Gli exit poll sul cancro
di Il Foglio - 16/05/2006
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Adesso i corifei del sogno laico del miglioramento dell’umanità potranno intonare i loro peana. L’eugenetica “buona” miete un grande successo: è stato selezionato un embrione senza il gene che poteva causargli il tumore della retina per eredità dalla madre. E’ istruttivo leggere come è stata data la notizia. “Così non avrà il cancro”, “la bimba che nascerà è completamente sana” - leggiamo sui giornali. E’ bene sottolineare quel verbo al futuro – “non avrà” – quel verbo al presente – “è sana” – e l’avverbio “completamente”. Nell’articolo di commento pubblicato sul Corriere della Sera, Giuseppe Remuzzi scrive che se i genitori non avessero fatto quella scelta “il bambino avrebbe avuto il 50 per cento di probabilità di avere il tumore”. Se ne deduce in primo luogo – com’era peraltro ovvio – che quei verbi al futuro e al presente e quell’avverbio sono un’esimia cialtronata, un preclaro esempio di diffusione di informazioni scientifiche scorrette. Remuzzi ha quindi il merito di aver detto le cose come stanno, e quell’onesto 50 per cento induce a qualche ulteriore commento. Da dove deriva questa stima, da quali dati empirici, da quali statistiche, con quali metodi è stata ricavata? Purtroppo, nel campo biomedico siamo abituati a un uso disinvolto del concetto di probabilità e a stime ricavate con una leggerezza maggiore di quella di cui si dà prova negli exit poll. Ci si imbatte sistematicamente in un uso del concetto di probabilità del tutto “soggettivo”, ma non nel senso della teoria soggettivista delle probabilità dell’illustre matematico Bruno de Finetti, bensì nel senso più terra terra del termine. Viene da pensare che la stima del 50 per cento derivi dalla media tra la probabilità desiderata che l’evento si verifichi (100 per cento) e la stima di probabilità dettata dal timore di fare una figuraccia (0 per cento). Comunque, prendendo anche per buona questa stima, se ne desumono le qualità morali e scientifiche degli scienziati che hanno suggerito questo exploit “scientifico”. In primo luogo, non si capisce chi possa garantire che, avendo migliorato le probabilità che il bambino non sia colpito da quella specifica malattia – un miglioramento comunque modesto, dato che nessun fattore ereditario implica la certezza di contrarre la malattia – non siano peggiorate le probabilità che se ne prenda un’altra anche peggiore, a causa di un altro gene malefico che il bambino scelto possiede (e che magari gli altri embrioni non possedevano). In secondo luogo – e non ci si accusi di fare discorsi da menagramo: non siamo tutti razionalisti? – è evidente che al bambino potrebbe toccare di cadere nel 50 per cento sfavorevole. Si sarà ottenuto un triste risultato al prezzo di scartare in laboratorio altre vite che forse avrebbero potuto vivere anche meglio. Da qualsiasi punto di vista si esamini la questione, il punto cruciale è che la vita non è un processo deterministico. Quantomeno noi non abbiamo la minima ragione scientifica per ritenere che essa sia tale. Ancor meno abbiamo i mezzi scientifici per trattarla come se fosse un processo deterministico. La modesta alterazione della probabilità di prendere una specifica malattia ereditaria rappresenta una perturbazione minima nel corso della vita di una persona. Eppure questa modesta alterazione – di cui ci sono sconosciute gran parte delle conseguenze e delle implicazioni – ci viene venduta come una certezza di salute. Questo modo di agire è doppiamente colpevole: in quanto propone scelte prive di qualsiasi base scientifica seria e dense di implicazioni etiche inaccettabili. Consola sentire un crocchio di gente per strada che commenta che non avrebbe mai fatto una scelta come quella in nome di una stima di probabilità: c’è più cultura scientifica e senso etico in quel crocchio di gente comune che nel coro greco di certi intellettuali paladini della scienza che non sanno fare neppure un’addizione. |