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Sull’eolico bugie ad arte

di Simonetta Lombardo - 23/07/2010

 
Simone Togni, segretario generale di Anev, l’associazione dei produttori dell’energia del vento, reagisce duramente al tentativo di associare l’intero settore industriale alle inchieste giudiziarie in corso

 
Ma che c’entra l’eolico con le mire di questi signori che volevano servirsi della magistratura o del lodo Alfano? Le risulta che a oggi ci sia un imprenditore dell’eolico coinvolto nella vicenda sarda? Lei ha capito cosa c’entra l’energia eolica con quella che i giornali chiamano P3?». È irrituale che a fare le domande sia l’intervistato, ma Simone Togni, il segretario generale di Anev, l’associazione dei produttori dell’energia dal vento, ha da togliersi dalle scarpe una certa quantità di sassolini. E Terra ha deciso di dare voce a un settore che compare sulle cronache di queste settimane sotto una luce sinistra: “pascolo frequentatissimo della criminalità organizzata”, ha addirittura scritto un commentatore di un autorevole quotidiano d’opposizione, manco si trattasse del traffico di carne umana.
 
Non ci sono imprenditori del vento come tali, nell’affaire sardo. Eppure abbiamo letto tutti che l’inchiesta è partita dagli appalti sull’eolico…
Già. Peccato che sul’eolico gli appalti proprio non si possano fare, per legge.
 
Che significa?
L’eolico è un settore in cui non esistono appalti. Per fare un appalto occorre che ci sia un’opera pubblica che la pubblica amministrazione decide di affidare a un privato con una gara. Nelle rinnovabili non funziona così. La legge dice che il vento, come tutte le risorse ambientali, non è una risorsa disponibile. Inoltre, gli impianti non si possono neanche sovvenzionare: non ci sono meccanismi per cui io posso prendere soldi per installare una pala. L’eolico è un’altra cosa.
 
Ci spieghi allora cos’è.
È un’attività imprenditoriale, realizzata da investitori privati, che sviluppano un progetto. Se il progetto gode dei requisiti necessari per legge, sulla carta le Regioni possono dare l’autorizzazione alla realizzazione degli impianti entro 180 giorni: nei fatti ci mettono anche 5 anni. La produzione elettrica viene remunerata dalla borse elettrica, come per tutte le fonti energetiche. E come per tutte le rinnovabili per l’energia effettivamente messa in rete vengono riconosciuti dei certificati verdi che vengono messi sul mercato. Gli incentivi, se si vogliono chiamare così, non ci sono sulla costruzione di un impianto ma solo sull’energia già prodotta. Non si tratta di un meccanismo premiale inventato da chissà chi. Le aziende elettriche devono comprare i certificati verdi per raggiungere l’obiettivo del 29 per cento di produzione elettrica da fonti rinnovabili entro il 2020 previsto dalle direttive europee per la protezione del clima e recepito per legge nel nostro paese. E oggi siamo solo al 20 per cento. Si tratta di lavorare duro se non si vogliono pagare le multe europee».
 
Insomma, secondo lei, un settore a prova di bomba per quello che riguarda l’infiltrazione della malavita o per meccanismo di corruzione.
Guardi, a prova di bomba non c’è niente. Se un mafioso si mette nel campo dell’energia eolica e fa i passi giusti per avere le autorizzazioni diventa un imprenditore dell’eolico ma rimane un mafioso e come tale va trattato. Il punto è che ci sono numerosi settori dove è stato accertata la presenza della criminalità organizzata, per esempio nella costruzione delle autostrade. Ma non si è mai detto fermiamo le autostrade. Se ci sono dei malavitosi nell’eolico, come altrove, vanno arrestati. Ma non è che si mette sotto accusa un intero settore, con titoli di giornale campati in aria e meccanismi totalmente inventati.
 
E voi cosa fate per eliminare le possibili mele marce?
Come associazione abbiamo firmato assieme a Confindustria un protocollo sulla trasparenza. E come settore siamo tra quelli che hanno minori occasioni di altri. Non fosse che per il fatto tutti gli investimenti sono fatti in project financing e che a controllare fino all’ultima visura sono le cinque maggiori banche europee.
 
Vi siete attirati i fulmini di una certa stampa.
C’è in giro malafede. Perché il giornale che ha fatto le 10 domande al premier su una questione di escort non fa 10 domande – non dico all’Anev – ma a un soggetto terzo, all’Autorità per l’energia o al gestore della rete su come funzionano le cose?