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L’indecenza mondialista

di Marco Cottignoli - 10/05/2006


Il capitalismo globalizzato gestisce ovunque il potere economico

Spesso i politici si accusano
a vicenda, urlandosi
che la maggior
parte degli italiani non arriva
alla fine del mese. Loro, si sa,
non hanno questo tipo di problemi
però si glorificano
davanti al popolo, facendosi
belli di parole, ricche giustizia
e di solidarietà. Poi, leggi un
quotidiano ed apprendi che
esistono, veramente, alcuni
uomini che vivono e che guadagnano
come non potresti
neppure immaginare. Tutto
scorre nel solco della normale
constatazione; è pure difficile
scovare commenti che critichino
una tale situazione.
Per cui non appare strano né
immorale che Lee Raymond,
il supermanager della Exxon
Mobil, abbia guadagnato uno
stipendio di 400 milioni di
dollari, oltre un milione al
giorno, 191 mila dollari l’ora,
grazie ai profitti della Exxon e
grazie al rincaro del petrolio, i
più alti della storia. Omid
Korestani, invece, capo delle
vendite mondiali di Google,
ha ricevuto un emolumento di
288 milioni di dollari.
Paul Allen, di Microsoft possiede
uno yacht da 250 milioni
di dollari con piscina, due
piattaforme per elicotteri, un
cinema, un teatro da 260
posti, una autorimessa ed uno
studio di registrazione mentre
lo yacht di Larry Ellison, della
Oracle, ha cinque ponti, 82
cabine, una cantina di vini fra
le più preziose del mondo.
Solo per fare qualche nome.
Micael Silverstein, è dirigente
della Boston Consulting
Group ed è autore di un libro
“The new american luxury”,
nel quale rassicura tutti, affermando
che questa nuova
covata di miliardari spenderà,
entro il 2010, in beni di lusso,
gioielli sfarzosi, auto incredibili
e ville, almeno mille
miliardi di dollari. Il capitalismo,
probabilmente nella sua
fase terminale, sta svellendo e
sfruttando quanto possibile sia
in termini sociali che umani;
non è certo una novità per noi
che la globalizzazione non
abbia diffuso il benessere globale,
ma anzi abbia favorito le
differenze e le ineguaglianze,
creando pochi ricchi in un
mondo dove la povertà è crescente.
Nell’elenco 2005 stilato da
“Fortune” fra i 400 uomini più
ricchi d’America la lista
comincia con coloro che posseggono,
almeno, 900 milioni
di dollari… È vero che i multimiliardari
sono sempre esistiti,
ma questi nuovi ricchi sono,
solitamente, di genere parassitario
e traggono profitti inauditi
da “investimenti in hedge
found o leveraged buy-out”, in
“attività immobiliari”, in
“moda e spettacolo”, nel software.
Sono più speculatori
finanziari che capitani di industria,
spesso in posizioni semimonopolistiche
oppure approfittatori
delle guerre sparse nel
mondo o della Borsa. Ricconi
non per merito imprenditoriale,
ma semplicemente per il
loro posizionamento nei processi
automatici del capitalismo
globale. Stesso discorso
per l’Italia dove i prezzolati
manager hanno i compensi
più alti d’Europa grazie a consigli
di amministrazione compiacenti
che eleggono clientele
di amici e parenti. L’esempio
clamoroso di Bankitalia in cui
si è affermato un potere politico
indipendente dal consenso
popolare, dovrebbe far riflettere;
Bankitalia ora è controllata
dalle grandi banche quali Unicredito,
Intesa, Capitalia, San
Paolo, non più controllata dallo
Stato.
La sovranità economica è dunque
delegata ad un organismo
privato e la mancata tutela del
risparmio evidenziatasi negli
scandali degli ultimi anni ne è
la prova. Come afferma un
recente, interessante articolo,
di Luigi Tedeschi “alla vecchia
classe politica si è sostituita
quella di una sinistra ex
Pci riciclata e convertitasi al
credo liberista-finanziario in
grado di garantire la pace
sociale necessaria all’instaurazione
di un’economia liberista
eterodiretta dalle multinazionali.
La nuova classe politica
divenne intermediario politico
del neocapitalismo, mantenendo
tuttavia i suoi privilegi
privilegi
nella sussistenza del movimento
cooperativo - di diretta
emanazione diossina - che
contò a godere di protezione
politica. Il recente fallimento
della scalata della Unipol alla
BNL è, con tutti i suoi risvolti
giudiziari, un evento indicativo
di una nuova trasformazione.
Il neocapitalismo non
necessita più di intermediari
per preservare un ordine da
esso istaurato. La fine di certo
capitalismo nostrano cresciuto
all’ombra della politica e del
capitalismo assistito sotto le
mentite spoglie delle Coop,
sembra ormai imminente. In
Italia il capitalismo globale
vuole gestire il potere economico
mediante una politica
eterodiretta che nasce dal connubio
tra Bankitalia, poteri
forti e la coalizione di centro –
sinistra”.
Anche da questo caso, fra i
tanti, sorge non solamente la
sfiducia della gente nei confronti
delle istituzioni, ma
anche accentua il divario
incolmabile fra ricchi e poveri;
da una parte una oligarchia di
accaparratori internazionali,
dirigenti aziendali sopranazionali,
senza alcun senso di solidarietà
e di responsabilità
nazionale e sociale; dall’altra
il popolo, frammentato,
appiattito dalla crescente conformazione
di stili di vita e di
identità, di cultura e di desideri,
di scelte e di immaginari,
nuove generazioni senza
aspettative né tutele lavorative.
La rivoluzione internazionalista
è, alla fine, avvenuta.
L’ironia della storia ha voluto
che fosse proprio la finanza
internazionale e mondialista
ad imporre il concetto di uguaglianza
del marxismo; una
eguaglianza globale, omologante,
nemica dei popoli, degli
Stati e delle differenze, su cui
si erge senza incertezze e dubbi,
una casta di plutocrati che
decide per tutti in eterei, irraggiungibili
palazzi di vetro.