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Per la Fiat l’Italia è un peso, meglio l’estero

di Filippo Ghira - 23/07/2010

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La verità vera è che la Fiat sogna di trasferire la produzione all’estero e di chiudere le fabbriche in Italia. Gli operai italiani hanno infatti troppe pretese. Nel senso che non vogliono essere trattati da schiavi ma da persone. Meglio quindi andare in Paesi dove queste seccature nemmeno si pongono. Ne è conferma l’annuncio fatto da Sergio Marchionne, amministratore delegato in pullover, che ha annunciato il trasferimento della produzione della monovolume L0 da Mirafiori a Kragujevac in Serbia.

Marchionne, con poco senso del ridicolo, è arrivato ad affermare che se i sindacati italiani fossero stati più seri, la produzione sarebbe stata lasciata a Mirafiori dove era stata inizialmente pensata. Visto però che più di un terzo del sindacato, nello specifico la Fiom, non vuole accettare le imposizioni del Lingotto per Mirafiori, la Fiat, che è una impresa globalizzata, trasferirà altrove la produzione della nuova L0. Peraltro, nel più classico stile Fiat, la scelta dello stabilimento serbo della ex Zastava è stata dettata da motivi squisitamente finanziari. L’investimento previsto è di un miliardo di euro. La Fiat sgancerà infatti appena 350 milioni di euro. Ben 400 milioni verranno forniti dalla Bei (la Banca europea degli investimenti) e gli altri 250 milioni verranno versati dal governo di Belgrado. Il tutto servirà per produrre 190 mila vetture all’anno di un modello che sostituirà la Multipla, la Musa e l'Idea che attualmente vengono prodotte appunto a Mirafiori

Marchionne ha messo le cose in chiaro ammettendo di fatto che si tratta di una ritorsione e di un monito per il plebiscito che è mancato a Pomigliano sulla sua proposta di contratto capestro rivolta agli operai. Un contratto basato su un ricatto preciso. La Fiat trasferirà nello stabilimento campano la produzione della Panda, attualmente realizzata a Tychy in Polonia, investirà ben 750 milioni di euro, ma voi operai dovete accettare nuove condizioni di lavoro capestro, apertamente in contrasto con il contratto nazionale di categoria e con lo Statuto dei Lavoratori. Prendere o lasciare. Così, anche se le condizioni previste erano l’introduzione massiccia degli straordinari, il taglio delle pause da 40 a 30 minuti, il divieto di sciopero pena il licenziamento, ben il 62,2% degli operai campani ha detto sì. Un posto di lavoro è stato reputato quindi più importante della decenza e della propria dignità di lavoratori e di uomini. Sono stati del resto gli altri sindacati (Fim-Cisl, Uilm, Ugl e Fismic) a spingere i propri iscritti a votare sì. Salvo poi accorgersi che il no ha raccolto il 36%, ben oltre il peso della Fiom a Pomigliano. Una percentuale che ha preoccupato non poco Marchionne ed Elkann, coscienti che, viste queste premesse, la pace sociale a Pomigliano, è qualcosa di molto aleatorio. Di conseguenza i vertici del Lingotto hanno pensato bene di indossare l’elmetto e scendere in guerra. E tanto per far capire l’aria che tirava hanno deciso di non corrispondere il promesso premio di produzione di 600 euro già corrisposto nel 2009, seppure per la metà di quanto versato nel 2008.

Gli scioperi indetti a Mirafiori per questo motivo hanno di conseguenza innescato la reazione di Marchionne che ha voluto lanciare un preciso ed intimidatorio segnale agli operai. Il segnale è chiaro e brutale. Badate, dicono i capi della Fiat, siamo ormai una impresa globalizzata, produciamo e vendiamo in tutti i Paesi del mondo. In tale ottica l’Italia è una dei tanti. Produciamo negli Stati Uniti e in Canada con la quale presto ci sarà una fusione. Produciamo in Brasile (Betin) e in Argentina (Cordoba). Abbiamo stretto accordi per produrre in Cina e in India, i mercati del futuro. Cosa volete che ci importi dell’Italia dove abbiamo già deciso di chiudere Termini Imerese alla fine del 2011? E ci possiamo pure permettere di minacciare la chiusura di Pomigliano senza che nessuno al governo e all’opposizione (salvo l’Italia dei Valori) si alzi in piedi per protestare. Anzi, ci è mancato poco che ci abbiano detto pure “bravi!”.
Dobbiamo produrre senza correre il rischio che qualcuno blocchi le catene di montaggio, si è difeso Marchionne. Se Pomigliano non decollerà andremo altrove. Quindi la frase “storica”. I sindacati, ha sostenuto, devono convincersi della necessità di “modernizzare” i rapporti industriali in Italia. Della serie, gli operai devono calarsi le braghe e tornare a prima del 1969. Soprattutto perché, ha affermato Marchionne, facendo i conti della serva, ricavi meno costi, l’Italia è l’unico Paese in cui la Fiat avrebbe i conti in rosso. Affermazioni respinte dalla Cgil che ha proclamato per oggi uno sciopero di due ore in tutti gli stabilimenti del gruppo per protesta contro l’atteggiamento arrogante dell’azienda e per la mancata corresponsione del premio di produzione.
Il commento del sindaco di Torino, Sergio Chiamparino, si è giocato sull’equilibrismo. Da un lato il primo cittadino ha affermato che non è accettabile che lo stabilimento di Mirafiori, il primo che ha creduto nella possibilità di un rilancio dell'intero progetto Fiat in Italia, paghi le conseguenze di un accordo dimezzato su Pomigliano. Detto questo, Chiamparino, sposando le ambiguità del PD ha rivolto un appello alle parti sociali perché si sforzino di comprendere un progetto come quello di “Fabbrica Italia” (in realtà a voler bene vedere si tratta di “Fabbrica Mondo”) che ha delle caratteristiche quasi “rivoluzionarie” per la situazione produttiva del nostro Paese. Quindi bisogna guardarlo con occhi nuovi rispetto al passato. Della serie: operai accettate le condizioni della Fiat.
Ah, i bei tempi di Lama e Berlinguer…