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La crisi economica secondo Obama

di Gianni Duchini - 02/07/2010


     L’esito negativo del G8-G20 conferma un giudizio che da tempo aleggiava nella testa di tutti i  governanti dei maggiori paesi mondiali: ognuno segua gli interessi dei propri stati; sintomo di un incipiente  multipolarismo riservato soltanto a quei paesi  in grado di  tirare le fila  ai  più consoni  interessi nazionali.



    Rimane, pertanto, l’impossibilità di trovare accordi in un mondo diviso su tutto, anche se, paradossalmente unito, nello stesso giogo, cui sembra, condannato in particolare l’intero “pianeta occidentale”, con  riferimento ai redditi e all’occupazione.
    Pur tuttavia, qualcosa di “insensato” e di apparentemente economico, tiene in vita l’insieme del mondo occidentale, espresso da un dominio Usa sull’Europa sempre più oppressivo, grazie agli elevatidisavanzi pubblici di Obama e ai bassi tassi di interesse di Bernanke (Presidente della Banca Centrale Usa); una micidiale combinazione tecnica di strumenti finanziari,  la cui  crescita smisurata, che gli Usa scaricano sul resto del mondo, è soltanto il lato economico di un sotteso  rapporto di predominio.  
      Secondo il Presidente americano le cause del disavanzo pubblico sono soltanto economiche enon dipendono dalle proprie politiche (di dominio) semmai, al contrario, da quelle di Cina e Germania.
      La Cina è paese fondamentale  su cui poter continuare ad appuntare un assetto strategico, data la sua capacità espansiva ed essendo la stessa un serbatoio di liquidità finanziaria riempito dagli investimenti in Bond (Usa) comprati dai risparmiatori cinesi, i quali, indirettamente, sostengono il consumo degli americani, o quantomeno  ne riducono l’eventuale restrizione. E da queste interconnessioni, non solo economiche, crescono le preoccupazioni geopolitiche americane  affinché non debba o non possa incrinarsi il proprio assetto preposto ad una strategia indispensabile che si può compendiare nel “sempre più favorevole agli interessi Usa” e che intanto, più prosaicamente, segnala o suggerisce al governo cinese ,  di non affidare alla libera oscillazione del mercato la scelta del rapporto di cambio dello yuan ( rivalutazione), onde ridurre le esportazioni cinesi in Usa e,  di converso, poter favorire un maggior aumento di  importazioni Usa in Cina.
     Poi c’è la Germania,  paese europeo a dominio Usa,  accusata di produrre un  forte avanzo della sua bilancia con l’estero (Usa), oltre ad aver saputo imporre una politica di restrizione fiscale al resto dell’Unione europea: viatico, quest’ultima, di  “liberazione di capitali” e strumento finanziario  di  impulsi  di ripresa dello sviluppo economico.
   Un  continuo disappunto degli Usa  nei confronti di ogni tentativo posto da ciascun paese nella difesa dei propri interessi nazionali, così come è stato espresso recentemente con una lettera di Obama ai “Grandi” (prima del G8-G20) con cui vengono formulate preoccupazioni sui possibili effetti deflazionistici derivanti da un anticipo del rigore dei bilanci pubblici, che aggraverebbe, ancorché risolvere, i problemi della finanza pubblica e dello sviluppo. Come dire, il tutto si risolve nel poter ancora continuare a scaricare il deficit Usa sull’intera economia mondiale, grazie alla libera circolazione della propria “mondezza finanziaria” rivolta con particolare accanimento nei confronti dei più dominati paesi europei, obbiettivi fondamentali delle particolari attenzioni del governo Obama.