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La Cina si ripulisce

di Marinella Correggia - 12/08/2010




Decisa nel male e nel bene, la Cina. Nel male: sul lato dell'energia e del clima, secondo l'International Energy Agency (Iea) il paese del Dragone ha sorpassato gli Usa anche come consumatore mondiale di energia. Già nel 2006, anche a causa della sua dipendeza dal carbone (che è il più pesante per il clima fra i combustibili fossili convenzionali), aveva scippato agli eterni Stati Uniti la palma del primo paese al mondo per emissioni totali di gas serra (per le emissioni pro capite, l'Occidente tutto continua a batterla di gran lunga).

Adesso però il primo ministro Wen Jiabao ha promesso di usare la «mano di ferro» per migliorare l'efficienza energetica del paese. E così giorni fa il Ministero dell'industria e dell'informazione tecnologica ha annunciato, tranquillamente, che entro il 30 settembre verranno chiuse 2.087 vecchie fabbriche perché obsolete ed inefficienti dal punto di vista energetico. Si tratta, è stato annunciato, di 762 cementifici, 279 cartiere, 175 acciaierie, 84 concerie, iImpianti scelti discutendo con le autorità provinciali e municipali.

Per anni, i livelli provinciali e municipali hanno cercato di bloccare i tentativi di Pechino di chiudere diverse fabbriche vetuste collocate nei loro territori, anche perché davano lavoro a migliaia di persone - che quelle stesse autorità locali oltretutto fin dagli anni 1950 e 1960 avevano dotato di case e altri benefici. Sstavolta per bloccare ogni ostruzionismo il ministro ha precisato che le fabbriche inserite nella lista non otterranno più alcun prestito bancario, né crediti all'esportazione, né licenze commerciali o assegnazioni di terre. Se necessario, si taglierà l'elettricità. Impreciso il numero di lavoratori interessati dal provvedimento - scrive ottimisticamente il «New York Times» nell'occuparsi della vicenda che c'è carenza di braccia in molte città...

Non è l'unico provvedimento efficientista intrapreso dal governo. E' di pochi giorni fa l'annuncio che 22 province sono state obbligate a farla finita con le forniture di energia a basso costo a industrie voraci come quelle per la produzione di alluminio. L'attuale piano quinquennale chiede che quest'anno si usi il 20% di energia in meno per unità di prodotto rispetto al 2005. Ma l'aumento della produzione da parte delle industrie pesanti ha reso irraggiungibile l'obiettivo. Per questo il percorso cinese è seguito con attenzione anche dagli scienziati del clima. Oltre al piano quinquennale, un piano annunciato dal presidente Hu Jintao alla fine del 2009 stabilisce che la Cina dovrà tagliare le emissioni di carbonio per unità di prodotto del 40-45% entro il 2020, rispetto ai livelli del 2005. E' anche una questione strategica, perché il paese è sempre più dipendente dal petrolio e perfino dal carbone importati.

E' un passo significativo, anche se rischia di essere insufficiente. Infatti, anche se il paese riuscirà a mantenere i suoi obiettivi di efficienza energetica quest'anno e quelli relativi alle emissioni entro il 2020, la sua impronta climatica complessiva continuerà a crescere molto nel prossimo decennio, sempre secondo l'Iea.

I tristi primati cinesi, però, hanno due cause: non solo le esigenze dell'immensa popolazione cinese - con una frazione crescente di relativamente abbienti che hanno auto, stile alimentare e fabbisogno di energia domestica elevati; ma anche l'essere la Cina la «fabbrica del pianeta», che dunque si vede attribuire anche le emissioni «per procura», cioè dovute alla produzione dei beni che poi saranno riesportati e consumati allegramente dal resto del mondo.