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Heidegger, la tecnica e il nichilismo

di Valerio Zecchini - 01/08/2010

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Ogni grandezza è nell’assalto

(Antico proverbio greco)

 

Guillaume Faye fu uno dei fondatori della Nuova Destra francese insieme ad Alain de Benoist ed uno dei suoi esponenti di rilievo fino a quando, a metà degli anni Novanta, non imboccò il vicolo cieco dell’islamofobia – ripudiando così le idee differenzialiste ed etnopluraliste della corrente metapolitica di cui era stato uno degli indiscussi protagonisti. Dopo l’11 settembre 2001 fu uno dei tanti intellettuali di destra che coltivarono l’illusione di una crociata contro l’Islam che, a loro dire, avrebbe senz’altro favorito una rinascita spirituale dell’Occidente; abbiamo visto come è andata a finire. Oggi è ancora uno dei tanti che vedono l’immigrazione extracomunitaria come un “fronte interno” sul quale concentrare tutte le energie politiche per arginare l’avanzata islamica.

Nonostante questa deriva ideologica, Faye rimane l’esplosivo autore di due libri importanti come “Il sistema per uccidere i popoli” e “Archeofuturismo”. La Società Editrice Barbarossa ha recentemente ripubblicato in volume questo saggio su Heidegger originariamente apparso sulla rivista “Nouvelle école” alla fine degli anni Settanta; obiettivo del testo è confutare l’erronea tesi di un Heidegger nemico della tecnica. Tessendo una vivace argomentazione costruita su copiose citazioni dagli scritti del grande pensatore tedesco, Faye demolisce puntigliosamente questa tesi (così diffusa, all’epoca, anche a livello accademico) e propone una prospettiva innovativa e provocatoria in cui la tecnica va ad assumere una posizione centrale nel poderoso impianto filosofico neopagano di Heidegger.

Come sostiene il curatore Francesco Boco nella prefazione, “di Heidegger ci era stata trasmessa l’immagine di un filosofo nemico assoluto della tecnica e della tecnologia, grande amante della natura incontaminata e della Foresta Nera, l’idea di un Heidegger boscaiolo e contadino in inappellabile contrapposizione al mondo delle macchine. La tecnica secondo il filosofo tedesco, si diceva, è espressione massima del nichilismo moderno e perciò essa va condannata senza appello, rifiutata e guardata con grande sospetto da chi faccia della cerca dell’Essere il motivo del suo impegno filosofico ed esistenziale”. E invece chi abbia affrontato con attenzione i testi di Heidegger non potrà che confermare l’idea generale del saggio di Faye: l’esito nichilistico mondiale della tecnica non dipende che da un modo errato di concepirla e impiegarla. Come potente mezzo di disvelamento dell’Essere essa può invece produrre anche risultati del tutto differenti, una grande affermazione – ciò dipende dall’uso che l’uomo ne fa. Siamo quindi ben lontani da un Heidegger presunto neoluddista o ecologista fondamentalista ante litteram, per lui anzi la tecnica può essere un antidoto al nichilismo: Prometeo è colui che si rivolta contro il giusto ordine divino, ma è anche colui che, fornendo all’uomo la capacità tecnica, dà inizio alla storia – teniamo sempre presente che uno dei principali intenti di Heidegger era di ri-radicare la storia moderna nell’aurora greca. Egli intendeva riallacciarsi a uno stile e, oltre a ciò, ad una visione del mondo che avrebbe costituito il preludio ad una rigenerazione, sotto un’altra forma, di un modo d’essere e di agire  “greco”, cioè non–socratico e a-cristiano. Dopo Nietzsche, Heidegger si pensa come Dichter (poeta, ”in-dicatore”), annunciante un mondo a venire, un mondo virtuale, che si  riannoderebbe, sotto una nuova espressione “storica”, a quel che costituisce per noi Europei la nostra alba: la visione del mondo greco, oggi  paradossalmente “presente ma caduto nell’oblio”. La Dichtung (il detto, la parola) di Heidegger ci provoca (provocare in latino significa “chiamare”) ad “uscire dall’oblio”, a far risorgere un livello di autocoscienza, una visione del mondo che noi abbiamo ereditato dagli antichi e a consolidarla in seno al mondo moderno stesso. Da questo incontro qualche cosa nascerà, o almeno così auspica la parola aristocratica dell’autore di “Essere e tempo” (1927), l’opera che rimise in discussione l’essenza stessa dell’essere e tutta la metafisica occidentale. Egli ne smonta la meccanica e prepara un disegno “scandaloso”, impensabile per l’umanismo tradizionale imbevuto di “trascendentalismo morale”, consistente nel valorizzare il Dasein (l’”esserci”) e portare la spiritualità nel seno dell’immanenza del mondo, secondo il vecchio progetto incompiuto del paganesimo greco e presocratico. Non c’è dunque da sorprendersi se Heidegger innesta in un tale disegno le scoperte scientifiche e le innovazioni tecnologiche: esse fanno parte a pieno titolo del processo di disvelamento dell’Essere, di scoperta della sua essenza (nell’accezione di “senso celato”), che è sempre una scoperta creatrice. Fanno anche parte dell’accettazione del nichilismo dei tempi moderni e del progetto che da questa accettazione deve scaturire.

La tecnica dunque pensata come verità del mondo. Presso i greci, l’atto umano di produzione tecnica era, solo, portatore di verità: era, solo, “portatore di luce”(lucem ferre).  La tecnica era religiosa nel paganesimo greco: l’anima e la spiritualità non risiedevano nell’intellettualismo metafisico, ma, più fortemente, nel cuore del mondo, nel marmo “carnale” dei templi o nell’evocazione “erotica” della statuaria. La tecnica era insomma pensata come profondamente legata alla natura, alla physis,  fonte religiosa di tutta la vita. Ma la natura è stata desacralizzata; prima dal platonismo, poi dai monoteismi e dalle ideologie “umanitarie” che ne sono derivate, infine dalla religione dell’economia e dei consumi oggi dominante. La nostra epoca non ha saputo creare una nuova forma di sacro, in accordo  all’essenza della tecnica; in altre parole, non riesce a trasformarla in volontà di potenza autocosciente e valorizzante, volontà di potenza in atto, come auspicato da Heidegger.

Dice Faye, sempre sulla scorta del pensiero heidegerriano: “Perché il nichilismo deve essere dunque considerato con sentimenti  insieme trionfali e tragici. Esso non ha nulla di una decadenza. E’ la “legge stessa della nostra storia”. Anche se noi sappiamo che dobbiamo superarlo, una tale impresa sovrumanista  ha bisogno che la morte di tutti i valori giunga al suo termine. Heidegger si impegna già,  quale illuminatore – cioè col pensiero, prima dell’avvento della fase “epocale”dell’azione – sui  sentieri del dopo-nichilismo, allorquando i tempi moderni, in apparenza sempre legati ai principi tradizionali, concludono, nei fatti, il periodo ultimo del nichilismo. I principi e i valori, che non sono ormai nulla più che residui, sono ben morti giacchè non vi si crede più, ma nessuno osa ancora seppellire il cadavere”.

Sono passati più di trent’anni da quando Faye scriveva queste parole, e all’incirca lo stesso tempo è trascorso dalla morte di Heidegger (1976), ma è triste constatare come la grandezza del pensiero del grande filosofo germanico, e la forza del suo messaggio, siano praticamente rimaste lettera morta. Una somma di auspici che in questi ultimi decenni di duro e piatto materialismo non hanno trovato alcuna realizzazione. Dov’è la nuova volontà di potenza europea che si ricongiunge con l’aurora greca? E il post-nichilismo che si fa progetto sovrumanista e genera gerarchie autentiche? E dove sono gli eroici poeti che dovevano annunciare quest’epoca di rinascita, l’epoca della volontà di potenza divenuta cosciente? Forse ci sono, ma pochi li conoscono, e soprattutto pochissimi li seguono. All’avanzamento della tecnica è corrisposto un immenso proliferare della burocrazia; è poi ampiamente dimostrato come la specializzazione tecnica porti al progressivo rincretinimento della persona, a un inesorabile inaridimento della sua anima. L’entusiasmo per i viaggi spaziali e per la scoperta di nuovi pianeti? Pure quello è stato prontamente mercificato, infatti oggi si parla soprattutto di missioni commerciali sulla luna o di turismo spaziale per miliardari. Ormai non possiamo più disquisire di una più o meno salutare decadenza, ma di una lunghissima stasi, da qualcuno chiamata “fine della storia”. E i vecchi principi e valori non solo continuano a sopravvivere, ma se ne tenta continuamente, per disperazione, un revival fasullo – altro che seppellirne il cadavere! L’unica forza veramente mobilitante continua ad essere quella del profitto rapido e del suo godimento spicciolo – l’Europa è popolata da un’umanità modesta,vecchia e cogliona: è l’epoca indigente che non risente neppure più della sua povertà.

Per non arrenderci possiamo solo contare su di noi, quei pochi che, dotati di un autentico pessimismo della forza, consapevoli che il luogo d’origine del sacro è la coscienza umana come parte inseparabile della natura, ancora provano una sensazione di legame religioso nel loro contatto col mondo; sensibilità panteista, estranea ad ogni residuo di clericalismo e di moralismo.