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Abu Omar, coinvolti uomini del Pentagono

di Paolo Biondani Guido Olimpio - 13/05/2006

 
Gli sviluppi delle indagini milanesi sul sequestro dell’imam nel 2003
Fu un’azione militare-civile, non solo della Cia


Il sequestro di Abu Omar e le molte altre « extraordinary renditions » eseguite anche in Europa dopo l’11 settembre sono operazioni congiunte militari-civili, che oltre agli agenti della Cia coinvolgono mezzi e forze speciali del Pentagono. L’inchiesta milanese, che nelle ultime settimane sta cominciando a rivelare la complicità di militari italiani, ha ormai ampiamente documentato che al rapimento dell’imam di Milano hanno partecipato almeno due ufficiali americani che dipendono non dall’intelligence civile, ma dal Dipartimento della Difesa di Washington.
Il personaggio più importante - il più alto in grado fra gli indagati per il sequestro eseguito 3 anni fa a Milano - è il colonnello Joseph Romano. Il suo nome era già comparso nei primi atti d’indagine, quando il suo ruolo sembrava però marginale. Negli ultimi mesi gli inquirenti milanesi hanno acquisito nuove testimonianze che aggravano la posizione dell’ufficiale, che dopo il sequestro dell’imam è stato promosso e oggi lavora al Pentagono, alle dirette dipendenze del ministro Rumsfeld.

Quando è stato rapito Abu Omar, Joseph Romano era il comandante del 76mo squadrone dell’aeronautica militare Usa di Aviano. Nella sua qualità di responsabile per la sicurezza della base, aveva pieni poteri su alcuni ingressi all’aeroporto militare, che così sfuggivano ai controlli italiani. Proprio da lì, alle 17.15 del 17 febbraio 2003, è entrato nella base di Aviano il furgone bianco che trasportava l’ostaggio narcotizzato, bendato, legato e incerottato.

La procura scopre il ruolo del colonnello grazie alle indagini della Digos sui telefonini usati dai sequestratori: mentre il commando partito da Milano arriva ad Aviano, un cellulare della Cia chiama per tre volte Romano, evidentemente per entrare senza controlli. Chiudendo la prima fase delle indagini, i pm Spataro e Pomarici fanno una scelta garantista: quelle tre telefonate non bastano a provare la sua complicità nel sequestro; il colonnello in teoria poteva ignorare che nel furgone c’era un prigioniero. Le ultime indagini hanno però scoperto nuovi indizi. I più significativi vengono dalla Germania, dove il caso Abu Omar ha fatto aprire un’inchiesta su Ramstein, la più grande base aerea degli Usa in Europa.

I magistrati italiani e tedeschi hanno ormai ricostruito tutta la rotta del sequestro, scoprendo che Cia e Pentagono si sono scambiati per due volte l’ostaggio. Abu Omar decolla da Aviano alle 18.16 su un aereo Usa (Learjet) che viaggia protetto da una sigla militare: «Spar 92», che significa «volo militare con passeggero non identificabile». Un’ora dopo l’aereo atterra a Ramstein. Tutti i telefonini attivati in questi momenti-chiave sono intestati a ufficiali dell’aviazione Usa. A Ramstein c’è il cambio: Abu Omar viene caricato su un altro jet (codice N85VM), un insospettabile aereo civile intestato a una squadra di baseball, ma in realtà affittato dalla Cia. Evidentemente è l’intelligence civile a dover gestire gli interrogatori del prigioniero. Il jet decolla da Ramstein alle 20.31. Prima che la preghiera dei muezzin annunci l'alba, Abu Omar è al Cairo nella prigione dei servizi segreti.

Il coinvolgimento di uomini e mezzi del Pentagono è confermato anche da fonti di Washington. Dei 22 statunitensi colpiti dagli ordini d’arresto milanesi, solo per tre è certa l’appartenenza alla Cia. Uno dei 22 ricercati, come confermano i pubblici registri Usa, lavora per il Pentagono: per la Cia è impiegata sua moglie. Anche la squadra speciale inviata a Milano per il sequestro potrebbe far capo al Pentagono, senza contare che la stessa Cia ha proprie «unità di rimozione speciali», formate da paramilitari spesso provenienti (e addestrati) dalla Difesa.

Le indagini internazionali sulle extraordinary renditions - la commissione dell’Europarlamento parla di almeno 150 casi, con circa 30 prigionieri «scomparsi» in carceri più segrete di Guantanamo - inseriscono il caso Abu Omar in una nuova strategia globale: la militarizzazione della lotta al terrorismo. Le ultime indagini sul caso fanno temere che anche in Italia qualche apparato di sicurezza possa aver deciso di non fare più indagini, ma atti di guerra. Sostituendo alla legge e ai processi l’eliminazione fisica dei sospettati.