Il petrolio sta finendo?
di George Monbiot - 02/10/2005
Fonte: comedonchisciotte.org
Nessuno sa quanto ne sia rimasto, ma l’umanità non può attendere oltre per trovare qualche alternativa.
Le riserve mondiali di petrolio sono arrivate al loro “picco”? Cioè, in altre parole, hanno raggiunto il massimo dello sfruttamento e da adesso in poi continueranno a discendere? La risposta è molto semplice: nessuno lo sa.
Prendiamo in considerazione queste due affermazioni: 1) “L’anno scorso la Saudi Aramco ha affermato in modo credibile che nel regno ci sono ancora da 500 a 700 miliardi di barili di petrolio da scoprire.” 2) “Sembra molto chiaro che l’Arabia Saudita stia per arrivare al suo “picco” e che non possa più materialmente aumentare la sua produzione di petrolio.”
La prima dichiarazione proviene dalla Energy Intelligence, una ditta di consultazione utilizzata dalle principali compagnie petrolifere. La seconda la troviamo nel libro di Matthew Simmons, consulente del presidente Bush in materia di investimenti energetici. A chi dobbiamo credere? Ho letto, finora, circa 4.000 pagine sull’argomento, e ne so meno di prima. L’unica conclusione a cui sono pervenuto è che i paesi produttori di petrolio sono dei gran bugiardi.
Nel 1958 il Kuwait aveva annunciato di possedere il 50% in più del petrolio che aveva dichiarato in precedenza. Erano stati scoperti dei nuovi giacimenti? Erano state impiegate delle nuove tecnologie che riuscivano a estrarre ancora più petrolio? No. L’OPEC, il cartello dei paesi produttori a cui il Kuwait apparteneva e che decideva il prezzo del prodotto, aveva deciso di assegnare le quote di produzione ai vari paesi in proporzione alle riserve esistenti. Più erano grandi più si poteva produrre. Gli altri stati ben presto hanno seguito l’esempio del Kuwait, così le riserve sono aumentate di 300 miliardi di barili: abbastanza, se vere, ad alimentare il mondo per dieci anni. Questo magico petrolio poi non si esaurisce mai. Anche se la produzione ha da tempo superato le nuove scoperte il Kuwait afferma di avere le stesse riserve che aveva nel 1985.
Per avere una risposta credibile ci rivolgiamo allora alla US Geological Survey, così scopriamo che le sue stime, riguardo alle riserve mondiali di petrolio, sono attendibili tanto quanto le affermazioni del Pentagono per quanto riguarda le armi di distruzione di massa nell’Irak. Secondo i loro dati nel 1981 avevamo 1.719 miliardi di barili di petrolio, nel 2.000 ne avevamo 2.659. Però le scoperte di nuovi giacimenti hanno raggiunto il loro massimo nel 1964. Da dove sono usciti fuori le maggiori riserve?
E’ vero che le riserve mondiali non sono fisse. Con l’avanzare della tecnologia o l’aumento del prezzo certi pozzi che prima erano troppo costosi da sfruttare adesso diventano redditizi. Però, secondo il geologo Jean Laherrère: “Non ci sono prove che le riserve o le nuove scoperte siano aumentate di ben cinque volte rispetto a prima. Anzi un tale miglioramento risulta altamente improbabile, tenuto conto che negli ultimi 20 anni ci sono stati grandi progressi tecnologici, si è portata la ricerca in tutto il pianeta, e ci si è deliberatamente sforzati di trovare gli eventuali grossi giacimenti rimanenti.”
Gli elevati prezzi attuali del petrolio sono dovuti più a scarsità da parte delle raffinerie, aggravata dagli uragani avvenuti nel golfo del Messico, che a una scarsità del greggio a livello mondiale. Dietro a questo problema ne compare un altro. Secondo i dati pubblicati da Chris Vernon la settimana scorsa, per conto dell’organizzazione Power Switch, la produzione del greggio, dal 2.000 in poi, è cresciuta mentre è diminuita, di 2 milioni di barili al giorno, la produzione del greggio di tipo leggero, e cioè quello più adatto a produrre la benzina per gli autoveicoli. Questo tipo di greggio, ha affermato, è già arrivato al suo picco. La crisi delle raffinerie deriva anche da questo particolare, non ci sono abbastanza impianti per raffinare il tipo di greggio più pesante.
E allora? Chi lo sa? Tutto quello che posso dire è che anche George Bush stesso non sembra condividere l’ottimismo della US Geological Survey. “In termini di rifornimento mondiale” ha detto nel mese di marzo “ Credo che se guardiamo a tutte le statistiche la conclusione è che la domanda supera l’offerta, e l’offerta si sta restringendo.” Che cosa sa che noi non sappiamo?
Se le cifre sono false, siamo fregati. Può sembrare esagerato ma la conclusione non è mia. E’ quella dei consulenti dell’US departement of energy. Questo organismo ha rilasciato a febbraio un rapporto dal titolo: “Peaking of World Oil Production: Impacts, Mitigation and Risk Management”. Ho detto ‘rilasciato’ perché il rapporto non è stato mai pubblicato. Per parecchi mesi l’unica copia visibile al pubblico si trovava nel sito web della Hilltop high school di Chula Vista, in California.
I consulenti del dipartimento, con a capo l’analista Robert L. Hirsch, hanno concluso che “senza misure appropriate, i costi economici, sociali e politici saranno senza precedenti”. E’ possibile ridurre la domanda e cominciare a rivolgersi a fonti alternative, ma ci vorranno “da 10 a 20 anni” e “migliaia di miliardi di dollari”. “Attendere il picco della produzione mondiale senza intraprendere appropriate misure d’urgenza significa lasciare il mondo senza un’adeguata quantità di combustibile per più di 20 anni”, causando così problemi “mai visti in precedenza dalle società industriali moderne.”
Naturalmente sono cose già sentite. Ambientalisti e analisti del petrolio ci hanno avvisato della scomparsa delle riserve sin da quando sono iniziate le prime perforazioni, e finora si sono sempre sbagliati. Secondo gente come lo statistico danese Bjorn Lomborg ciò è avvenuto perché l’industria si è saputa auto regolare. “I prezzi reali elevati riducono i consumi e incoraggiano la ricerca di altre fonti. Dal momento che le ricerche costano esse non possono iniziare molto tempo prima della produzione. Di conseguenza i nuovi pozzi si aggiungeranno di continuo man mano che la domanda cresce…. Non si userà più il petrolio quando si saranno trovate altre forme di energia più convenienti.”
Pare che si sia sbagliato su tutto. Il periodico Economist ha fatto presente, il 10 settembre, che “ a breve termine, la domanda di petrolio è del tutto inelastica”, perché la gente, non importa quanto costa, deve sempre raggiungere il posto di lavoro. Secondo l’analista citato dal giornale: “un raddoppio del costo della benzina in America ne abbasserebbe il consumo soltanto del 5%”.
L’idea di Lomborg che le ditte petrolifere possano trovare il petrolio quando vogliono, quando la domanda cresce, fa pensare che egli consideri la geologia malleabile come le scienze statistiche. Un giorno, almeno speriamo, certamente emergerà qualche forma nuova di tecnologia, però al momento non esistono, per almeno qualche decennio, alternative a basso costo dei combustibili liquidi. Si, è vero, i pessimisti stanno gridando “Al lupo, al lupo” da almeno un secolo. Però è meglio questo che, forse, gridare “Alla pecora” quando i lupi sono arrivati.
Il rapporto di Hirsch non sembra in sintonia con quelli che credono alla magia del mercato. “Prezzi elevati non provocano, a priori, un aumento della produzione. In ultima analisi è la geologia il fattore limitante.” Ci sono molte altre forme geologiche che contengono petrolio, come sabbie, scisti ecc., però ci vorranno anni e investimenti massicci prima che si rendano disponibili in quantità adeguate. Hirsch paragona le proiezioni degli ottimisti del petrolio con gli ottimisti del gas alla fine degli anni 90, i quali avevano promesso, in Canada e negli USA “ rifornimenti crescenti a prezzi ragionevoli per tutto il prevedibile nel futuro.” Ora le stesse persone si lamentano che esiste un deficit. “Il mercato del gas naturale, nell’america del nord, si è preparato per il più lungo periodo di prezzi elevati della sua storia, anche tenendo conto dell’inflazione… La produzione di gas negli USA (esclusa l’Alaska) sembra essere in un declino duraturo.”
“La conclusione”, afferma Hirsh, “ è che nessuno sa con certezza quando la produzione mondiale di petrolio raggiungerà il suo massimo, però i geologi sono certi che quel momento arriverà.” Le nostre speranze di avere una transizione leggera poggia su due proposizioni: che le cifre presentate dai produttori di petrolio siano esatte, e che i governi si decidano a intervenire prima di essere obbligati. Spero che questo vi rassicuri.
George Monbiot
Fonte: www.commondreams.org
http://www.commondreams.org/views05/0927-30.htm
Scelto e tradotto per www.comedonchisciotte.org da VICHI