Homo sapiens sapiens: i pregiudizi della ragione
di Rutilio Sermonti - 06/08/2010
Che la storia, in tempi remoti, abbia potuto essere definita come “magistra vitae”, poteva - se pur con qualche riserva - avere qualche giustificazione. Preziosa maestra, in particolare per noi uomini, dotati di ragione, è l’esperienza, e quest’ultima può ricavarsi soltanto dal passato. Ma l’esperienza diretta del passato, per ogni persona, per quanto longeva, è ben poca cosa, e quindi il passato dobbiamo conoscerlo in massima parte attraverso la storia.
Il motivo delle su accennate riserve è ben noto: la storia la scrivono gli uomini, ai quali le varie passioni e l’interesse fanno spesso velo all’obbiettiva conoscenza.
L’inconveniente era comunque aggirabile dagli indagatori più seri, esaminando spassionatamente la storia narrata da autori delle diverse “parti”. Era, abbiamo scritto, perchè così non è più. Il fatto è che non esistono più le diverse parti: ne esiste una sola, giusta, santa e ragionevole, e tutte le altre sono terroriste e severamente vietate, pena l’uranio più o meno impoverito e la galera. Ne è conseguito che la storia, nata come semi-divina musa Clio, si è data a battere il marciapiede assieme alle peggiori baldracche, e quindi come maestra è del tutto sconsigliabile. In suo luogo - oltre alla limitata esperienza diretta - proponiamo la candidatura di altra docente, del tutto immune da faziosità, anche se occorre un certo allenamento per decifrare i suoi messaggi: la Natura.
Purtroppo, siamo costretti a leggerla nei comportamenti degli animali. Non che non esista anche una natura umana, con tanto di istinti innati. Ma il fatto è che l’Uomo possiede anche la ragione, e l’uso improprio che di essa ha fatto ha finito col coprire i suoi sani istinti con una così spessa crosta di elucubrazioni assurde da obliterarli del tutto, o da lasciarli emergere solo nell’aspetto deformato di “vizi” o “appetiti” che, tutt’altro che rientrare nell’ordine naturale, sono di esso i peggiori nemici.
Oh bella! - potrebbe saltar su un progressista, magari vibrando di sdegno - Sta a vedere che dobbiamo imparare dalle bestie, che sono a noi inferiori!
Si plachi, il progressista. Certo che nessun animale può insegnarci nulla; sia perchè non parla, sia perchè lui stesso non sa perchè si comporta in quel modo, che è il migliore possibile per la sua specie. Ma noi, osservandolo, possiamo capirlo, e in quello dovrebbe consistere la nostra superiorità. Superiorità a un gatto, a un coccodrillo o a un gabbiano, ma non alla Legge suprema a cui quello, senza saperlo, puntualmente si adegua, e a cui anche noi “superiori” siamo soggetti.
Proviamo ad applicare il metodo a certi problemi politici dell’oggi, facendo attenzione ai comportamenti sociali degli animali. Ho qui sottomano il libro Social Behaviour in Animals, di Niko Tinbergen, insigne zoologo ed etologo, allievo e continuatore del grande Lorenz. Uno degli impegni maggiori dei “politici” moderni (quasi che non vi fossero ben altri problemi urgenti da affrontare) è quello di distruggere ogni differenza tra il ruolo femminile e quello maschile (pari opportunità, la chiamano), in base a un presunto diritto naturale all’eguaglianza. Tale balordaggine non si riscontra affatto tra gli animali, anche tra quelli in cui il dimorfismo sessuale è appena percettibile. Tra gli uccelli rapaci, ad esempio, pur essendo maschi e femmine quasi identici e muniti degli stessi “strumenti”, il maschio ha la funzione di catturare le prede e, tornato al nido, le consegna alla femmina, la quale si occupa di farle a pezzi e di distribuirli equamente ai nidiacei. Non accade mai il contrario, “perché non spetta a lui nutrire i piccoli”, commenta Timbergen. Che cos’è: un “pregiudizio maschilista”?
E passiamo a un’altra aberrazione moderna: l’immigrazione selvaggia, i presunti benefici del mescolamento e l’imperativo umanitario della “accoglienza”. Come si comportano gli animali? E’ veramente stupefacente: nelle contese per il territorio, dai pesci ai mammiferi, non ha la meglio il più forte, ma il legittimo occupante! E’ quello ad aggredire, e l’altro a ritirarsi mogio mogio, senza neppur tentare di resistere. Se però gli stessi due individui vengono trasferiti nel territorio del secondo, ecco quello farsi aggressore e l’altro a cedere! Timbergen, per eliminare ogni altro fattore, è arrivato, in acquario, a prelevare due spinarelli da due territori confinanti, insieme ad acqua degli stessi, con due recipienti stagni di vetro. Posti poi i due recipienti a contatto, bastava immergerli entrambi nel “territorio” del pesce A, per vedere quello scagliarsi all’attacco contro il vetro, mentre il pesce B si addossava, remissivo, a testa in giù, alla parete opposta. Bastava però trasferirsi nel territorio B perchè le parti si invertissero. I due maschi sembravano proprio, per istinto, riconoscere la “legittimità” dell’espulsione. Lo stesso per i leoni e lo stesso per gli usignoli: sembra incredibile! Ma non è incredibile: è quella la legge di natura. E l’etologo ci illustra anche il grande vantaggio che la specie interessata ricava da quel suo istinto, al punto che, se non vi fosse, si estinguerebbe.
La natura non sbaglia mai, e se continuiamo a prenderla sottogamba siamo noi a sbagliare e saremo noi ad estinguerci, con gran sollievo di tutto il creato.
Ma sentite questa, che è veramente una perla. Parliamo della c.d. “gerarchia della beccata”. Esiste una controversia tra gli ecologi in merito alla formazione delle gerarchie nelle specie sociali che usano suddividersi in classi, come regolarmente accade in diverse specie che formino comunità, dai lupi agli elefanti, dalle iene ai gabbiani. In esse c’è un despota indiscusso; “vi è poi - osserva l’Autore – l’individuo inferiore soltanto al despota, che perciò detta legge al resto del gruppo; segue, al terzo posto, l’individuo che subisce imposizioni solo dal despota e dal suo immediato successore, e la gerarchia continua di questo passo sino a comprendere tutti i membri del gruppo”. Anche tale “decreto” di natura è prezioso per la comunità intera (altro che bischerate sull’eguaglianza!) perché - se invece fosse perenne la contesa per il predominio - se ne avvantaggerebbero gli aggressori esterni.
La controversia di cui si accennava riguarda il meccanismo con cui tali gerarchie si formano. V’è una teoria che considera soltanto la “gerarchia della beccata”, per cui l’individuo che riesce a infliggere ai rivali beccate più dolorose, li dissuade da quel momento (se sopravvivono) dal riprovarci, e così via. Fare più male sarebbe quindi l’unico modo per prevalere. L’altra teoria considera invece la capacità di nuocere, dimostrata di fatto, come secondaria, e ritiene prevalenti altri fattori più “sottili”, che gli animali istintivamente percepiscono, nell’accettare la gerarchia.
Che c’è di divertente? C’è che, guarda caso, la prima opinione è portata dalla letteratura americana (caposcuola: W. Allee, di Cicago) e la seconda da scienziati europei, come il Lorenz e lo stesso Tinbergen, che infatti la critica, accusandola di “falsare la valutazione di molti fenomeni”.
Ogni riferimento agli ammazzasette del Pentagono è esattamente voluto, con l’augurio che, a forza di falsare valutazioni, finiscano con l’estinguersi anche loro. A meno che non si decidano a imparare dalle galline.