come l’ape, per la produzione del miele). In secondo luogo, un areale può essere continuo o discontinuo; e quando, nel secondo caso, si tratta di una forte discontinuità territoriale, si parla di areale frammentato. In terzo luogo, un areale può essersi talmente contratto in epoca storica, rispetto all’estensione originaria, da far parlare di areale relitto (si pensi all’enorme contrazione dell’areale dell’elefante africano, ormai scomparso a nord del Sahara, o del leone asiatico, che dall’intera sezione occidentale del continente è oggi ridotto alla sola foresta di Gir, in India).
Da ultimo, nell’emisfero australe si parla di areale gondwaniano per segnalare la presenza di alcuni “taxa”, come il faggio australe o «Nothofagus», diffuso esclusivamente nella parte Sud dell’America Meridionale, nella parte Sud dell’Australia, in Tasmania e nella Nuova Zelanda; e ciò a motivo dell’antica unione di queste terre (più l’Antartide, l’Africa del Sud, il Madagascar, l’India peninsulare e l’Arcipelago indo-malese) fra di loro e, per converso, della loro lunga separazione da quelle dell’emisfero boreale.
Tornando alla fauna di Celebes, tre sono i fattori che ne hanno determinato la situazione attuale: la deriva dei continenti (poiché anch’essa faceva parte del supercontinente Gondwana); l’immigrazione delle specie sfruttando i “ponti” insulari circumvicini; e i molti millenni di totale isolamento, specie nei distretti montuosi più impervi e di più difficile accesso. Questi fattori hanno determinato le caratteristiche della distribuzione delle specie superiori, ma anche di quelle inferiori, come gli insetti.
Per quanto riguarda le api carpentiere di Celebes, le differenze morfologiche osservate da Vecht fra le diverse sottospecie riguardano la colorazione delle tre parti in cui il corpo di questi imenotteri - come, del resto, di ogni altro insetto - è suddiviso: capo, tronco e addome. I colori sono quattro: giallo, ferrigno, bruno e nero; e la loro disposizione varia da un tipo all’altro.
Per quanto riguarda la «Xylocopa diversipes», il capo è nero; nella prima sottospecie il tronco è bruno, nella seconda bruno e in parte nero, nella terza è bruno e in parte giallo; nella prima sottospecie l’addome è giallo nella sezione superiore, nero nella seconda e nella terza e ferrigno nelle ultime due; nella seconda sottospecie, nere sono le prime tre sezioni dell’addome e parte della quarta, ferrigno il rimanente; nella terza sottospecie, la prima sezione è gialla, nere la seconda e la terza, ferrigno il resto.
La prima sottospecie è presente nella penisola nord-orientale (Gorontalo, Tondano); la seconda, nella sezione centrale dell’isola (Lago Poso, Palopo, Bungku); la terza, nella penisola sud-occidentale (Makassar). Ciascuna di esse, quindi, possiede il proprio areale ben definito e non si trova mescolata alle altre due, nelle restanti parti dell’isola.
Più complessa, ovviamente, la diversificazione relativa alla «Xylocopa nobilis», di cui esistono sei sottospecie. Tutte hanno la testa nera; il tronco è nero in tre di esse, nero e giallo in altre due e tutto bruno nella sesta; l’addome è giallo nella prima sezione di ciascuna, mentre le altre sezioni sono nere in una sottospecie; nere e ferrigne in altre quattro, ma in proporzioni diverse e infine nere, ma con il bordo giallo, nell’ultima.
Circa la distribuzione geografica, anche qui si osserva una netta distinzione dei rispettivi areali. Una sottospecie si trova solo all’estremità della penisola nord-orientale; un’altra, solo nelle isole di Tahulandang; la terza (quella con l’areale più esteso), sul lato occidentale dell’isola, da Palu a Makassar; la quarta, nella zona di Bungku, sulla costa opposta; la quinta sulle isola Sula e Sanana; e la sesta nelle isole Binongko (all’estremo Sud-Est).
Proviamo adesso a trarre qualche conclusione dalla variazione geografica del colore in queste due specie di api carpentiere. La parola “variazione” contiene una certo grado di ambiguità, perché suggerisce l’idea, cara ai biologi evoluzionisti, che la differenziazione proceda sempre da una specie genitrice ad altre specie derivate; in tal senso, la si può intendere come una caratteristica della microevoluzione animale (e vegetale), vale a dire di una singola tappa o un singolo aspetto della più grande evoluzione, quella che produce nuovi generi e nuove specie. Ma, allora, si rischia di dare per scontato proprio quello che, invece, è ancora da dimostrare: e cioè che l’evoluzione, dopo tutto, sia un fatto e non una semplice teoria.
Perfino l’ornitologo Ernst Mayr - tedesco, ma naturalizzato statunitense -, considerato il massimo studioso vivente di microevoluzione sino a pochi anni fa (è deceduto nel febbraio 2005, più che centenario), dopo aver dedicato gran parte della sua vita allo studio dei meccanismi che presiedono alla “speciazione”, ossia alla differenziazione di due specie da una specie genitrice, è giunto alla conclusione che il darwinismo non offre una spiegazione soddisfacente del fenomeno e ha mostrato, egli stesso, la scarsa rilevanza della mutazione genetica nelle mutazioni degli animali.
Ciò lo ha spinto a formulare una nuova definizione di “specie”, quale gruppo di popolazioni naturali che si incrociano in condizioni di isolamento dagli altri gruppi, dai quali si differenziano non morfologicamente, ma, appunto, geograficamente e riproduttivamente. In altre parole, le caratteristiche geografiche degli areali e, in particolare, il più o meno accentuato isolamento svolgerebbero il ruolo determinante nel processo di “speciazione” e non già, come sosteneva Darwin, la selezione naturale.
Le api carpentiere di Celebes contro i fringuelli delle Galapagos, dunque? Fin da studenti, noi tutti siamo stati bombardati, in dosi più o meno massicce, dalla storia dei fringuelli di Darwin, assurta al rango di esempio paradigmatico della teoria evoluzionista. Tutti i fringuelli delle Galapagos, secondo Darwin - che li studiò personalmente durante il viaggio della «Beagle» - sarebbero derivati da un unico ceppo ancestrale, al limite anche da una sola coppia o addirittura da una sola femmina fecondata (Curtis-Barnes); anche se il continente americano si trova, in linea d’aria, a quasi 1.000 km. di distanza. Le tredici specie di fringuelli oggi esistenti (più una quattordicesima che vive altri 1.000 km. più a nord, sull’isola Cocos) deriverebbero da questo gruppo ancestrale, da questa coppia o da questa unica femmina originaria.
A parte il fatto che Darwin, all’epoca in cui visitò le Galapagos, non aveva ancora affatto ideato la teoria dell’evoluzione, e quindi è del tutti falso presentare il caso dei fringuelli come l’elemento che fece scaturire nella sua mente tale concezione, resta il fatto che l’unico argomento dimostrativo circa l’evoluzione degli esseri viventi, a detta di tutti i biologi, è quello offerto dalle testimonianze fossili, vale a dire relative a lunghissimi peridi di tempo. E le testimonianze fossili non confermano affatto i lenti e graduali cambiamenti prospettati da Darwin (cambiamenti filetici), ma delle brusche scissioni e ramificazioni (cladogenesi).
Questa è anche l’opinione di Ernst Mayr, che, pur essendo un evoluzionista, dava più peso al ruolo svolto nell’evoluzione dalla cladogenesi che dal cambiamento filetico. Per lui, la formazione di nuove specie per scissione di piccole popolazioni da un ceppo originale - l’effetto del fondatore - è responsabile di tutti i principali cambiamenti evolutivi.
Ma è chiaro che si potrebbe anche impostare l’intera questione in maniera completamente diversa, ad esempio vedendo la causa principale delle variazioni morfologiche nella frammentazione di un determinato areale, che favorirebbe lo sviluppo di certe caratteristiche rispetto agli individui di uno stesso “taxa” viventi nelle aree adiacenti, ma in uno stato di isolamento reciproco.
Insomma, la geografia potrebbe pesare più di quanto si creda, non nella diversificazione di un gruppo originario in svariate sottospecie, ma “ab initio”, in presenza di differenti fattori ambientali di luce, calore, umidità, eccetera.
Le api carpentiere di Celebes potrebbero essere sempre state suddivise in due specie e in nove sottospecie diverse: piaccia o non piaccia agli evoluzionisti. E la geografia singolarmente aspra e tormentata dell’isola asiatica potrebbe esserne la causa, fin dal principio.