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La corsa all'oro sfiducia re-dollaro

di Giancarlo Galli - 11/05/2006

Record su record per le materie prime

 

 

Il sistema monetario mondiale sta vivendo una stagione drammatica. Nessuno infatti, nemmeno fra i cosiddetti «esperti», s’azzarda in previsioni sul futuro del dollaro e dell’euro; ma anche dello yuan cinese e dello yen giapponese. Mentre il presidente russo Putin, con il cipiglio di uno zar, annuncia che presto il rublo entrerà nel gran gioco, poiché alle sue spalle vi sono oro, petrolio, materie prime.
Ecco una possibile (non fantaeconomica) interpretazione dell’attuale terremoto. Per la prima volta, in maniera sistematica dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, si registra un crollo di fiducia nel «cartaceo». Ovvero quei fogli filigranati che ogni giorno ci scambiamo; quelle valute che stanno alla base di tutte le transazioni.
Trentacinque anni fa (ferragosto 1971), in un memorabile summit alla Casa Bianca, il presidente Richard Nixon affiancato dall’allora giovane consigliere Alan Greenspan futuro governatore della Federal Reserve coniò la formula Dollar as good as Gold traduzione: il dollaro è come l’oro. In pratica, l’intero pianeta avrebbe dovuto ciecamente genuflettersi al biglietto verde, accettandone l’egemonia. Il che è in larga misura avvenuto, con gli Usa a svalutare o rivalutare, a modificare i tassi di interesse (ancora ieri la Fed li ha rialzati di un quarto di punto), secondo le loro convenienze. Brillantemente superando anche cicli di sfiducia, legati alla perduta guerra in Vietnam, ai conflitti medio orientali. Non esistendo alternative al dollaro, bisognava fare di necessità virtù.
Col fluire dei decenni, la pretesa americana di dettar legge s’è incrinata. Sarà bene rammentare che l’euro fu concepito proprio quale alternativa al dollaro; senonché anche lui era «di carta». Pertanto la guerra dollaro-euro, tuttora in corso, s’è trasformata in un conflitto fra ex-ricchi, sulle spalle del resto del pianeta.
Da un paio d’anni, registriamo la vertiginosa ascesa dei costi delle materie prime (per lo più dal ferro al rame, al cotone) espressi in do llari. Idem per il petrolio. Prodotti che l’America e l’Occidente largamente importano. Vera cartina di tornasole è però l’oro, tradizionale piedistallo di qualunque moneta, il quale proprio ieri ha toccato il suo nuovo record. Cinesi, indiani, giapponesi, coreani lo stanno rastrellando a mani basse da Londra a Zurigo. Onde certificare che le loro monete sono sostenute da imponenti riserve auree, oltre che da un’indubbia capacità di produrre in maniera competitiva.
Dietro la debolezza del dollaro, si delinea quindi una rivoluzione geomonetaria, e geoeconomica. Nel 1950 Cina e India fornivano l’8 per cento del pil mondiale. Ora siamo al 20 per cento, e col loro tasso di crescita possono facilmente arrivare a un terzo del totale nel 2020. Perché continuare a fidarsi del dollaro, investire nei Buoni del Tesoro di Zio Sam? Pertanto, diversificano: quale primo atto, con uno "zoccolo d’oro". Vi sono poi i Paesi petroliferi, anch’essi inquieti, dal Venezuela alla Nigeria al Golfo Persico, che temendo per il domani del barile quotato in dollari, spingono all’insù il metallo giallo.
La malattia che ha colpito il biglietto verde, e che non sembra una costipazione primaverile, obbliga a riflettere. In particolare, noi di Eurolandia. Fossimo coraggiosi, dovremmo sostituirci al dollaro, almeno in parte, quale valuta di riferimento e riserva. Al contrario, vediamo farsi avanti il rublo di Putin mentre i lingotti finiscono nelle banche di Tokio, Nuova Delhi, Pechino. Con bilancini da farmacisti, a Bruxelles e Francoforte, pesiamo vantaggi-svantaggi del dollaro debole, del petrolio forte. Subendo senza reagire.
Influenzati dalle teorie keynesiane degli anni Trenta, perseveriamo nel giudicare l’oro «barbara reliquia» e la cecità c’impedisce di afferrare la probabile, scomoda realtà: realismo competitivo, corsa ai «beni rifugio» (dal mattone all’oro, appunto). C’è da sperare che le Cassandre prendano un granchio colossale, ma che l’Occidente di carta sia in ginocchio, è purtroppo un rischio storico. Che il declino di Re-Dollaro sembra preannunciare.