La critica di Berkeley allo spazio assoluto newtoniano precorre il principio di Mach
di Francesco Lamendola - 08/06/2010
Esiste uno spazio assoluto? E, se sì, al suo interno esiste anche un moto assoluto dei corpi? Newton era convinto di sì, anche se il suo contemporaneo, il filosofo George Berkeley, non ne era affatto persuaso. Per secoli, tuttavia, la scienza è stata condizionata dalle convinzioni di Newton in proposito, che avevano riscosso l’ammirazione della maggioranza dei fisici.
Nei «Principia Mathematica», apparsi il 5 luglio del 1687, Newton descrive un esperimento da lui compiuto per individuare una rotazione assoluta, esperimento che avrebbe dato origine a un’infinità di discussioni tra i fisici della sua generazione e di quelle successive.
Dunque: Newton prende una lunga corda e vi attacca un recipiente; indi fa ruotare quest’ultimo, in modo che la corda si attorcigli strettamente; poi lo riempie d’acqua e lo tiene fermo. La superficie dell’acqua sul momento rimane liscia, come prima dell’inizio del movimento; ma poi, mano a mano che il moto si comunica dal recipiente all’acqua, quest’ultima incomincia a sollevarsi ai lati del recipiente, assumendo una forma concava; e, quanto più veloce si fa il movimento, tanto più in alto sale l’acqua.
Non entriamo in ulteriori dettagli; Newton, comunque, dall’esperimento della corda e della secchia piena d’acqua, trae la conclusione che, nel moto circolare vero o assoluto, vi è la presenza di forze di allontanamento dall’asse, rivelate dalla concavità dell’acqua: forze le quali, nel moto circolare relativo, sono, invece, nulle.
Insomma, secondo Newton, la rotazione assoluta è una cosa completamente diversa dalle rotazioni relative osservate direttamente; e, tuttavia, è possibile determinare sperimentalmente il valore della rotazione assoluta di un corpo. A tal fine, è sufficiente misurare la curvatura della superficie dell’acqua che ruota insieme al corpo (nel caso del’esperimento, la secchia).
Quasi due secoli dopo, per dimostrare la rotazione assoluta della Terra, Léon Foucault procede, durante l’Esposizione di Parigi del 1851, al famoso esperimento del pendolo. Essendo sospeso ad un giunto universale, il pendolo di Foucault si muove in uno spazio assoluto, mentre la Terra gli ruota al di sotto; il moto del piano del pendolo, che sembra compiere un giro nell’arco delle 24 ore, risponde all’azione esercitata su di esso dalla forza di Coriolis.
Ha scritto l’ astrofisico inglese Dennis William Sciama nel suo libro «L’unità dell’Universo» (titolo originale: «The Unity of the Universe», London, Faber and Faber, 1959; traduzione italiana di Lidia Sciama e Luciana Pecchioli, Torino, Einaudi, 1965 1980, pp. 90-92):
«Così si può misurare la velocità di rotazione della Terra mediante osservazioni compiute solo sulla sua superficie, senza che sia necessario ricorrere ad altri corpi e misurare la rotazione relativamente ad essi.
Anche quei contemporanei di Newton che non credevano nello spazio assoluto dovettero accettare il risultato dell’esperienza compiuta col secchio d’acqua; certo non potevano far proprio il ben noto espediente dei teorici insoddisfatti, e sostenere che l’esperienza non era stata realizzata con sufficiente accuratezza! Riuscirono invece a dare al’esperienza stessa una nuova, geniale interpretazione. La figura principale del gruppo dissenziente fu il grande filosofo irlandese, il vescovo Berkeley, la cui posizione può riassumersi in questa affermazione: tutto lo spazio corrompe, lo spazio assoluto corrompe in modo assoluto.
Berkeley si opponeva all’idea dello spazio assoluto in quanto non è osservabile; inoltre affermava che Newton, nell’interpretare l’esperienza del secchio, era andato oltre i fatti. Egli sottolineava che il moto relativo dell’acqua e del secchio non è più importante del moto relativo dell’acqua e di altri oggetti: il secchio serve solo come recipiente per contenere l’acqua. Ciò che dall’esperienza si dovrebbe dedurre è che le forze centrifughe appaiono solo quando un corpo ruota RISPETTO ALLE STELLE: né deve sorprendere, dato che è proprio la presenza di quest’altra entità che dà significato al concetto di moto. Vent’anni dopo la pubblicazione dei “Principia”, Berkeley così scriveva:
“Se ogni luogo è relativo, anche ogni moto è relativo; e non si può comprendere il moto se non se ne è determinata la direzione, che a sua volta non si può comprendere se non in relazione al nostro o a qualche altro corpo. In su, in giù, a destra, a sinistra, tutte le direzioni e i luoghi si basano su qualche riferimento ed è necessario presupporre un altro corpo distinto da quello in movimento… per cui il moto è per sua natura relativo, né può essere compreso finché non si considerino i corpi in relazione a cui esiste; più generalmente, non si può stabilire un riferimento, se mancano i termini che in riferimento debbono esser posti.
Perciò, se supponiamo che tutto si annulli eccetto un globo, è impossibile immaginare un qualsiasi movimento di tale globo.
Consideriamo ora che i globi siano due, e che oltre ad essi non esista alcun’altra cosa materiale: il moto circolare di questi due globi intorno al loro centro comune non può essere immaginato. Ma ammettiamo che venga improvvisamente creato il cielo delle stelle fisse: saremo allora in condizione di immaginare il moto dei globi per mezzo della loro posizione relativa alle varie parti del cielo.”
Scrivendo queste parole Berkeley dimostrava di precedere i tempi di molti anni. Il suo grande contemporaneo Eulero, ad esempio, riteneva che l’asserita influenza delle stelle fisse fosse “assai strana e contraria ai dogmi della metafisica”. Questa opinione fu ripresa da molti scrittori, ma fino a Mach, centocinquanta anni più tarde, alla discussione non fu aggiunto niente che avesse vero interesse.
L’iniziale contributo di Mach al problema dell’inerzia consiste in una lieve elaborazione di quanto Berkeley aveva affermato, e la sua importanza risiede principalmente nel fatto che egli suscitò una ripresa della discussione del problema in un periodo in cui l’autorità di Newton era assoluta. La critica di Mach ai principî del moto di Newton è più dettagliata di quella di Berkeley, ma per quel che riguarda la forza centrifuga il suo punto di vista è lo stesso.»
Nel 1872, Ernst Mach scrive che, a suo giudizio, esistono parecchi moti relativi. Secondo lui, quando un corpo ruota rispetto alle stelle fisse, si producono forze centrifughe; queste ultime non si producono quando esso ruota rispetto a qualche altro corpo. “Rotazione” è un termine che spetta al primo caso, solo a patto di precisare che si tratta di una rotazione relativa rispetto alle stelle fisse e non di un movimento assoluto.
In maniera ancora più esplicita di Berkeley, Mach afferma che non ha importanza se noi pensiamo che la Terra ruoti intorno al proprio asse, oppure che stia ferma, mentre le stelle fisse le girano intorno: perché, da un punto di vista geometrico, in entrambi i cassi si tratta di un moto relativo della Terra e delle stelle fisse l’una rispetto alle altre. Nel primo caso, a ruotare è il nostro pianeta; nel secondo, sono le stelle fisse; sia come si vuole, non si può parlare di moto assoluto. Ma, se supponiamo che la Terra sia ferma e che le stelle fisse le ruotino intorno, allora l’esperienza del pendolo di Foucault è erronea.
Bisognerebbe pertanto concludere o che ogni moto è assoluto, o che la legge d’inerzia è formulata in modo sbagliato; per Mach è vera la seconda alternativa. I sistemi inerziali, infatti, sono quelli che non sono accelerati rispetto alle stelle fisse, ossia rispetto a una media ben definita di tutta la materia dell’Universo. Si noti che, per Mach, la materia ha un’inerzia solo ed esclusivamente perché, nell’Universo, esiste dell’altra materia. Einstein definirà questa conclusione come il principio di Mach; principio che deve molto al pensiero di Berkeley.
Il principio di Mach è stato sottoposto a dure critiche dai filosofi e dai logici suoi contemporanei (ma non, come si è detto, dal fisico più grande della generazione successiva, Einstein); fra questi, ricordiamo Bertrand Russell nel 1903 (dalla cui «Storia della filosofia occidentale» traspare, nei confronti di Berkeley, una antipatia almeno pari all’incomprensione), Ernst Cassirer nel 1910 e Alfred North Whithehead nel 1919 e nel 1920. Quest’ultimo, addirittura, paragona il principio di Mach all’«estremo tentativo di una filosofia disperata» e nega, con toni sarcastici e quasi irridenti, qualsiasi influenza delle stelle fisse su qualsivoglia fenomeno terrestre.
Ma forse, come spesso accade nella storia della scienza, non è tanto la specifica teoria proposta da Mach ad irritare così tanto i neopositivisti ed i neocriticisti, quanto - sia pure a livello sotterraneo e, per così dire, inconfessabile - il paradigma ad essa sotteso, con tutto il suo portato di reazioni emotive più o meno viscerali.
Mach, come Berkeley, parte da un paradigma intellettuale anti-meccanicista (benché poi i loro punti di vista divergano, perché Berkeley è un neoplatonico, mentre Mach è un anche un anti-metafisico). Le critiche di Mach - assai penetranti - ai concetti newtoniani di tempo, spazio e moto assoluti, aprono la strada ad Einstein, influenzando il suo pensiero e avviandolo nella direzione di una teoria della relatività.
In quanto esponente di punta dell’empiriocriticismo, Mach si attira - inoltre - gli strali ed i fulmini di Vladimir Ilic Ulianov, detto Lenin; ma, benché i seguaci di quest’ultimo vedano nel libello del rivoluzionario russo un esempio della sua genialità filosofica, la verità è che quest’ultimo dimostra solo come Lenin, a paragone di Mach, fosse dotato di un’intelligenza speculativa piuttosto modesta.
Il pamphlet di Lenin, «materialismo ed empiriocriticismo», apparso nel 1909, sprizza veleno contro Mach e Avenarius, ma il suo vero obiettivo è il suo compagno di partito Aleksandr Bogdanov, reo di aver sostenuto che l’unica realtà effettivamente conoscibile è l’esperienza (come diceva il buon vecchio Berkeley: «esse est percipi»!) e che il marxismo deve tener conto delle più recenti acquisizioni scientifiche, per mettersi al passo con i progressi delle scienze naturali. Una modesta polemica di parrocchia, dunque, contrabbandata per meditazione filosofica, dalla quale si evince non tanto l’incrollabile fede materialista di Lenin, quanto la sua ben nota intolleranza per ogni forma di “deviazionismo”, in questo caso anche solo di tipo gnoseologico; e la sua pretesa di ergersi a cane da guardia e inflessibile custode dell’ortodossia marxiana, distribuendo a destra e a manca scomuniche ed accuse di eresia.
Ma torniamo al principio di Mach e all’esperimento della secchia di Newton. Per Newton, la rotazione rispetto allo spazio assoluto si può rilevare solo mediante la forza centrifuga e la forza di Coriolis; ma, come osserva giustamente D. W. Sciama, «lo spazio assoluto fu inventato proprio per spiegare l’esistenza di queste forze»; in altre parole, esso non aggiunge niente a quello che già era noto, serve solo a giustificare alcune forze postulate dalla scienza. Mach, però, afferma che le leggi scientifiche costituiscono solo una descrizione compendiata dell’esperienza, allo scopo di agevolare la predizione: le cosiddette leggi della natura sono regole che riassumono economicamente il succedersi delle nostre sensazioni.
Per Mach, dunque, non esiste una rotazione assoluta, ma solo una rotazione relativa rispetto ad altra materia dell’Universo. Di fatto, il principio di Mach era così fecondo dal punto di vista speculativo, che avrebbe potuto predire l’esistenza di un universo extragalattico, universo che fu invece scoperto solo mezzo secolo più tardi. Ma la sua validità rimane e testimonia anche la grandezza del pensiero di Berkeley, isolato ma coraggioso oppositore, all’inizio del Settecento, dello spazio assoluto e del moto assoluto di matrice newtoniana.
A volte è necessario che un’idea feconda debba compiere un lungo giro, prima di presentarsi in una veste tale, o in un momento storico tale, da poter essere accolta dalla comunità scientifica e filosofica e portare, così, tutti quei frutti speculativi dei quali è suscettibile.
Tale è stato il caso della critica berkeleiana allo spazio assoluto e al moto assoluto di Newton e, un secolo e mezzo più tardi, del principio di Mach, a sua volta potente stimolatore della teoria della relatività einsteniana.