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Sai cos’è l’isola di Wight?

di Marco Iacona - 01/08/2010




“C’erano Miles e Jimi e Jim…”, potrebbe cominciare come una poesia di Ernest Hemingway (il titolo che figura anche come primo verso è: “C’erano Ike e Tony e Jaque e il sottoscritto…), il ricordo di quell’evento eccezionale che fu il terzo festival rock dell’isola di Wight, svoltosi quarant’anni fa dal 26 al 30 agosto del 1970, e che vogliamo ricordare come uno degli eventi “pop” più importanti della seconda metà del Novecento.
Miles era Miles Davis lo straordinario anzi unico, musicista e compositore jazz; Jimi era Jimi Hendrix (anche lui, come fai a presentarlo in poche righe?), probabilmente il più grande chitarrista rock mai esistito e – tanto per non farsi mancare niente – Jim era Jim Morrison leader dei “Doors” e icona del rock e della protesta giovanile. In mezzo, tanto per raccontare, Joan Baez, Leonard Cohen, Emerson, Lake and Palmer i Jethro Tull, Kris Kristofferson (ricordate il protagonista del film “Pat Garrett e Billy the kid?”) e gli Who, insieme in un festival che avrebbe chiuso l’era assai breve che vide il trionfo della terna dei Sessanta: “Music, peace and love”. Inutile continuare sulla strada delle illusioni, dopo non sarebbe stata più la stessa cosa. Figuriamoci. Di mega eventi se ne continuano a organizzare (è cronaca di questi giorni la “Love Parade” di Duisburg, che Italo Cucci sul Secolo d’Italia ha definito il raduno nel quale “l’amore si è trasformato in morte”, paragonandolo alla finale di Coppa campioni all’Heisel del 1985); anche sull’isola di Wight, sul Canale della Manica, nota come retiro del poeta inglese John Keats, si continueranno a organizzare parate musicali a cadenza annuale. Ma tempi e personaggi non consentiranno più che l’evento si sciolga dai lacci della rassegna musicale – e certo di talenti in giro per il mondo non ne mancano – per assurgere a vero e proprio manifesto di una o più generazioni.
I giovani vogliono stare insieme e applaudire i propri beniamini come dimostra il milione e mezzo di persone raccolte a Duisburg (pensate, un milione e mezzo è la popolazione di un’intera regione italiana come le Marche), ma il periodo nel quale i sogni di libertà viaggiavano lungo i binari della musica sembra finito. La protesta – dal punto di vista della sicurezza individuale, sempre più rischiosa – è un’occasione che appartiene ormai quasi di “diritto” alla società moderna, un ente totalitario che copre tutti gli spazi disponibili (e lo fa male!) e che sembra dunque aver sotto controllo gli angoli di disapprovazione creativa.     
Quella dell’agosto del 1970 con i 600mila giovani che si erano radunati nell’isola di Wight, era invece l’ultima occasione per un movimento che era cominciato nel periodo dell’ormai celeberrima “Summer of love”. Ovviamente a monte di tutto c’era la beatlesmania con le note di “All you need is love” del ’67 (manifesto di un amore universale vicino alla cultura hippie), ma anche col celebratissimo “Sgt. Pepper’s lonely hearts club band” noto per essere uno dei primi ellepì “moderni” dell’era dell’incisione per una serie di “virtù” musicali ed extramusicali e uscito come sapranno in tanti nella tarda primavera del 1967. In quel “caldo” ‘67 coi giovani in fermento (ricordiamo che il nostro “Sessantotto” in realtà comincerà proprio nel 1967 con l’inizio dell’anno accademico) a Monterey in California  16 – 18 giugno si svolgeva il primo festival internazionale di musica pop che oltre a essere considerato il primo vero “traguardo” fondamentale per la nascita del movimento hippie, sarà anche l’evento che farà da “fratello maggiore” al più noto e anch’esso celebratissimo festival di Woodstock del 1969. A Monterey saranno presenti fra gli altri Otis Redding (che morirà pochi mesi dopo in un incidente aereo), Janis Joplin, Hendrix, gli indimenticabili Simon e Garfunkel e gli Who. Dopo una prima edizione del 1968 (praticamente dimenticata), nel 1969 pochi giorni dopo l’evento-Woodstock considerato il manifesto di una generazione che smetteva gli abiti “beat” per indossare quelli ben più impegnativi del tipo “hippie”, si svolgerà il secondo raduno dell’Isola di Wight, anch’esso praticamente dimenticato perché “oscurato” oltre che da Woodstock – del quale alcuni pensano, sbagliando, che sia solo un “tentativo di imitazione” – anche dal megaconcerto isolano del 1970. Anche nella vecchia Europa, con circa 150mila spettatori, gli ultimi giorni di agosto del ’69 si sarebbero tuttavia affacciati Joe Cocker e gli Who insieme a tanti altri gruppi che sarebbe facile rintracciare nelle cronache del tempo; in quei giorni però c’era soprattutto Bob Dylan che si esibirà – ben pagato, bisogna ammetterlo, con 20mila sterline più percentuali sull’incasso – la notte del 31 agosto del 1969. Sarà la perla più preziosa di uno scrigno che avrebbe continuato a brillare nel futuro più immediato. In primo luogo dell’Isle of Wight festival del 1970 andrebbero ricordate due curiosità. Il fallimento economico dovuto al fatto che buona parte dei giovani non pagò il biglietto (probabilmente c’era da aspettarselo, che dite?), e il prezioso film che venne ricavato dall’evento agostano, prodotto e diretto da Murray Lerner e dal titolo molto “hippie” “Message to love: the Isle of Wight festival”, tratto da un brano di Hendrix. Un’ora e mezza di musica che vale oggi come documento e come sigillo dell’epoca d’ora della cultura e dello stile di vita libertario. Come sigla finale, manco a dirsi, le note di un Bob Dylan stavolta assente dai prati della contea inglese.
East Afton Farm, sull’isola di Wight: campi aperti, spazi immensi, per tutti e da dividere con tutti; e poi ancora: tende e sacchi a pelo come camere d’albergo; capelli lunghi ovviamente e barbe colte, incolte o appena accennate, nudità esibite e verde tutt’attorno. La scenografia è da favola, nulla a che vedere col grigio metropolitano di Duisburg. Hendrix sarà il protagonista di quelle giornate Non immagina che fra pochi giorni morirà in una stanza d’albergo orribilmente soffocato dal proprio vomito… Si ascolterà ancora per poco e si applaudirà per gli assolo, esibiti nelle notti di chi lo vedrà carezzare la chitarra anche con le labbra. Già, le notti in bianco… giovani ospiti di un gigantesco party sotto la luna fra musica e tanto altro in quelle serate sulle Manica, mentre “Foxy lady” e “Purple haze” di Hendrix saranno la colonna sonora per centinaia di minuti di gioiosa “follia”. Follia come quella di Keith Emerson fra luci, fiaccole cannoni cui viene dato fuoco (sic!), musica inarrestabile e strumenti presi a calci. Follia per la verità assai più composta come quella di Jim Morrison curatissimo come un divo hollywoodiano, che ruba la scena a qualsiasi altro personaggio “isolano” fino all’arrivo di Joan Baez, dotato com’è di un carisma che negli anni sarebbe stato solo suo di Elvis Presley e di nessun altro artista.
Del film di Lerner si catturano le immagini di una generazione che fu l’ultima a vivere i propri sogni a contatto con chi, di quei sogni, era l’autentico narratore, con chi sosteneva il peso e la responsabilità di un’età irripetibile, incosciente, avventurosa e “maledetta”. Maledetta come la mente e il cuore dei poeti dell’Ottocento cantati da Paul Verlaine, quelli alla perenne ricerca di un ideale “assoluto”. Qualunque esso fosse. Che fine faranno i maggiori protagonisti di quella stagione è certamente noto. Quando nella splendida isola di Wight la Baez salirà sul palco a intonare “Let it be” dei Beatles, i Fab-Four si sono sciolti da 4 mesi, Lennon finirà sparato dieci anni dopo, della sorte di Hendrix abbiamo già detto, la Joplin morirà nell’ottobre del ’70 in un motel di Hollywood e Jim Morrison l’anno dopo in una vasca da bagno della sua casa di Parigi…
A parziale ricordo di un periodo che rimane nel cuore di un secolo ove la libertà fu anche costretta a fare i conti con la violenza dei regimi, ci sono altre bellissime pellicole (“Hair” di Milos Forman tratta dall’omonimo musical); da noi invece a parte le iniziative hippy del periodico Re-Nudo (1972), ci saranno soprattutto le canzoni. I nostri gruppi “beat” come i “Nomadi” e i “Dik Dik” manderanno in sala di registrazione brani su testi di Guccini e Mogol. Ma insieme a queste sarà opportuno ricordare il 45 giri dei “Dik Dik” dedicato all’evento del 26 agosto 1970: “L’isola di Wight”, splendida cover del gruppo che aveva ottenuto il successo con un’altra cover “Sognando la California”. Qui non serve commento alcuno, il testo è un inno alla giovinezza del 1970, quando la chitarra sarà al servizio dei desideri d’amore: «Sai cos’è l’isola di Wight / è per noi l’isola di chi / ha negli occhi il blu / della gioventù/ di chi canta hippy hippy hippy…». Quarant’anni dopo possiamo ben dirlo: l’isola di Wight è distante se non dal cuore almeno dalla nuda terra.