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«Il suicidio dell’Occidente» nell’intervista di Luigi Iannone a Roger Scruton

di Francesco Lamendola - 02/07/2010



Accademico, giornalista, avvocato, romanziere, compositore, classe 1944, da alcuni (ad esempio, dall’americano «New Yorker») l’inglese Roger Scruton è considerato addirittura il massimo filosofo mondiale vivente.
Questo è certamente eccessivo; è vero, semmai, che Scruton è uno dei più pugnaci e determinati difensori della civiltà occidentale e del conservatorismo contemporaneo. Fra i suoi lavori tradotti in italiano si ricordano «Guida filosofica per tipi intelligenti» (1997); «L’Occidente e gli altri. La globalizzazione e la minaccia terroristica» (2004); «Manifesto dei conservatori» (2007).
Ora (maggio 2010)  la Casa editrice Le Lettere di Firenze ha appena pubblicato un volumetto in cui Luigi Iannone, scrittore e saggista, studioso di illustri figure di conservatori moderni quali Prezzolini, Schmitt e Jünger, intervista Roger Scruton su una serie di temi di scottante attualità, per fornire una specie di bussola a quanti non si rassegnano all’ineluttabilità dello spengleriano “tramonto dell’Occidente”. Il libro si intitola «Il suicidio dell’Occidente» ed è accompagnato da una breve premessa, nella quale Iannone inquadra con semplicità e chiarezza le linee essenziali del pensiero del filosofo britannico.
L’intervista è articolata in sei agili sezioni, dedicate, rispettivamente, al problema dello Stato-nazione e del suo eventuale superamento; all’arte e alla bellezza; alla bioetica e alla questione del sacro; ai diritti individuali e alla privacy; all’economia globale; e, infine, al binomio democrazia-partecipazione.
Secondo Scruton, l’uomo occidentale, e soprattutto l’uomo europeo, sono prigionieri di una deleteria tendenza ad autodenigrarsi, a negare la propria identità storica e culturale e a cercare sempre nuovi riferimenti in un non meglio identificato universo dei diritti, mentre è propenso a parlare sempre meno dei corrispondenti doveri.
Imprigionato in una società sempre più edonistica e mutilato degli antichissimi legami con la sfera del sacro, l’uomo europeo sta cedendo alle suggestioni teoriche di coloro i quali negano radicalmente la tradizione, proprio in un momento storico particolarmente delicato, quello in cui l’Occidente deve fronteggiare la minaccia, esplicita o potenziale, di un Islam integralista e fanatico (bisognerebbe però vedere quanto ciò sia il risultato di una sciagurata politica delle più recenti Amministrazioni americane, sempre più legata a filo doppio al sionismo e dissennatamente ostile a regimi arabi laici e moderati, come lo era quello, truce finché si vuole, di Saddam Hussein, peraltro sempre più presentabile di quelli kuwaitiano e saudita).
L’intervista realizzata da Luigi Iannone è tesa, graffiante, a tratti addirittura quasi sgradevole da un punto di vista “politicamente corretto”; ma sempre stimolante e ricca di spunti di riflessione per il lettore libero da pregiudizi ideologici e disposto a ragionare liberamente a trecentosessanta gradi sulla realtà del mondo contemporaneo.
In particolare, Scruton mette in evidenza una delle debolezze fondamentali dell’Occidente: il fatto che la gran parte dei suoi intellettuali, a differenza della gente comune, si siano allontanati con disprezzo dalla tradizione e dal sacro, abbiano rescisso il legame con le generazioni passate e con quelle future e si siano fatti veicolo di una cultura che si sforza di abolire, anche visivamente (come nel caso delle arti plastiche e figurative e soprattutto in quello dell’architettura), la dimensione della trascendenza, rinchiudendo i nostri pensieri e le nostre emozioni entro un universo materialistico sempre più asfittico e circoscritto.
Come dice Iannone nella premessa (pp. 11-12), «Scruton crede in una rivalutazione dell’elementare modello sociale operante nella vita quotidiana; quel modello che, seppur poco persuasivo per l’élite intellettuale, fa riferimento a una rivalutazione del sacro, della cultura, del buon senso e della responsabilità nei doveri.
C’è di più. Il passaggio dal contratto sociale al “patto non scritto con i morti e con i non nati” può anche creare un ponte culturale, una sorta di richiamo pre-politico in vista di battaglie comuni per quel mondo ambientalista che nei decenni ha sposato in toto le cause di certo radicalismo, mentre al contrario restano vivaci le polemiche con il mondo animalista perché, come Eliot, Scruton ritiene che la creatività e i sussulti della modernità sono possibili esclusivamente all’interno di un assetto che non ometta la trasmissione di memoria […], nella quale rientra anche l’idea che l’uomo suia la specie predominante.»
Non tutte le tesi esposte da Sctuton sono condivisibili, a cominciare - a nostro avviso - proprio da questa nota antropocentrica la quale, se è in linea (è vero) con la nostra tradizione, non lo è però con una critica della modernità che sappia elaborare categorie culturali e valori capaci di oltrepassare quest’ultima e non solamente di negarla; però, ripetiamo, si tratta di una lettura sempre interessante, a volte provocatoria, non di rado salutarmente demistificante.
Crediamo, pertanto, che Iannone abbia fatto cosa utile adoperandosi per la conoscenza del pensiero di Scruton in Italia.
In questo modo, infatti, egli ha dato un contributo non indifferente al dibattuto sulla modernità, sulla crisi dei valori e, più in generale, sulla crisi dell’Occidente: intorno al quale ruotano non solo dispute più o meno accademiche di professori e saggisti, ma la scottante concretezza del nostro prossimo futuro e, in definitiva, il destino che ci attende.