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Una bene intesa didattica delle scienze può sacrificare del tutto lo spazio della fantasia?

di Francesco Lamendola - 06/08/2010

 

 

Ci sarebbero molte cose da dire sulla odierna didattica delle scienze, particolarmente delle Scienze naturali e dell’Astronomia, nella scuola dell’obbligo (elementari, medie e biennio delle superiori), ma anche nel triennio della scuola secondaria superiore.

Una cosa balza evidente dal confronto con un qualunque testo scolastico di qualche decennio fa: tra tutte le discipline scolastiche, Biologia, Scienze della Terra e Astronomia sono quelle che più di tutte hanno subito un profondo ripensamento a livello didattico. Non vi è una differenza significativa, ad esempio, fra un testo di Storia degli anni Sessanta o Settanta ed uno di oggi, quanto all’impostazione generale e soprattutto alla presentazione iconografica; enorme, invece, è la differenza fra due testi di Scienze, uno di allora e uno odierno.

Prendiamo il caso delle illustrazioni.

Un capitolo di Storia dedicato alla prima guerra mondiale sarà sempre corredato, più o meno, dallo stesso genere di immagini o di cartine geografiche; ma in un capitolo di Astronomia dedicato al Sistema solare, si noterà una stridente differenza fra i paesaggi ipotetici di Venere o Marte, disegnati prima dell’era delle sonde spaziali, e le fotografie ad alta definizione che corredano un testo dei nostri giorni.

Certo, la cosa è in parte dovuta all’impetuosa accelerazione che i progressi delle materie scientifiche hanno compiuto in questi ultimo decenni: basti ricordare che la tettonica a zolle non si è affermata prima degli anni Settanta, benché il geniale precursore di essa, Alfred Wegener, avesse già teorizzato la Deriva dei continenti fin dal 1912. E non parliamo, ovviamente, degli sbalorditivi progressi (se si possono poi considerare tali, non solo in senso materiale) avvenuti nel campo della Biologia, e specialmente della Genetica.

Tuttavia, ci permettiamo di formulare una domanda: se il bambino è cresciuto, questo significa che bisogna immediatamente buttare via, insieme ai suoi vestiti e ai suoi giocattoli di un tempo, anche tutti gli altri punti di riferimento che lo hanno aiutato ad attraversare l’infanzia?

In generale, si ha l’impressione che gli insegnanti di materie scientifiche delle ultime due generazioni abbiano una specie di pudore, per non dire di vergogna, nei confronti di quel margine di approssimazione, ma anche di fantasia, che accompagnava taluni aspetti delle loro discipline fino a meno di mezzo secolo fa; e che, come il nuovo ricco che si vergogna dei propri genitori contadini e poco istruiti nonché della loro semplice, disadorna casa di campagna, abbiano voluto fare di tutto per cancellare quei ricordi, insistendo sugli aspetti tecnici, rigorosi, asettici e nudamente matematici della Zoologia, della Botanica, della Geologia e dell’Astronomia.

Gli autori dei libri di testo e le case editrici specializzate in manuali scolastici hanno manifestato il medesimo atteggiamento; e la stessa cosa si può dire per i testi divulgativi di tipo non scolastico, per non parlare dei documentari televisivi più diffusi, sia italiani che stranieri.

Limitandoci all’ambito dell’editoria scientifica divulgativa, sia scolastica che non, un esempio significativo potrebbe essere quello delle carte celesti illustranti le varie costellazioni dei due emisferi; e ciò vale anche per i globi luminosi didattici e per i mappamondi celesti, nonché per gli atlanti di Astronomia pratica, destinati all’uso degli appassionati non professionisti.

Un manuale molto diffuso negli anni Sessanta e Settanta era «Stelle» di Herbert S. Zim e Robert H. Baker (titolo originale: «Stars», New York, Golden Press Inc., 1956; edizione italiana a cura di Maria Gabriella Aliverti, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1964 ecc.). Si noti, per inciso, che gli Autori non erano dei divulgatori qualsiasi, ma degli scienziati eminenti, molto noti negli Stati Uniti d’America. Le pagine dedicate alle mappe delle costellazioni, illustrate - come tutto il volume - da J. G. Irving, erano abbellite dai disegni delle diverse figure mitologiche, cui i nomi delle costellazioni si riferiscono.

Ma non solo quelle figure avevano il pregio di abbellire le illustrazioni e di rendere più invitate la consultazione: svolgevano anche una utilissima funzione didattica in termini di chiarezza, agevolando di molto l’identificazione delle varie costellazioni e, al loro interno, delle stelle e degli altri corpi celesti notevoli (ammassi, nebulose, ecc.). Tutto questo non è poco; e bisogna dire che molti testi scolastici, all’epoca, seguivano un analogo criterio: bellezza e chiarezza, allo scopo di rendere più gradevole la lettura ad un pubblico giovanile e, contemporaneamente, di agevolare il reperimento pratico dei corpi celesti indicati sulla pagina.

Non crediamo di esagerare affermando che, per appassionare un giovane a una materia impegnativa come l’Astronomia, il modo migliore è proprio quello di far leva sulla sua fantasia, sul suo senso estetico, sulla dimensione immaginativa e fantastica; così come le incisioni ottocentesche di «Viaggio al centro della Terra» di Jules Verne potrebbero essere non poco utili per accendere in un ragazzino della scuola media la passione per la Geologia.

Poi, al liceo e soprattutto all’università, ci sarà tutto il tempo per lasciarlo camminare con le sue gambe, senza più bisogno di incentivi alla sua fantasia; ma perché avere tanta fretta di presentargli la materia come se fosse un piccolo adulto, in termini rigorosamente oggettivi e, diciamolo pure, talvolta un po’ aridi, come se ci si rivolgesse solo ed esclusivamente alla sua parte razionale, quando ognuno sa la parte decisiva che svolgono in un bambino e in un adolescente la fantasia e l’immaginazione?

Si vada a consultare la biografia di qualche grande scienziato delle passate generazioni, e si scoprirà il ruolo determinante che può aver svolto, per instradarlo sul proprio ambito di studi, un disegno ben fatto visto da bambino (per non dire di un romanzo o della visione di un film), che lasci spazio sufficiente per attingere alle fonti profonde della creatività.

Nel popolarissimo libro di Camille Flammarion «Il mondo prima della creazione dell’uomo» (tradotto in italiano nel 1880 dalla Sonzogno di Milano), per dare al lettore un’idea della dimensioni dei dinosauri, vi era una incisione in cui uno di tali bestioni è raffigurato mentre si appoggia ad un moderno palazzo di tre piani, posando le zampe anteriori all’altezza della balconata: come dubitare che un bambino o un ragazzo - ma anche, diciamo la verità, un discreto numero di adulti - non si appassionassero straordinariamente davanti a un tale disegno, concependo forse, al tempo stesso, un autentico amore per la scienza che studia simili creature?

Dicevamo della consuetudine, sui libri di divulgazione scientifica di alcuni decenni or sono, di rappresentare le costellazioni con le relative figure mitologiche, con tutto il loro fresco alito di poesia e con la loro capacità di stimolare l’immaginazione.

Tuttavia sono bastati pochi anni perché rappresentazioni scomparissero bruscamente dai libri e dai mappamondi celesti, per non parlare dei testi scolastici. Ai seriosi e supertecnologici autori degli ultimi decenni, concedere ancora spazio a un tale genere di iconografia sarebbe sembrato un delitto di lesa serietà scientifica: più o meno come ostinarsi a raccontare ai bambini la favoletta di Babbo Natale, che porta i doni con la slitta tirata dalle renne.

Per carità: siamo o non siamo cittadini della modernità, tutta tecnica ed efficienza produttiva? E allora, cosa sono mai queste puerili e inconcepibili concessioni alla fantasia o, peggio, al sentimentalismo? La scienza è scienza, poche storie; anzi, tutto è scienza: anche la Pedagogia, anche la Psicologia, anche la Sociologia, anche la Storia: tutto, tutto, tutto. E ciò che non è scienza, è turlupinatura di ciarlatani, come l’Astrologia o l’Alchimia; e mettiamoci pure dentro anche la Teologia e la Metafisica. Bisognerebbe gettarne i libri nel fuoco, come diceva Hume, dato che non contengono altro che sofismi ed inganni…

Qui ci sarebbero varie considerazioni da fare; ma, per non allargare eccessivamente il nostro ragionamento, ci limiteremo ad alcuni punti essenziali.

Primo: noi abbiamo troppa fretta di trattare i bambini da ragazzi e i ragazzi, da adulti; abbiamo troppa fretta di farli crescere. L’anticipazione dell’ingresso alla prima elementare da sei a cinque anni ne è un esempio. Ma, così facendo, non rispettiamo i loro ritmi naturali: il buon giardiniere non è quello che, per far crescere in fretta la pianta, la tira violentemente verso l’alto; ma quello che la concima e la bagna opportunamente; dando - per il resto - tempo al tempo.

Secondo: non solo vogliamo farne precocemente degli adulti, ma vogliamo anche farne degli adulti “sterilizzati”; degli adulti che conoscono un sacco di cose, ma solo in senso tecnico: che non ci mettono nemmeno un briciolo di fantasia e d’immaginazione. Occorre spiegare, a questi cultori di un sapere asettico e impersonale, che non soltanto le arti, ma le scienze medesime progrediscono grazie al pensiero creativo che sappia andare oltre le pastoie del sapere accademico e di ciò che il paradigma dominante ritiene definitivamente accertato e, perciò, immutabile?

Terzo: spogliando il sapere dei giovanissimi e dei giovani di quell’alone di poesia e di bellezza che ne costituisce non solo una egregia cornice, ma un poderoso incentivo all’approfondimento personale, lo riduciamo ad una forma di nozionismo senz’anima, ad un addestramento brutale che ne farà, sì, dei tecnici competenti, ma non certo degli uomini di cultura e tanto meno degli scienziati degni di questo nome: vale a dire, delle persone capaci di pensare in grande, di cogliere nessi e relazioni tra cose lontane, di immaginare soluzioni alternative.

In altri termini, l’odierna impostazione della didattica delle scienze pecca sia sul fronte pedagogico, perché ignora la reale natura del bambino e dell’adolescente, sia sul fronte culturale, perché fornisce degli strumenti di conoscenza che non stimolano la creatività personale, inficiati come sono da una pesante armatura ideologica di tipo materialista, riduzionista e scientista.

E qui si tocca il punto centrale della questione.

Gli scientisti (non gli scienziati) d’oggi, vorrebbero bandire dall’orizzonte del sapere tutto ciò che non è perfettamente allineato con le loro concezioni materialiste; vorrebbero cancellare fino il ricordo delle facoltà extra razionali presenti nell’uomo: che essi, nella loro crassa ignoranza e inconcepibile presunzione, considerano «eo ipso» come irrazionali. Ciò che non si può vedere, toccare, misurare, sperimentare, non ha diritto di cittadinanza: e chi parla di tali cose non può essere, secondo loro, che un pazzo o un impostore.

Ahimè, vi sarebbe urgente bisogno di rifondare tutta la didattica delle scienze e, a monte di essa, tutto l’approccio culturale materialistico al sapere, particolarmente nei confronti del pubblico giovanile; vi sarebbe bisogno di smascherare le finalità ideologiche che presiedono, in modo non casuale e non innocente, a quella forma di addestramento tecnico che, oggi, specialmente nelle scuole, ha preso il posto della vecchia e calunniata Pedagogia.

Se permetteremo che le prossime generazioni crescano e vadano a scuola in questa clima di fanatismo scientista, in cui la Bibbia di Darwin ha sostituito quella cattolica e in cui si diffida, come se fossero dei vizi pericolosi, della fantasia e dell’immaginazione, senza dubbio si accentueranno ulteriormente fenomeni già vistosi, quali la disumanizzazione dei rapporti sociali, l’idolatria della tecnica e la cieca sottomissione al paradigma del Pensiero Unico, con tutte le loro nefaste e prevedibili conseguenze.

Il mondo ha bisogno di bellezza e di poesia.

Non sono beni di lusso, che possa concedersi solo una società la quale abbia già risolto tutti i suoi fondamentali problemi economici, sociali ed etici.

A contrario, sono elementi indispensabili alla crescita armoniosa del corpo sociale e di tutte le manifestazioni intellettuali e spirituali in cui essa si esprime.

I bambini e i ragazzi, in particolare, hanno bisogno di poesia e di bellezza: e ne hanno bisogno fin da piccoli, quando ascoltano a bocca spalancata la favola della buona notte che raccontano loro la mamma o il papà.

Ne hanno bisogno non meno delle vitamine con cui crescere fisicamente sani e robusti, e molto di più delle scarpe o dello zainetto firmati con cui vanno a scuola o all’asilo.

Cerchiamo di non dimenticarcene.

Ne va del futuro di tutti.