Ecco una brutta storia di polli e potere, vaccini e brevetti, allevamenti ed eserciti raccontata nel dossier The top-down global response to bird flu dell'organizzazione internazionale Grain, che si occupa di tutela della biodiversità agricola basata sul controllo popolare sulle risorse genetiche e dei saperi. In piena crisi aviaria la rete globale Namru (Naval Medical Research Units) del dipartimento alla Difesa statunitense è molto attiva nella raccolta di campioni del virus. Il Namru del Cairo, che è Centro collaboratore dell'Organizzazione mondiale della sanità (!) per l'emergere e il riemergere delle patologie infettive in Medio Oriente e nella regione mediterranea, ha «raccolto» anche in Azerbaijan e Iraq. C'è poi un Namru in Indonesia, anch'esso fungeva da Centro di collaborazione dell'Oms per le malattie infettive nell'Asia del Sud-Est. Dopo 30 anni di cooperazione, però, il governo indonesiano alla fine del 2005 ha dato il benservito. Perché? Un funzionario ha ammesso che la ragione stava nello sviluppo potenziale di un vaccino contro l'influenza aviaria dal valore miliardario: il contratto del Namru in Indonesia sarebbe stato rinnovato solo se il paese ospite avesse ottenuto garanzie di protezione della proprietà intellettuale sui campioni raccolti sul territorio.
Qualunque sia la verità in merito, sottolinea Grain, il punto è che pochi grandi laboratori nei paesi industrializzati stanno assumendo il controllo su informazioni genomiche vitali grazie alla loro posizione privilegiata nello «sforzo» internazionale contro l'epidemia, con l'Oms a facilitare il loro lavoro. Molti paesi in via di sviluppo hanno seguito diligentemente il protocollo dell'Oms fornendo i propri dati ai laboratori collaboratori, concentrati in pochi paesi, o hanno accettato la sorveglianza internazionale entro le proprie frontiere. In mancanza di accordi chiari del tipo di quelli richiesti dall'Indonesia nessuno impedisce a questi collaboratori di realizzare contratti esclusivi con multinazionali farmaceutiche, il che potrebbe provocare per i paesi in via di sviluppo gravi problemi di accesso ai farmaci qualora emergesse un ceppo del virus trasmissibile da essere umano a essere umano. Non è tranquillizzante del resto sapere che il supervisore della rete Namru è il segretario alla Difesa Usa Donald Rumsfeld, «Rummy», da sempre un insider di Big Pharma (oltre al resto). Si sa, chi sgancia i fondi controlla la partita; e sull'aviaria gli Stati uniti hanno lasciato da parte la loro tradizionale avarizia internazionale e sono i maggiori donatori, benché il virus non li abbia ancora raggiunti. Hanno stanziato intorno agli 800 milioni di dollari, molti dei quali vanno com'è ovvio alle multinazionali di casa del campo sanitario. Nei paesi del sud, i programmi nazionali di risposta all'emergenza, di sorveglianza e pianificazione sottostanno a questa struttura di potere dominata dalle organizzazioni internazionali e dai «donatori». E la password per la banca dati dell'Oms, cioè per accedere alle sequenze del virus dell'influenza aviaria, ce l'hanno solo 15 laboratori in tutto il mondo. Sono dati molto importanti nella corsa globale al vaccino e agli strumenti diagnostici, un mercato che potrebbe dare profitti colossali nel caso di una pandemia umana. Alcuni scienziati e governi chiedono la pubblicazione dei dati nell'interesse della salute globale ma l'Oms prende tempo, dicendo che questo disincentiverebbe i paesi e alcuni dei suoi «laboratori collaboratori» a fornire informazione, visto che vogliono mantenere i diritti sui quest'ultima. . .
Pudicamente l'Oms tace sui nomi dei laboratori che fanno barriera contro la trasparenza; ma è chiaro a tutti gli osservatori che il maggiore ostacolo sono gli Stati uniti. Lo Us center for disease control (Cdc) di Atlanta, uno dei quattro «centri collaboratori» dell'Oms sull'influenza aviaria, e centro nevralgico del programma governativo statunitense di sorveglianza globale sull'influenza, rifiuta di rendere pubbliche la maggior parte delle sue sequenze. David Webster, consulente dell'industria sanitaria del paese ritiene che ciò indebolirebbe il partenariato con compagnie private nella ricerca e sviluppo del vaccino. E intanto, la Fao passa a sostenere gli allevamenti intensivi. Sono più sicuri, dicono. Non è vero affatto. Ma questa è un'altra storia.
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