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Da Darwin all’ordine della vita. Le ragioni di una rivoluzione (III parte)

di Stefano Serafini - 14/06/2010

Fonte: Atrium

II.

1. Esistono alternative?

 

Presentare brevemente le vive linee di pensiero che nella biologia contemporanea si discostano dal paradigma di Darwin è un’impresa impossibile nel breve spazio a nostra disposizione. Si tratta in realtà di un universo complesso e ricchissimo, che merita approfondimenti monografici. Qui forniremo perciò soltanto alcuni, incompleti spunti, e cercheremo, in mancanza di una ventura sintesi teorica e storica, di tracciare un possibile percorso dal nostro punto di vista.

 

Come osservato da più parti, l’ostacolo maggiore alla messa in discussione del neo-darwinismo consiste nella mancanza di un’alternativa. Se non è la selezione naturale, che cos’altro muove mai l’evoluzione? Poiché oltre un secolo di ricerche non ha prodotto elementi sufficienti a eliminare le debolezze della teoria, che anzi si sono rivelate sempre maggiori, tale domanda è divenuta l’ultimo bastione di tutti i difensori dello status quo ideologico all’interno della biologia. È normale che una simile situazione si riscontri anche in altri ambiti disciplinari, ma ci sembra significativo, per l’approfondimento della relazione fra struttura del capitalismo e paradigma biologico, che essa si sia protratta stagnante per lo stesso lasso di tempo storico fino ad oggi in economia. Scriveva ad es. John M. Keynes nel 1933:

 

«il capitalismo decadente, internazionale ma individualistico, nelle cui mani ci siamo trovati dopo la guerra, non è un successo. Non è intelligente, non è bello, non è giusto, non è virtuoso, – e non mantiene quel che ha promesso. In breve, non ci piace, e stiamo anzi cominciando a disprezzarlo. Ma quando ci domandiamo che cosa dobbiamo mettere al suo posto, siamo estremamente perplessi.»[1]

 

Ovviamente, a cominciare dalla comune compagine culturale d’origine, è scontato l’intreccio tematico e metodologico tra darwinismo e liberismo economico. Valga qui affermare che la dottrina della “mano invisibile”, il concetto cioè di uno sviluppo fisiologico dei mercati promosso dalla libera competizione, nasce nel contesto del tentativo di matematizzare l’economia (Léon Walras, 1834-1910), e conferirle così la dignità disciplinare dell’esattezza.[2]

 

Riguardo alla mancanza di un’alternativa in biologia, Giuseppe Sermonti ha sostenuto più volte che gli scienziati dovrebbero cambiare radicalmente atteggiamento, e rinunciare a imbrigliare ad ogni costo la natura, col rischio di trasformare la scienza in una sterile rete mentale. Se non possediamo elementi per dare risposta ai grandi quesiti – e non è garantito che li possiederemo mai – meglio sarebbe servire la verità rimanendo in silenzio e in ascolto. Per chi si è votato alla ricerca, la contemplazione e la saggezza sono esiti tanto maggiormente desiderabili del dominio sulle cose, ancor più se questo risulta fittizio e mefistofelico. Ipotesi, modelli, tentativi sperimentali sono frammentarie affabulazioni della libertà, dell’intelligenza e, perché no, della bellezza dell’uomo nel mondo, capaci di riflettere un po’ di luce, anche se impossibilitati a rinchiuderla.[3]

 

L’invito di Sermonti all’esodo dalla forma mentis dello scienziato in carriera, trasformatosi in un ibrido d’uomo d’affari, s’inserisce in un pensiero complesso e vasto di critica allo scientismo e alla nostra società, del quale l’evoluzionismo non è che un capitolo, per quanto significativo e addirittura paradigmatico.[4]

 

Niente affatto filosofica, e tutta interna all’agone teorico della disciplina, è invece la proposta di Antonio Lima-de-Faria, il quale ha raccolto alla lettera la sfida, e ha contrapposto una sua affascinante alternativa alla selezione naturale: la teoria dell’autoevoluzione morfofunzionale.[5]

 

Tra questi due poli metodologici, su posizioni più o meno sfumate fra positività ed epistemologia, si situano pensatori di scuole e formazioni diverse. La tesi che seguiremo, e che fornirà il criterio di segnalazione di alcuni Autori, è che questi valorosi ribelli condividono comunque il rifiuto del guscio in cui sembra esser stata rinchiusa la biologia teoretica. In realtà, fra i loro colleghi, essi godono di un prestigio e di una simpatia assai maggiori di quanto, per ragioni di opportunità accademica, non sia dato vedere.[6] L’insofferenza del meccanismo caso-selezione, da un secolo e mezzo tanto chiaro e caro a qualunque professorino di liceo, li accomuna quasi tutti. Essi sono stati capaci di scavalcare un simile robustissimo luogo comune universalmente condiviso, come abbiamo visto, anche al di fuori della biologia. Hanno dovuto combattere contro l’inerzia della convenzione, e affrontare complicazioni accademiche e sociali serie e dolorose. Si tratta dunque di persone assai interessanti e dal profilo non comune, che si distinguono pure all’interno della simpatica categoria dei ricercatori.

 

Nell’approfondire le loro opere e le loro storie, si resta turbati dal contrasto fra la loro grandezza – in alcuni casi vera e propria genialità – e il silenzio al quale sono stati sovente condannati. Non da una congiura, ma dal fastidio e dalla sconvenienza alitati come nebbia sulle loro persone da un ovattato conformismo, che, se si vuole, è il volto più triste del nichilismo.

 

Non basterebbe un volume per raccogliere i contributi del Gruppo di Osaka (Giuseppe Sermonti, Franco M. Scudo, Atuhiro Sibatani, Francisco J. Varela, Antonio Lima-de-Faria, Mae-Wan Ho, Lev Belousov, ecc.), un plesso fondamentale della presa di coscienza e della diffusione delle idee strutturaliste in biologia.

 

Vorremmo tuttavia citare dei nomi importanti di personalità scientifiche che criticarono e criticano il monologismo darwiniano, e delle quali per ragioni di spazio non potremo trattare qui, affinché restino come uno stimolo agli interessati. Si rammentino dunque, oltre a quelli già citati, i nomi di Georges Cuvier (1769-1832),[7] Karl Ernst von Baer (1792-1876),[8] Rudolf Virchow (1821-1902),[9] Giovanni Virginio Schiaparelli (1835-1910),[10] Hans Driesch (1867-1941),[11] Daniele Rosa (1857-1944)[12], D’Arcy Wentworth Thompson (1860-1948),[13] Conrad Hal Waddington (1905-1975),[14] Léon Croizat (1894-1982),[15] Adolf Portmann (1897-1982),[16] Pierre Grassé (1895-1985),[17] Kinji Imanishi (1902-1992),[18] Søren Lövtrup,[19] Brian C. Goodwin,[20] Colin Paterson,[21] Roberto Fondi[22], Marcello Barbieri[23]. Come si può notare, la scuola italiana conta una significativa rappresentanza.

 

Ora, questa è soltanto una lista parziale; oltre a quello dello spazio disponibile, essa ha il grande limite dell’ignoranza di chi scrive, e un po’ anche quello della difficoltà di rintracciare Autori poco noti ai manuali nelle loro idee più originali, nonché le loro opere.

 

 

2. Dal darwinismo, alla nuova sintesi o neo-darwinismo

 

Una premessa necessaria deve distinguere il cambiamento intercorso tra la scuola darwiniana, che si può far risalire alla pubblicazione dell’Origine della Specie (1859), e la sua modernizzazione sulla base della scoperta delle leggi dell’ereditarietà e i primi sviluppi della biologia molecolare. Il grande testo classico che presenta questo ammodernamento del darwinismo è Evoluzione. La sintesi moderna, dell’embriologo e genetista londinese Julian Huxley (1887-1975).[24] La prima edizione, salutata da commenti entusiasti, comparve nel 1942, e fu seguita da diverse ristampe fino alla seconda edizione del 1963, rivista e ampliata sulla base degli sviluppi raggiunti da discipline come la genetica contemporanea (la scoperta della struttura ad elica del DNA da parte di Watson e Crick è del 1953), ma soprattutto dal dibattito teorico al quale contribuirono figure importanti come quelle di Mayr, Stebbins, Dobzhansky, Haldane, Sheppard, Thoday, Maynard Smith, ecc.

 

Tale seconda edizione introduceva ad es. un ventaglio di ben 6 nuovi tipi di selezione naturale da aggiungersi ai tre considerati precedentemente (di sopravvivenza o fenotipica, riproduttiva o genotipica, sessual-sociale o psico-sociale), e cioè la selezione: 1) normalizzante, 2) direzionale, 3) diversificante, 4) bilanciante, 5) di variabilità, 6) “post hoc” in cui rientrerebbero casi di speciazione per allopoliploidia.[25] Accennava a una medicina evoluzionista e a una psicobiologia supportate dall’antropologia. Ammetteva sulla base dei risultati di De Beer che la ricapitolazione della filogenesi da parte dell’ontogenesi era stato un errore di Haeckel, pur cercando di salvarne l’immagine continuista. Prometteva miracoli dalla conoscenza dettagliata a venire della costituzione del DNA.

 

Per il resto, l’importante volume (quasi 600 pagine nell’edizione italiana) presenta la sintesi unificante della dottrina che prende le mosse dal metodo di Charles Darwin, con le nuove scoperte delle scienze biologiche. Saldo deve restare il metodo del Maestro, col quale egli aveva raggiunto la teorizzazione della selezione naturale: l’induzione osservativa (identificata da Huxley, in realtà, con un riassunto quasi testuale delle idee sulla limitazione naturale della popolazione di Malthus)[26] intrecciata alla deduzione.

 

«Poiché vi è una lotta per l’esistenza tra gli individui, e dato che questi individui non sono tutti simili, alcune delle varianti che esistono tra essi saranno vantaggiose per la lotta per la sopravvivenza, altre sfavorevoli. Di conseguenza, una proporzione più elevata di individui con variazioni favorevoli sopravviverà nella media, mentre una proporzione più alta di quelli con variazioni sfavorevoli morirà o non riuscirà a riprodursi. E poiché una gran quantità di variazioni è trasmessa per mezzo dell’eredità, questi effetti di sopravvivenza differenziale si accumuleranno in gran misura, di generazione in generazione. Così la selezione naturale agirà costantemente per migliorare e conservare l’aggiustamento degli animali e delle piante a ciò che sta loro intorno a alla loro maniera di vivere.»[27]

 

La necessità della lotta per la sopravvivenza, dedotta dal bilanciamento fra tendenza all’aumento geometrico, ed effettivo equilibrio della popolazione (il programma malthusiano), si conserva valida e senza obiezioni nella nuova sintesi.

 

Diverso è invece il discorso per la trasmissione differenziale della variazione ereditata dalle generazioni, visto che Darwin riteneva, al contrario, che tutte le variazioni fossero ereditabili, secondo l’idea che fosse il simile a produrre il simile. In effetti Darwin era convinto che gli individui trasferissero ai discendenti tutto di se stessi («pangenesi»), per il tramite di ipotetiche «particelle» presenti nel liquido seminale e nell’uovo. Egli non era al corrente delle scoperte di Mendel (tanto meno delle leggi di ricombinazione), e si fece influenzare dalle credenze degli allevatori inglesi del suo tempo.

 

Le leggi di Mendel, riscoperte da Correns, de Vries e Tschermak al volgere del nuovo secolo, oscurarono rapidamente l’idea di un accumulo progressivo di variazioni nelle generazioni. Per i mendelisti i cambiamenti avevano piuttosto da essere grandi e discontinui, e tutta la vita trovarsi già contenuta nell’organismo primordiale. L’evoluzione non poteva essere altro che il dispiegarsi e l’attualizzarsi, a cascata, di un massimo potenziale vitale già dato all’origine.

 

La soluzione per salvare il darwinismo venne trovata dalla scuola, adottando la parcellizzazione dell’informazione genetica mendeliana. Il calcolo matematico della sua ricombinazione, permetteva anzi di spiegare il cambiamento evolutivo assai più coerentemente di quanto facesse l’eredità per mescolamento di Darwin. Il darwinismo, alla riscossa, inglobò così il mendelismo già a partire dagli anni ’30, ma dopo tale operazione si ritrovò assai diverso da quello del capostipite, addirittura quasi irriconoscibile. Da continuo e creativo com’era in Darwin, il processo di evoluzione per selezione era divenuto discontinuo e distruttivo. Huxley – che pur considera le obiezioni al riguardo – ritiene tuttavia che l’evoluzione mantenga comunque una sua continuità, e che la nuova e opposta qualità distruttiva della selezione venga compensata dalla creatività dell’opera congiunta di mutazione e selezione. Egli ritiene che l’uso della terminologia darwiniana, nonostante i notevoli cambiamenti semantici, non debba comunque venire abbandonato.[28]

 

La discussione dei rapporti tra genetica ed evoluzione e la crisi dell’idea weismanniana[29] di separazione tra soma e germoplasma, il problema della speciazione e delle sue cause, l’adattamento e la polemica col lamarckismo,[30] l’ortogenesi, e infine il concetto stesso di “progresso” evolutivo (l’evoluzione migliora o semplicemente “cambia” gli esseri viventi?), sono gli argomenti sui quali si dilunga il volume. Inutile riassumerli, visto che sono temi noti o facilmente ripassabili in qualunque manuale di biologia.

 

Ci preme notare, a onore dell’Autore, che ogni capitolo tiene conto di alcune obiezioni degli studiosi del tempo. Con quale successo è da discutersi (d’altronde anche autori assai più rigorosi di Huxley – capostipite Aristotele – caddero nella tentazione di presentare “avversari di paglia” alla bisogna), ma certo ciò testimonia che fin dall’inizio, la dottrina non ebbe vita piana tra i sapienti.

 



[1] J. M. Keynes, Autarchia economica, 1933, III.

[2] Cfr. B. Ingrao - G. Israel, La mano invisibile. L’equilibrio economico nella storia della scienza, Laterza, Roma-Bari 2006.

[3] Si veda ad es. il suo bel libro Dimenticare Darwin, Rusconi, Milano 1999.

[4] Cfr. Il crepuscolo dello scientismo, op. cit.; La mela di Newton la mela di Adamo, Nova Scripta, Genova 2006; L’anima scientifica, op. cit.

[5] Si vedano i suoi interventi in questo volume.

[6] La situazione, verosimilmente anche per il contributo di quell’inevitabile fenomeno fisico che è il pensionamento della vecchia generazione, sta cambiando. Per quanto possa sembrare folcloristica, è significativa la lista, un tempo inimmaginabile, del “Dissenso scientifico contro il darwinismo” firmata da oltre 600 scienziati e pubblicata su Internet all’indirizzo www.dissentfromdarwin.org.

[7] Naturalista francese, padre del catastrofismo, la teoria opposta al gradualismo geologico di Charles Lyell , che spiega la presenza dei fossili di creature non più esistenti con improvvisi eventi distruttivi che avrebbero sconvolto, in varie ere, il nostro pianeta. Si occupò approfonditamente della classificazione e della struttura dei molluschi, dei pesci, e dei fossili di mammiferi e rettili. Quest’ultimo settore lo portò a fondare la paleontologia dei mammiferi. Importanti le ricerche di osteologia e delle strutture animali. Ricoprì alti incarichi pubblici nelle istituzioni scientifiche francesi, e poco prima della morte venne addirittura nominato ministro degli interni di Francia.

[8] Il grande embriologo tedesco si oppose da subito alla teoria di Darwin, entro la quale il suo giovane avversario Ernst Haeckel incorporò invece la sua teoria embriologica (“L’ontogenesi ricapitola la filogenesi”) tanto da diffonderla come “prova” del darwinismo. Al contrario von Baer riteneva che gli organismi si sviluppassero dal generale al particolare, e che i caratteri generali apparissero nell’embrione prima dei caratteri specifici; da essi sorgeranno poi le caratteristiche più specifiche, fino alle singole specializzazioni morfologiche e funzionali. Egli denunciò le incongruenze della teoria di Haeckel, divenuta nel frattempo una sorta di cavallo di battaglia darwinista.

[9] Uno dei più grandi fisiologi del XIX sec., premio Nobel per la medicina, e Medaglia Copley. Fu anche un appassionato antropologo, fondatore della Società Antropologica Tedesca e dell’Associazione Antropologica di Berlino, pubblicando ricerche etnologiche di grande interesse, a seguito delle sue spedizioni internazionali. Di non minore rilievo fu la sua attività politica: membro del parlamento prussiano, fondò il Partito Progressista e fu un acerrimo avversario di Bismarck, che giunse persino a sfidarlo a duello. Dal 1880 al 1893 fu membro del Reichstag tedesco. A lui si devono la scoperta di diversi apparati anatomici, di un metodo standard per le autopsie, dei processi di trombosi ed embolia, e la determinazione che la genesi cellulare può avvenire solo a partire da altre cellule, e non da materia amorfa. La sua opposizione alla teoria darwiniana si basava su varie considerazioni, ma si tenne solida sull’argomento metodologico, sostenendo che essa dovesse essere considerata un’ipotesi e nulla più.

[10] Astronomo e senatore del Regno Sabaudo, fu il primo ad osservare i canali di Marte (1877). I suoi molti interessi lo portarono a occuparsi di molti rami dello scibile, tra i quali la teoria dell’evoluzione, sulla quale aveva un’interessante opinione ortogenetica.

[11] Allievo di Ernst Haeckel, che contesterà, filosofo vitalista e scienziato, pioniere dell’embriologia sperimentale, condusse importanti ricerche sui ricci di mare presso la famosa Stazione zoologica di Napoli tra il 1891 e il 1900. Ipotizzò un principio vitalistico che denominò entelechia, quale causa dello sviluppo e dell’evoluzione dei viventi. Insegnò filosofia nelle Università di Heidelberg, Colonia e Lipsia. Dal 1926 al 1927 presiedette la Society for Psychical Research. Tra le sue pubblicazioni: Teoria analitica dello sviluppo organico, 1894; Storia del vitalismo, 1905; Filosofia dell’organismo, 1908; Corpo ed anima, 1916; Parapsicologia, 1932.

[12] Docente nelle più importanti università italiane e zoologo di gran fama, concentrò i suoi studi sugli invertebrati, e sulla teoria generale dell’evoluzione, della quale sviluppò, a partire dal 1909, una visione originale che lui stesso battezzò “ologenesi”. Tra i suoi estimatori contemporanei citiamo L. Croizat e G. Montandon, il quale ultimo applicò l’ologenesi all’uomo fondando lo “ologenismo”. L’ologenesi nasce dall’insoddisfazione nei confronti di tre grandi difficoltà del neo-darwinismo, e cioè: il salto tra microevoluzione e macroevoluzione; la difficoltà di spiegare le estinzioni in meri termini di sopravvivenza del più adatto; l’inverosimiglianza degli schemi evolutivi conosciuti come risultato di semplici mutazioni casuali. Secondo Rosa, l’evoluzione non obbedisce al caso instradato dalla selezione, ma a ben definite “leggi intrinseche”. Il ruolo della selezione naturale è sottomesso a tali leggi.

[13] È molto interessante che il grande biologo e matematico scozzese D’Arcy W. Thompson sia stato anche uno studioso della classicità, e che in tale veste abbia tradotto in inglese le opere biologiche di Aristotele. La sua fama si deve al libro, meravigliosamente ben scritto e illustrato, On Growth and Form, Cambridge University Press, Cambridge 1917, 19422 (riedito da Dover, 1992): oltre mille pagine dedicate all’autoorganizzazione intesa come la forza sorgiva delle forme dei viventi, in opposizione alla selezione. La biologia, per Thompson, deve rivolgersi alle leggi della fisica e della meccanica e penetrare l’ordine sottostante le forme. I suoi esempi sono di una eleganza straordinariamente rivelatrice: ad es. la scoperta delle relazioni numeriche fra le strutture spirali nelle piante (fillotassi) e la serie di Fibonacci.

[14] Dopo la prima formazione come geologo, rivolse i suoi interessi alla genetica e all’embriologia sperimentale. Collaborando con Joseph Needham sviluppò i concetti di Evocazione e Individuazione. Trasferitosi all’Università di Edimburgo, dove dirigeva l’Unità di Riproduzione animale e Genetica, dedicò la vita all’integrazione della genetica con la teoria dello sviluppo. Ha dimostrato la realtà dell’assimilazione genetica. Le sue riflessioni e i suoi esperimenti  hanno impostato il quadro attuale dell’embriologia, con i suoi concetti di canalizzazione, epigenetica, epigenotipo, fino all’organizzazione epigenetica, sopragenomica, integrata ed ereditabile dello sviluppo embrionale. Ha recuperato alcune importanti idee di Lamarck per riconciliarle con la biologia contemporanea.

[15] Nato a Torino da una ricca famiglia di industriali, ebbe una vita tempestosa e commovente condotta fra l’Italia, gli USA, la Francia e il Venezuela (vale decisamente la pena di leggere la nota biografica di R. C. Craw, “Never a serious scientist: the life of Leon Croizat”, Tuatara 27 (1984) 1, pp. 5-7 recuperabile anche in Internet). Botanico di rara profondità, si oppose nonostante le convenienze accademiche alla biogeografia darwiniana, sostenendo la tesi secondo la quale le barriere geografiche e gli insiemi biologici localizzati coevolvono («La vita e la terra evolvono assieme»). Nasce così la panbiogeografia, un metodo di trasferimento su mappe delle distribuzioni degli organismi, capace di rivelare le antiche connessioni fra aree di distribuzione disgiunte, cioè la preesistenza di biota ancestrali, successivamente divisi da eventi tettonici o climatici. Nonostante le dure opposizioni alle sue teorie, Croizat è considerato uno dei più originali pensatori della moderna biologia comparativa.

[16] Biologo svizzero, direttore dell’Istituto zoologico dell’Università di Basilea, della quale fu anche rettore. Ha lasciato una quantità impressionante di studi sui cefalopodi, ma la sua fama è dovuta all’approccio allo studio della forma, principio che egli stesso fa risalire al Metamorphose der pflanzen di Goethe (cfr. A. Portmann, Le forme viventi, trad. It. Adelphi, Milano 1989). «L’ordine che domina i processi vitali [è un] ordine appartenente a un regno assai diverso da quello della nostra logica e i cui rapporti con quest’ultima rimangono profondamente enigmatici», scrive in “L’arte nella vita dell’uomo”, in: AA.VV., Dibattito sull’arte contemporanea, Comunità, Milano 1954, p. 133. Rifiuta il caso nella scienza, che ritiene un elemento di ignoranza; rifiuta il riduzionismo e l’utilitarismo in cui le discipline della vita si sono impastoiate.

[17] Cattedratico alla Facoltà di Scienze di Parigi, si occupò principalmente di protozoologia, entomologia e fitologia, curando anche un monumentale Traité de Zoologie in 35 volumi. La sua critica al darwinismo è presentata in L’Evolution du vivant. Matériaux pour une nouvelle théorie transformiste, 1973, trad. It. L’evoluzione del vivente, Adelphi, Milano 1979, dove tra l’altro sostiene che la fonte del flusso evolutivo va cercata fuori della mutazione; e che l’evoluzione procede per una linea principale che definisce «delle madri», dalla quale si sviluppano come stoloni le singole specie.

[18] Ecologo e primatologo giapponese, critico del darwinismo (disciplina peraltro già rifiutata in Giappone fino alla sconfitta bellica del 1945), del quale rinnegava selezionismo e gradualismo, sottolineando gli aspetti cooperativi del mondo naturale in un’ottica olistica. Le sue teorie rappresentano la risposta “orientale” alla scienza dell’Occidente ispirata all’economia. Durante il suo primo viaggio negli USA, dove espose le sue ricerche sui primati, venne ridicolizzato per i metodi “antromorfizzanti” nel trattare gli animali che studiava. Oggi la primatologia riconosce in lui un precursore.

[19] Nel suo famoso libro Darwinism: The Refutation of a Myth, Croom Helm, Beckingham 1987, l’eminente embriologo svedese sottolinea che la maggior