Matzneff, l'uomo che mette un romanzo in ogni mail
di Stenio Solinas - 12/10/2010
Vitalista, dissipatore, sulfureo ma malinconico. Il grande scrittore francese è trascurato dagli editori italiani. Ma il suo sperimentalismo è genio puro
Matzneff è un cognome russo, e infatti i genitori di Gabriel-Gab appartengono a quella Russia bianca degli esuli della Rivoluzione d’Ottobre. Da qui viene il suo interesse per i culti e i riti della Chiesa cattolica ortodossa, combinata a un paganesimo stoico e a un amore per il mondo e il modo d’essere greco-romano: il risultato è una religiosità a prima vista contraddittoria, eppure a suo modo coerente.
In mezzo secolo di scrittura, Matzneff ha messo al mondo una trentina di libri: narrativa, saggistica, poesia, diaristica. Ha pubblicato per Gallimard, Lattès, La Table Ronde, Folio, ha avuto fra i suoi estimatori Aragon e Montherlant e poi Dominique de Roux, Philippe Sollers, Bernard Henri-Lévy, vale a dire la destra e la sinistra (si sa che il centro, in letteratura come in politica, non esiste) quando sono intelligenti. Se l’editoria italiana fosse un po’ meno miope e pigra, avrebbe una piccola-grande miniera da sfruttare: romanzi come Ivre du vin perdu e Nous n’irons plus au Luxembourg, libri di viaggio e di memoria come Comme le feu mêlé d’aromates, saggi come La diététique de Lord Byron, Le dìner des mousquetaires, Vous avez-dit métèque?.
Il sottotitolo di Les Émiles de Gab la Rafale ha per sottotitolo «roman électronique», romanzo elettronico: perché, dice il suo autore, rimanda a un elettrocardiogramma, un sismografo che registra, grazie all’immediatezza del mezzo impiegato, «i soprassalti del mio umore incostante». E perché la sua vita «variopinta, contrastata» gli sembra «più romanzesca della finzione più ingegnosa». Costruito sulle e-mail-émiles inviate fra il 2005 e il 2009, è un libro tipicamente matzneffiano, dove si mischiano giudizi politici e considerazioni letterarie, riflessioni sull’arte e sulla società, interessi e idiosincrasie. Insomma, è un breviario esistenziale e un manuale di resistenza contro la modernità e la volgarità del mondo, scritto da un cultore della vita e dell’amore. Amore, non sesso, e vale la pena spiegare il perché.
C’è in Francia intorno a Matzneff una sorta di leggenda nera da lui a suo tempo spiegata così: «Quando siete uno scrittore che riassume sul suo nome una reputazione di libertà e di libri sulfurei, il pubblico ha sui vostri amori delle idee molto precise e disserta sui vostri giochi d’alcova con altrettanta sagacia che se voi l’aveste chiamato a reggergli la candela. Ciò si aggrava se siete soliti soggiornare in città conosciute per la precocità sessuale della loro giovinezza: vivere ieri a Venezia o a Marrakech, oggi a Bangkok o a Manila, è già in sé un peccare o un dichiararsi colpevoli. I viaggi sono delle confessioni. In realtà, le vere confessioni di uno scrittore sono i suoi libri: essi solo sono importanti». Diceva Cocteau che «i cattivi costumi sono le sole cose che gli altri ci prestano senza esigerle di averle indietro»...Les Émiles è anche un libro orgogliosamente malinconico. Matzneff ha superato i settant’anni e per uno che ha fatto della giovinezza e della sanità della vita una religione, l’età anagrafica, per quanto molto ben portata, più che una constatazione è un’offesa e un insulto. Ironicamente scrive di preferire al termine «attempato» quello di «millésimé», oppure «stagionato. L’uomo vero è come il parmigiano. Più è stagionato, più è buono». Appartiene a una generazione e a un’epoca per le quali viaggiare era ancora un piacere, e ora è costretto a lottare contro il turismo di massa, il disprezzo per ogni estetica, l’impazzimento dei prezzi. Lo fa viaggiando controcorrente, un po’ come i salmoni che risalgono i fiumi... Avendo abbracciato la scrittura come una missione, non ha pensione, non vive di collaborazioni e questo, unito al concetto molto russo della dissipazione e del beau geste, comporta un’esistenza eternamente sul filo della pura sopravvivenza combattuta a colpi di puro spreco.
E tuttavia Les Émiles è soprattutto un libro vitalistico, pieno di curiosità, di stupori, di meraviglia. Il libro di uno spirito libero e quindi maniacale, perché «più un uomo ha una natura fantastica, umbratile, versatile, contrastata, indecisa, e più ha bisogno, se non vuole soccombere, di fissarsi delle regole, regulae ad directionem vitae, e di attenervisi». Così, il ritratto che ne vien fuori è quello di un pessimista allegro, un egoista generoso, un gourmand frugale, un temperamento di destra con idee di sinistra, un teorico del suicidio innamorato della vita.