Anima Mundi. Ritratto di Marius Schneider
di Antonello Colimberti - 03/10/2005
Fonte: colimberti@katamail.com
Ricorrono nella storia della cultura nomi la cui importanza, inizialmente confinata in una cerchia ristretta di addetti ai lavori, si manifesta nel corso del tempo come quella di veri e propri Maestri del pensiero. È il caso di un autore come Marius Schneider, personaggio di tale rilievo da poter ben figurare accanto a insigni intellettuali del Novecento quali Carl Gustav Jung o Henry Corbin (scegliamo questi esempi per una qualche affinità con il Nostro, sia pure nell’originalità di ciascuna ricerca, come vedremo più avanti). Marius Schneider nasce ad Hagenau, in Alsazia nel 1903, la sua formazione attraversa varie discipline (filologia, musicologia, pianoforte, composizione) e si compie in varie città (Strasburgo, Parigi, Berlino). È a Berlino che inizia quella lunga e straordinaria ricerca comparata tra la polifonia extraeuropea e quella europea, i cui frutti saranno raccolti in una monumentale Storia della polifonia, pubblicata a Berlino nel 1934. Nel 1933 assume la direzione del “Phonogramm-archiv”, accettando di convivere con il regime di Hitler fino al 1944, quando si allontana dalla Germania per riparare in Spagna. In questo periodo, tra l’altro, Schneider studia il simbolo dello svastica, ma, al pari di René Guénon, in un senso ben differente da quello nazista. A Barcellona, nella sezione etnomusicologica dell’Istituto di Musicologia, intraprende una colossale indagine sul simbolismo musicale sia delle antiche culture superiori che della musica primitiva, che porterà alla pubblicazione di due importanti opere: Gli animali simbolici e la loro origine musicale nella mitologia e nella scultura antiche e La danza delle spade e la tarantella. La sua carriera accademica si svolge in seguito nelle università di Colonia (1955-1968) e di Amsterdam (1968-1970); in questo periodo oltre a numerosi saggi su riviste ed enciclopedie pubblica la sua opera forse più famosa, Pietre che cantano. Nell’ultimo periodo della sua vita (muore a Marquarstein, in Baviera, nel 1982) pubblica numerosi saggi sulla rivista di Elémire Zolla “Conoscenza Religiosa”. Dalla sua enciclopedica opera estrapoleremo due temi centrali, la cui originalità non riteniamo sufficientemente riconosciuta: il primitivismo e il simbolo sonoro.
Primitivismo
A nostro parere, anche quegli autori che più hanno contribuito alla conoscenza e fama dello Schneider (per esempio Zolla) non hanno sufficientemente messo in rilievo la differenza profonda che il Nostro traccia tra le culture sonore (ma le considerazioni valgono per le culture tout-court) cosiddette “primitive” e quelle cosiddette “alte”. È vero che Schneider si colloca all’interno di una fitta schiera di critici della cultura occidentale, in particolare dei suoi aspetti più moderni e postilluministici, ma rintraccia le radici di tale forma di pensiero molto più indietro nel tempo di quanto facciano alcuni noti autori, specie esoteristi come Guénon o storici della scienza come Giorgio De Santillana. Se è vero quanto scrive Zolla nella Prefazione a Il significato della musica (la prima raccolta di scritti di Schneider pubblicata in Italia), ossia che gli studi di Schneider contribuiscono a ricostruire quella civiltà neolitica, fondata su una scienza di tipo pitagorico, che il Nostro definisce “tradizione megalitica”, ci pare altrettanto vero che tale età della storia dell’uomo non sia considerata un’età dell’oro. Infatti, per Schneider, le cui simpatie sono esplicitamente per autori “irrazionalistici” come Ludwig Klages o Henry Bergson, le alte culture sono quelle nelle quali si è manifestato un pensiero protorazionalista, nel quale i ritmi fondamentali dell’uomo e dell’universo non sono stati più direttamente vissuti, ma, seppur sapientemente, calcolati e spazialmente rappresentati.
Attraverso una comparazione fra i modi di pensare e praticare la musica, Schneider risale alle forme differenti di filosofia della Natura soggiacenti: per le culture primitive essenziale è percepire il movimento nelle forme e il carattere fluttuante dei fenomeni, mentre le alte civiltà preferiscono l’aspetto statico delle forme e il profilo puro e strettamente geometrico; nel primo caso siamo di fronte a una concezione realistica, artistica e intuitiva, nell’altro caso siamo di fronte a una concezione geometrica, scientifica e astratta. Schneider analizza con finezza il trapasso dalla prima alla seconda concezione, senza scorgervi alcun segno di “progresso” anzi, al pari di un poeta ed “ecologo profondo” contemporaneo come Gary Snyder, sembra credere che con il neolitico cominci la decadenza. Non solo, ma la dicotomia tra culture primitive e alte culture (o, se si vuole, alla Lévi-Strauss, fra “primitivi” e “civilizzati”) viene a superare l’accezione di semplici età della storia dell’uomo per allargarsi a quella di modi di concepire il rapporto dell’uomo con il mondo, e con la Natura in particolare. In tal senso, l’aggettivo “primitivo” viene a significare, in fondo, né più né meno che quello che sarebbe “naturale” alla nostra specie. Se questo è vero, il compito fondamentale non appare tanto quello di cercare, attraverso i miti, tracce di una tradizione antica (ininterrotta o meno che sia),quanto quello di identificare nei loro simboli le figure antropologiche inerenti alla coscienza dell’uomo. Qui si mostra la confluenza della ricerca di Marius Schneider tanto con quelle di Carl Gustav Jung, che nella sua psicologia analitica pone l’esistenza di archetipi universali nell’inconscio collettivo, quanto con quelle di Henry Corbin, che per primo ha esposto una teoria dell’“Immaginale”, mesocosmo intermedio fra sensibile e intellegibile, dove gli spiriti prendono corpo e i corpi si spiritualizzano. Ma qui siamo al secondo tema centrale di Schneider, cui accennavamo in apertura: il simbolo sonoro.
Simbolo sonoro
L’originalità del pensiero di Schneider si afferma compiutamente nella nozione di “simbolo sonoro”. Per il Nostro le idee e gli oggetti più diversi, riuniti grazie a un ritmo comune, finiscono col formare in noi un insieme semicosciente che è linguisticamente inesprimibile, ma caratteristico dell’esperienza simbolica. Pur non avendo un significato concettuale, tale insieme possiede un senso espresso dal ritmo che li riunisce e che la musica può riprodurre più di ogni altro linguaggio, perché la manifestazione più alta e essenziale del ritmo è il ritmo sonoro. Se ciò evidentemente già supera ogni idea di simbolismo musicale che la storia della musica occidentale conosca (per lo più nient’altro che immagini trasferite sul piano acustico), Schneider vi aggiunge quella differenza che gli sta a cuore tra cultura primitiva e alta cultura. Così, in evidente consonanza con le nozioni junghiane di “simbolo vivo” e “simbolo morto”, distingue il ritmo-simbolo dell’uomo primitivo, in quanto ritmo percepito fuggevolmente ed espresso da un simbolo vivo (da lui chiamato “grido-simbolo”) dal ritmo-simbolo dell’uomo delle alte culture che lo raffigura come oggetto morto, scolpito in pietra, e che, nonostante finga un ritmo di vita, è in realtà un oggetto inanimato. Ancora una volta ad un ritmo direttamente esperito col proprio corpo si oppone un ritmo fissato nello spazio, addirittura materializzato nella pietra. Come dice Schneider invece di operare dentro la Natura, ci si pose di fronte ad essa; invece di cantare o emettere gridi-simboli, si fabbricarono strumenti con forme o ornamenti di animali per fare musica.
Non solo, ma, al pari di Carl Gustav Jung per il quale il simbolo getta un ponte tra l’io cosciente e l’inconscio, per Marius Schneider il simbolo sonoro getta un ponte fra un mondo primordiale puramente acustico e subcosciente e un mondo materiale perfettamente conscio. In altri termini, al simbolo sonoro viene a corrispondere il mondo semicosciente del suono luminoso (è evidente qui la coincidenza di tale regno intermedio con ciò che Henry Corbin ha chiamato l’”Immaginale”), che funge da mediatore tra il cielo e la terra e che ha il compito, attraverso il rituale, di far risuonare il ritmo del tempo primordiale sino ai confini della visibilità, risvegliando nelle figure materiali della terra la coscienza della loro originaria sostanza acustica. Così facendo, il rito imbeve di divino ciò che è terreno, di spiritualità acustica ciò che è soltanto fisiologico, e al tempo stesso rende vero il falso e falso il vero, alterando ogni conoscenza fondata sul principio di non contraddizione, per il quale una cosa è solo questo e non altro. Qui si tocca un punto decisivo e finale: per Schneider una musica “naturale” (così come ogni attività “naturale”) non è il rispecchiamento di un ordine delle cose fissato una volta per sempre e codificato da una Scienza (antica o moderna che sia), ma piuttosto un rituale che, “riconduce” ciò che è materiale verso ciò che è immateriale, giungendo infine in un luogo che non né materiale né immateriale, ma da sempre disponibile alla coscienza dell’uomo: il Sé o fondo dell’Anima.
Bibliografia in lingua italiana di Marius Schneider
-Il significato della musica, Rusconi, Milano 1970;
-Gli animali simbolici e la loro origine musicale nella mitologia e nella scultura antiche (or. 1946), Rusconi, Milano 1986;
-La musica primitiva (or. 1960), Adelphi Edizioni, Milano 1992;
-La danza delle spade e la tarantella (or. 1948), Argo, Lecce 1999;
-La nozione del tempo nella filosofia e nella mitologia vedica, in Ecologia della musica (a cura di Antonello Colimberti), Donzelli Editore, Roma 2004;
-Pietre che cantano, Guanda, Milano 1980;
-La musica primitiva, in Storia della musica, vol. I/Musica antica e orientale (a cura di Egon Wellesz), Feltrinelli Editore, Milano 1962;
Molti saggi di Marius Schneider sono stati inoltre tradotti e pubblicati sulla rivista “Conoscenza nnnReligiosa” (1969-1982) diretta da Elémire Zolla.