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L’eredità di Enrico Mattei

di G. Gabellini - 26/07/2010





Enrico Mattei fu probabilmente l’uomo di maggior spessore nel panorama politico e industriale dell’Italia novecentesca. Un uomo irriducibilmente autonomo, tanto timido e riservato all’apparenza quanto spietato, aggressivo e vorace quando si trattava di approcciare con il mondo degli affari.
Industriale e capo partigiano di discreto successo, il 28 aprile 1945 Mattei fu chiamato dal Comitato di Liberazione Nazionale per l’Alta Italia a ricoprire il ruolo di amministratore unico dell’Agip, vecchio carrozzone fascista che si occupava di idrocarburi, con l'incarico di sovraintendere alla sua liquidazione, in ottemperanza alle direttive imposte dalla logica di Yalta, che aveva relegato l'Italia, paese uscito sconfitto militarmente e ideologicamente dalla Seconda Guerra Mondiale, in ruolo subalterno rispetto agli Stati Uniti. Mattei accettò questa nomina, ma una serie di valutazioni politiche ed economiche lo spinsero a concludere che liquidare l’Agip sarebbe stato il più grave degli errori. Maturò così la decisione di fondare l'ENI, Ente Nazionale Idrocarburi, che avrebbe inglobato l'Agip, allo scopo di dotare l'Italia di un’azienda energetica statale, finalizzata a garantire al corpo industriale italiano tutto l'approvigionamento energetico necessario alla crescita nazionale, al minor prezzo possibile. Per capitalizzare questo ambiziosissimo progetto, Mattei impiegò metodi estremamente spregiudicati, sia nei confronti della concorrenza estera sia interferendo pesantemente nella politica interna italiana. Distribuì finanziamenti e tangenti alla DC, al PC, al MSI, al PSI, al PRI; fondò “Il Giorno”, quotidiano di proprietà dell'ENI, e fece piovere denaro su buona parte della stampa italiana perché assecondasse i suoi progetti. Trovò nel solito scribacchino filoatlantico Indro Montanelli il più acerrimo dei nemici. Apriamo un'importante parentesi: si badi bene che in Italia Montanelli ha fatto da capostipite ai "moralisti" odierni, che hanno spinto fino al parossismo la squallida retorica relativa alla cosiddetta "questione morale", nient’altro che il classico specchietto per le allodole che ha permesso alla grande finanza d'oltreoceano di portare avanti, con il benestare della subordinata Confindustria e per mezzo del braccio armato della magistratura, la massiccia opera di smantellamento della sacrosanta autonomia energetica italiana. Gli attacchi a Mattei vanno quindi letti nella stessa ottica di quelli che i moralisti odierni rifilano alle aziende autonome nazionali. Chiusa la parentesi. Nell'immediato dopoguerra l'ostinata ed efficace condotta di Mattei determinò i primi screzi tra Italia e Stati Uniti, i quali consideravano l'ENI una potenziale minaccia ai propri interessi strategici. Le fortissime pressioni che Washington esercitò sul governo italiano guidato da Alcide De Gasperi non riuscirono però nell'intento di riallineare la penisola sulla direttrice atlantica. De Gasperi dimostrò notevole spessore politico resistendo agli atti di forza di Washington, anche in virtù del fatto che sostenere i disegni di autonomia energetica progettati dall'ENI comportava il necessario perseguimento di una politica estera italiana inesorabilmente indipendente e spesso opposta agli interessi americani. Gli ambiziosi progetti ideati da Mattei si rivelarono molto più intelligenti e lungimiranti rispetto a quelli tradizionali (il famoso “fifty – fifty”) portati avanti dalle compagnie americane, quelle "Sette sorelle" che secondo Montanelli non erano "Nemmeno cugine". Il fatto che queste sette compagnie petrolifere controllassero, all'inizio degli anni Cinquanta, il 90% delle riserve petrolifere al di fuori degli Stati Uniti, che disponessero del 75% delle capacità di raffinazione mondiale e che fornissero circa il 90% del petrolio trattato sui mercati internazionali non costituiva, evidentemente, un problema per questo bel soggettino. Le "sette sorelle" alimentavano una sorta di circuito chiuso per la gestione degli interessi petroliferi mondiali. Ciò le poneva nella condizione di esercitare un controllo diretto sull'economia petrolifera mondiale, consentendo loro di mantenere a livelli altamente remunerativi i rapporti tra domanda e offerta, con la soverchiante potenza politica e militare statunitense a mettere i loro interessi al riparo da pericolosi nuovi concorrenti. Mattei seppe insinuare l'ENI tra le maglie di questo sistema falsato, dando il via a una campagna di sondaggi esplorativi in svariati paesi africani. Il primo successo arrivò con l'acquisto di una quota di partecipazione in una società petrolifera egiziana. Fu in quell'occasione che Mattei presentò al mondo intero la lungimirante politica petrolifera italiana. L'ENI erogava i finanziamenti necessari per l'effettuazione di sondaggi esplorativi, e qualora questi avessero dato un esito positivo, il paese proprietario dei pozzi avrebbe avuto accesso paritario con l'ENI per lo sfruttamento dei giacimenti. L'ENI si accollava così l'intero onere dei rischi e accettava di dividere gli eventuali guadagni. Una strategia estremamente rischiosa, ma che sortì effetti estremamente vantaggiosi, in quanto spalancò all'ENI molte porte; una su tutte, quella iraniana. Gli accordi presi con l'Iran il 14 marzo 1957 sono tecnicamente collocabili sul medesimo solco tracciato nell'affare egiziano, ma sortirono ripercussioni piuttosto determinanti sul panorama politico internazionale. Il 6 aprile 1957 la rivista economica americana Business Week scrisse che "La nuova iniziativa dell'ENI potrebbe determinare una reazione a catena nelle trattative con i paesi produttori per una più ampia partecipazione ai profitti petroliferi". Il 2 settembre dello stesso anno il New York Times insinuava il dubbio che a questa nuova politica petrolifera "Seguisse inevitabilmente una generale agitazione fra gli stati arabi per un trattamento ugualmente favorevole, con effetti distruttivi sull'industria petrolifera", arrivando a definire "Un ricatto" lo spregiudicato modo di condurre affari portato avanti dall'ENI. Perseguendo con caparbia ostinazione questi progetti, Mattei assestò un duro colpo alle regole imposte dal "cartello" petrolifero dominante, costringendone i membri a rivedere al ribasso le proprie smanie depredatrici. Stizziti da questa insubordinazione, il National Security Council, il Dipartimento di stato, quello della difesa e quello degli interni, dichiararono congiuntamente, in un apposito documento, che "In virtù del loro ruolo di strumenti della nostra politica estera sia in Europa, sia in Medio Oriente, qualsiasi attacco alle nostre società petrolifere in quelle aree dovrebbe riguardarsi come un fondamentale attacco all'intero sistema Americano". Il tono intimidatorio, con un vago richiamo alla "Dottrina Monroe", tenuto nel documento in questione risulta più che evidente. La minaccia maggiore rappresentata da Mattei per gli americani era però un'altra. Nel 1958 l'ENI siglò infatti una accordo nientemeno che con l'Unione Sovietica, finalizzato all'acquisizione di petrolio in cambio di vaste forniture di gomma sintetica, prodotta dall'Anic, una società controllata dall'ENI. L'Unione Sovietica necessitava delle tecnologie occidentali, e l'ENI (soprattutto dopo il rilancio del "Nuovo Pignone") era dotata di un know - how di tutto rispetto. Il parlamento decretò la ratifica immediata del patto, malgrado l’Italia fosse un paese cruciale all’interno del patto atlantico. Si avviò così un legame commerciale piuttosto stretto, che fece ricadere benefici su entrambe le parti. Alle compagnie petrolifere e al governo statunitense (fortemente irritati e increduli di fronte a tanta caparbietà) che lo incalzavano, Enrico Mattei, in un suo discorso risalente al 1961, fornì le motivazioni precise che lo spinsero ad adottare una condotta simile, affermando che "La nostra condotta politica ha ottenuto successi, in quanto alla sua azione si deve il fatto che tutti i prodotti petroliferi venduti in Italia hanno i prezzi più bassi d'Europa. Noi non abbiamo portato via denari ai paesi produttori, i quali hanno diritto a percepire profitti e imposte dalle loro riserve petrolifere; ma ci ribelliamo all'idea di pagare il 40 - 50 per cento di profitto agli intermediari. Su questo balzello privato non siamo più d'accordo, non lo vogliamo più pagare. Vogliamo stabilire un rapporto commerciale con i paesi produttori, con lo scambio diretto tra materie prime da una parte e prodotti industriali dall'altra, come abbiamo fatto per esempio con l'Unione Sovietica, dove abbiamo portato a termine un contratto di 200 milioni di dollari: 100 milioni di dollari di petrolio da una parte, 100 milioni di dollari di forniture industriali nostre dall'altra. Mediante questi contratti abbiamo costretto tutte le compagnie petrolifere a ribassare i prezzi ed un ribasso molto notevole è stato riversato sul consumatore". Questo discorso fornisce tutte le coordinate necessarie alla comprensione delle ragioni per cui si verificò l'impellenza di togliere questo ossessionato rompiscatole di mezzo. Come è noto, il 27 ottobre 1962, l’aereo che stava portando Mattei a Milano “precipitò” nella campagna di Bascapè, causando la morte sua, del pilota Irnerio Bertuzzi e del giornalista americano William McHale. Si parlò ovviamente di "incidente", ma che di incidente non si trattò lo capirono dal primo istante anche i muri. Molto più verosimilmente si trattò di sabotaggio, operato da ignoti, per conto di “ignoti”. Chi siano gli ignoti in questione è un rompicapo di non difficile risoluzione. Mattei pagò il proprio sogno di autonomia nazionale, per coronare il quale aveva messo in subbuglio gli equilibri geopolitici sui quali si reggeva la "Guerra Fredda", per mezzo di una politica energetica estremamente aggressiva ma sensibile ai bisogni dei paesi produttori. Gli interessi che era andato a intaccare erano troppi e troppo grandi. Se ne ricordino, gli urlatori "moralisti" che si atteggiano a paladini della giustizia, dei metodi che impiegava Mattei. Si rendano conto, questi inutili parolai che si atteggiano a Catone il Censore, che la lotta per l'autonomia energetica non è un duello all'acqua di rose, ma una battaglia spietata senza esclusione di colpi. Questo un uomo come Enrico Mattei l'aveva capito bene. Per questa gentaglia, invece, è probabile che non esista più alcuna speranza.