I rischi delle biotecnologie
di Giovanni Monastra - 30/09/2005
Fonte: estovest.net
Con il termine "biotecnologie" si intende una serie di attività, procedure, sperimentazioni scientifiche, ecc., inseribili per lo più all'interno di un progetto teorico, diremmo quasi ideologico, di tipo faustiano, prometeico, secondo il quale la natura, al pari di una macchina, può essere manipolata a piacere, senza particolari vincoli, salvo quelli "tecnici", di fattibilità, vincoli per altro considerati da molti ricercatori sempre superabili in un'ottica progressista e ottimista («la scienza non si ferma mai!»). È quindi una progettualità di tipo ingegneristico-fabbricativo applicata non più alla materia inerte, anche se sofisticata, ma alla vita in sé, ridotta ormai a "distillato" di laboratorio, spesso pura somma di astrazioni e di modelli teorico-matematici.
I vari aspetti delle biotecnologie
Esistono biotecnologie a vari livelli e gradi di invasività: infatti alcune si limitano a "riparare" le lesioni o i difetti dell'organismo "esternamente", usando tecniche d'avanguardia, altre invece vogliono operare in profondità, giungendo spesso a modificare il patrimonio genetico di batteri, piante, animali e anche esseri umani, naturalmente sempre e solo in nome di altissimi e nobilissimi propositi… Vengono così creati microrganismi geneticamente modificati (MOGM) e organismi (piante o animali) geneticamente modificati (OGM), il cui DNA è stato manipolato per lo più mediante l'introduzione di geni provenienti da altre specie.
Le biotecnologie presentano due volti. Il primo, il più reclamizzato, è quello seducente, affascinante, pieno di promesse giudicate realizzabili in tempi relativamente brevi: la vittoria su tutte le malattie che affliggono l'umanità, la sconfitta della fame nel mondo, il prolungamento oltre ogni immaginazione della durata della nostra vita, il soddisfacimento di un desiderio fondamentale come quello della procreazione anche nei casi in cui la natura lo renderebbe impossibile o sconsigliabile, ecc. Il secondo volto, tenuto sempre nascosto dai più accaniti sostenitori delle biotecnologie, è quello oscuro, potenzialmente minaccioso per il nostro pianeta, legato alle conseguenze a medio e lungo termine di alcune tra queste attività manipolative (non certo di tutte!), su cui hanno avanzato forti riserve sia diversi biologi di fama mondiale, tra cui Joe Cummins, Brian Goodwin, Mae-Wan Ho, sia personaggi ben noti come l'inventore del linguaggio Java Bill Joy, l'epistemologo Ervin Laszlo o il filosofo Jeremy Rifkin.
Il paradigma dello sfruttamento
Utopismo materialista, arroganza scientista, frenesia attivistica, incosciente ottimismo a priori, insofferenza per i controlli e le verifiche sul lungo periodo, il tutto spesso unito, anzi perversamente commisto, con giganteschi interessi economico-finanziari, costituiscono il retroterra di molti aspetti delle biotecnologie e le rendono un fenomeno del tutto nuovo, privo di qualsiasi raffronto con quanto avvenuto in passato.
Secondo i sostenitori dell'ingegneria genetica, anche la bioingegneria, come qualsiasi altra scienza, non è né buona né cattiva. Dipende dall’uso che ne fa l’uomo. Se controllata e utilizzata in modo etico può contribuire a risolvere grandi problemi.
Si tratta delle solite affermazioni di apparente buon senso incontestabile, che però peccano di superficialità e astrattezza. Per nutrire dubbi sarebbero già sufficienti le non poche esperienze negative di questi anni, di cui hanno parlato anche di recente i giornali. Abbiamo, inoltre, informazioni e mezzi sufficienti per prefigurare gli scenari futuri. Conosciamo già alcuni problemi che potrebbero sorgere, anche di grave entità e non risolvibili, come l'inquinamento genetico, la perdita della biodiversità, ecc. Ciò va detto senza allarmismi "regressisti", ma anche senza illusioni scientiste. E naturalmente ci limitiamo all'ambito della biologia, tralasciando gli aspetti di ordine etico e spirituale, di enorme importanza (vedi la clonazione umana).
Qui vanno brevemente accennate le responsabilità del darwinismo e del neo-darwinismo, che hanno generato una pseudoscienza impregnata di utilitarismo, oltre che di superbia faustiana. In questa cornice la natura non viene più vista, secondo i parametri tradizionali, come una totalità armonica, come un insieme globale ordinato, come una realtà interattiva ricca e complessa da rispettare nel suo delicato equilibrio dinamico. Secondo tale "scienza", invece, la natura costituisce una semplice somma casuale di parti, di fatto pensate tra loro indipendenti, parti che nel corso della evoluzione si sarebbero meccanicamente connesse a formare una realtà priva di senso e significato, non regolata già dalla sua origine da leggi interne e da vincoli formali e sostanziali. La natura per Darwin e per i suoi epigoni è solo opaca e densa materia in perenne cieca evoluzione, caos mascherato da ordine effimero. Lo stesso significato profondo di "organismo vivente" viene perduto, in quanto ne viene negata la struttura olistica, cioè unitaria e altamente complessa, ricchissima di interazioni tra tutti i livelli. E l'uomo, ridotto a evento frutto di pure contingenze, non è più il centro, il culmine qualitativo della realtà naturale.
È ampiamente dimostrato che la concezione tradizionale del mondo fosse portatrice di elementi culturali di "contenimento" della spinta prometeica, cioè di certi impulsi verso il dominio incontrollato e rapace sulla natura, impulsi latenti nell'uomo in quanto tale: questi fattori "limitanti", oggi demonizzati nella logica banale della "emancipazione" degli esseri umani da ogni costrizione, sono stati elementi essenziali nel periodo premoderno, almeno fino a quando le religioni hanno esercitato un reale peso sociale.
Diversamente da quanto afferma il pensiero laico-progressista, il darwinismo non ha sepolto per sempre l'antropocentrismo --invece, nella sua ottica materialista, ha dato vita a una forma nuova e radicale di antropocentrismo: faustiano, egoista, ribelle a qualsiasi vero vincolo, limite, tabù. Esso si fonda sui "bisogni", in sé inesauribili, come sappiamo, bisogni da soddisfare a tutti i costi, quasi fossero un diritto/dovere sociale, mentre il cosiddetto antropocentrismo religioso, del passato, si basava sul concetto di responsabilità, almeno in linea di principio.
E se le specie viventi, uomo compreso, sono frutto dell'arbitrio del caso, poi selezionate da una meccanica necessità, cosa impedisce che oggi esse diventino il frutto dell'arbitrio della scienza, in una cornice di umanismo orizzontalista? Tutto sommato --pensa il biologo neo-darwinista-- sono eventi instabili, immersi in un divenire senza "salti" (secondo alcuni, addirittura le specie sono solo nomi, pure convenzioni, poiché la natura sarebbe una realtà "continua" e non discontinua). Per tale motivo, in questo grande minestrone dove tutti i componenti possono essere mischiati, si ritiene normale infrangere ogni confine, inserendo geni "estranei", trasportandoli da una specie all'altra, addirittura dal mondo animale a quello vegetale. In passato l'uomo aveva come limite invalicabile le costrizioni imposte dalla natura, che oggi vengono ignorate e stravolte da una tecnologia onnipotente. Così giunge a compimento la trasmutazione della scienza in tecnica, cioè il passaggio epocale di una disciplina tesa alla pura conoscenza del mondo in un'altra disciplina, qualitativamente diversa, il cui fine diviene la trasformazione del mondo, sempre meno in armonia con i suoi ritmi e i suoi caratteri precipui.
Controllare le applicazioni e contenere i danni
Dopo questo breve esame, viene spontaneo chiedersi: «Che fare?». A parere di chi scrive la posizione più corretta da tenersi di fronte alle biotecnologie dovrebbe essere di tipo fondamentalmente conservativo rispetto a quello che viene definito l'ordine naturale, con un certo scetticismo nei confronti del "paese della cuccagna" che ci vorrebbero far credere a portata di mano. Al contempo andrebbe evitata qualsiasi posizione aprioristica, di tipo ideologico, contraria alla biotecnologie in quanto tali, cioè prese in modo qualunquistico e superficiale come un tutto da accettare o rifiutare in blocco. Non servono guerre totalizzanti, ma una razionale e paziente opera di "demitizzazione", che separi il desiderio legittimo (e antico quanto l'uomo, che ha sempre operato cambiando la natura circostante per adattarla ai suoi bisogni e fini) di intervenire in certi ambiti, specie in quello della salute, con strumenti altamente sofisticati e innovativi, da una serie di mistificazioni strumentali.
Di fronte alla odierna hybris biotecnologica non si possono porre limiti interni alla ricerca scientifica, se non quelli puramente "tecnici", "operativi", in quanto in tale ambito mancano i presupposti teorici, cioè lo stesso concetto di "limite" come valore di per sé. Ma nemmeno, realisticamente, è possibile ipotizzare un limite esterno di carattere stabile e duraturo, considerando lo spirito del nostro tempo: ci si dovrà adattare, in questo periodo, a una strategia di contenimento e di controllo, di confronto anche pragmatico, quasi giorno per giorno, in una situazione di tensione continua, analizzando singoli progetti e singoli casi (le leggi in vigore, che regolano il settore, sono certo utili, ma insufficienti). La popolazione dovrà essere informata in modo pluralista, senza però scadere in demonizzazioni isteriche, che, per la loro improponibilità e inattendibilità scientifica, farebbero il gioco dei sostenitori a oltranza delle biotecnologie: serve infatti anche una forte compartecipazione popolare ai meccanismi di controllo (ad esempio, si dovrebbe pretendere, in nome della trasparenza, che gli OGM negli alimenti siano etichettati come tali anche quando presenti in percentuali minime, pure al di sotto dell'1%).
Siamo all'inizio di una lunga battaglia di civiltà, dove trasparenza negli atti di rilevanza pubblica e rispetto della persona devono essere fondamentali. Al di là dei pericoli per la salute di tutti, è in gioco la stessa esistenza della nostra specie e delle altre, di cui l'uomo dovrebbe essere il custode e il protettore, non il carnefice e il becchino, comportandosi, tra l'altro, con la stessa intelligenza e lungimiranza di chi sega il ramo sui cui si trova! E questa battaglia avrà qualche possibilità di successo solo se tutti capiremo che l'indispensabile premessa risiede nella tutela delle specificità e delle identità a tutti i livelli.