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E che dire del Diavolo? Raymond Smullyan o come non si fa filosofia

di Francesco Lamendola - 13/10/2010

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«Matematico, filosofo, scrittore, pianista e prestigiatore statunitense»: così Wikipedia definisce, non senza enfasi, il novantenne Raymond Merrill Smullyan.

Smullyan rappresenta, a nostro avviso, un buon esempio di come non si dovrebbe mai fare filosofia: vale a dire con una colossale leggerezza che, se potrebbe essere gradevole nella forma - purché sia contenuta entro certi limiti -, diviene assolutamente fuori luoghi quando investe la sostanza, trattando con strafottente leggerezza argomenti che sono estremamente seri, solo perché l’Autore parte chiaramente da un pregiudizio razionalista e positivista.

Dopo aver creato una serie di personaggi letterari, come l’ispettore Craig, allo scopo di vivacizzare il racconto (o forse per scimmiottare certa letteratura pseudofilosofica di casa nostra), egli conduce il lettore non specialista nei meandri della logica, della metafisica, della dialettica, girandoselo e rigirandoselo come un bravo Verdiglione d’oltre Oceano; finché il poveretto, pur avendo compreso poco o nulla dei suoi contorti ragionamenti, per giunta conditi con dosi alquanto generose di frizzi e lazzi che vorrebbero essere divertenti, non può non sospirare: «Eh, però, questo Smullyan: non ci ho capito niente, però, che gran filosofo deve essere!».

Prendiamo, a titolo di esempio, un brano tratto dal suo libro «5.000 avanti Cristo… e altre fantasie filosofiche» (titolo originale: «5.000 B. C. and Other Philosophical Fantasies», 1983; traduzione italiana di Manlio Guardo, Bologna, Zanichelli, 1987, pp. 10113), nel quale si occupa del problema se si diano degli enti che non esistono:

 

«Ottima domanda: che dire del Diavolo e, in generale, dei Diavoli? Ce ne sono? E, in questo caso, quanti ce ne sono? Godono della proprietà dell’esistenza?  È possibile che alcuni ne godano e altri no?

Fortunatamente tutte queste questioni sono state completamente risolte, in uno straordinario manoscritto, da un erudito dottore della Chiesa, Alphonso G. (Non mi è concesso, disgraziatamente, di divulgare il nome completo, né il titolo del manoscritto […]). Il manoscritto fu bollato di eresia dalla Chiesa, e l’autore fu condannato al rogo. Fortunatamente Alphonso fuggì di prigione e nascose il suo prezioso manoscritto, con ogni probabilità l’unico esemplare rimasto!

Dalle indagini filosofiche di Alphonso sembra si possa dedurre che ci sono certe proprietà dette ANTIPERFEZIONI e, naturalmente, il Diavolo si definisce come un essere dotato di tutte le antiperfezioni. Ecco alcuni dei postulati di Alphonso a proposito delle antiperfezioni.

POSTULATO 1: La non esistenza è un’antiperfezione (naturalmente la non esistenza è la proprietà di non godere della proprietà dell’esistenza).

POSTULATO 2: data una qualsiasi antiperfezione A, se non c’è alcuna entità esistente che abbia la proprietà A, allora non c’è per nulla un’entità che goda della proprietà A. (Un’entità esistente è, naturalmente, un’entità che gode della proprietà dell’esistenza).

In base ai due postulati enunciati Alphonso provò anzitutto il seguente teorema:
TEOREMA A
: Non ci sono entità non esistenti. In alte parole tutto esiste! […]

Alphonso provò poi il teorema seguente, che potrebbe ben essere il più importante teorema mai provato:

TEOREMA B: Non c’è Diavolo alcuno, esistente o non esistente che sia.

Fu, naturalmente, il teorema B a causare la rottura fra Alphonso e la Chiesa.

Alphonso aveva un discepolo polacco dotato di grande talento, M. Askanas, il quale (al pari di tutti i discepoli di Alphonso) credeva che non ci fosse alcun Diavolo, ma si rifiutava di accettare le prove del proprio maestro. Non è ch’egli vi ravvisasse alcunché di formalmente errato, ma non riusciva a persuadersi di accettare il postulato 2, poiché questo , poiché questo conduce al teorema A, e Askanas  rifiutava l’eventualità che non possano esserci entità non esistenti. Egli propose pertanto un postulato alternativo che (insieme con il postulato 1) genera il teorema B ma non il teorema A. In via preliminare Askans introdusse la definizione seguente: per una proprietà P qualunque si dice che un’entità gode della proprietà P+ se gode sia della proprietà P, sia di quella del’esistenza. (Per esempio, è la proprietà di essere un frutto,, allora ogni mela - esistente o no - gode della proprietà P, ma solamente le mele esistenti godono della proprietà P+.

Ed ecco il postulato alternativo di Askanas:

POSTULATO 2’: Per qualunque antiperfezione» A, la proprietà A+ è anch’essa un’antiperfezione.

Devo dire che questo postulato mi sembra particolarmente plausibile. In verità mi vien fatto d0affermare che se A è un’antiperfezione, allora la proprietà A+ è, semmai, un’antiperfezione anche peggiore di A! Se, per esempio, A è la proprietà di essere un tiranno, non è la proprietà A+ perfino peggiore? Cioè, un tiranno esistente non è peggiore di uno che non esiste? Sicuramente, dei due, può far più danno il tiranno che esiste!

Ad ogni modo, come ho detto, il teorema B è deducibile dai postulati  […]

Qualcuno, una volta, mi ha chiesto se, invece di provare che Dio esiste e il Diavolo no,si possa provare che c’è il Diavolo e non esiste Dio. La risposta è: senz’altro, basta cambiare gli assiomi! […]

PROVA DEL TEOREMA A.  Sia N la proprietà della non esistenza. È ovvio che nulla che goda della proprietà N può anche godere della proprietà di esistere. Allora discende dal postulato 2 che non c’è entità di sorta che possieda la proprietà N. Di conseguenza In altre parole, non c’è alcuna entità che goda della proprietà di non esistere.  (Questa prova poggia sul postulato 2, ma non richiede il postulato 1!).

PROVA DEL TEOREMA B. Dal solo postulato 1 segue che non può esserci alcun Diavolo ESISTENTE (il che è già motivo di sollievo!) giacché, per definizione, ogni diavolo ha tutte le antiperfezioni e la non esistenza è un’imperfezione (postulato 1) e, pertanto, qualunque Diavolo gode della proprietà della non esistenza. Se, dunque, ci fosse un Diavolo, esso avrebbe la proprietà di non esistere. Ma, in virtù del teorema A, non c’è entità di sorta che possa avere la proprietà della non esistenza. Dunque non c’è alcun Diavolo.»

 

Questo è un buon esempio, ci si passi il gioco di parole, di cosa dovrebbe intendersi per un cattivo modo di fare filosofia.

Potremmo anche sorvolare sul tono faceto,  ammiccante, autocompiaciuto dell’autore, il quale ha tutta l’aria di trovare divertentissimi i suoi giochini intellettuali e la bravura con cui maneggia i concetti, come un moderno sofista, per dimostrare qualsiasi cosa, ma specialmente per mettere in burla il modo di ragionare dei filosofi medievali, i quali, a suo avviso, erano dei solipsisti che ignoravano di esserlo.

Potremmo sorvolare, dicevamo, perché è un vezzo di certa saggistica filosofica anglosassone, particolarmente di Bertrand Russell; e alle cattive abitudini culturali della propria nazione è difficile sottrarsi, specialmente se si pensa fermamente, pur senza avere il coraggio di dirlo in modo aperto, che si è la prima nazione o la prima cultura al mondo, e tutti gli altri dovrebbero prenderci ad esempio e sforzarsi d’imitare i nostri modi.

Ma, di fatto, non possiamo farlo, perché l’argomento è molto serio e sulle cose serie non si dovrebbe scherzare; né si vede per quale motivo i filosofi dovrebbero prendersi questo tipo di libertà, proprio loro che avrebbero la responsabilità di indagare il reale allo scopo di separare le cose importanti da quelle che non lo sono.

Per dimostrare che è vano disquisire sugli enti che non esistono, Smullyan sceglie come testa di turco, ovvero come bersaglio di comodo contro cui esercitare la sua arte logico-dialettica, la questione del’esistenza del Diavolo; e la volge in burla fin dall’inizio, chiedendosi, ad esempio, quanti Diavoli potrebbero esserci, posto che ve ne siano: e ciò con la stessa disinvoltura con cui avrebbe potuto chiedersi se esistono le Chimere, i Centauri o le mucche che volano.

Forse influenzato da «Il nome della rosa» di Umberto Eco, egli improvvisa una serie di giochi di prestigio intellettuali il cui scopo è, da un lato, ridicolizzare il modo medievale di porre la questione degli esistenti; dall’altro, quello di far rifulgere la sua bravura, oltre che la sua arguzia e la sua fantasia.

A tale scopo egli introduce una quantità di personaggi immaginari, compresi degli investigatori sul modello di Sherlock Holmes (o forse di Guglielmo di Baskerville), alcuni anche molto esotici, ad esempio cinesi; tanto che, per andare al nocciolo del discorso e per risparmiare al lettore tutti questi fronzoli di dubbio gusto, che oltretutto l’autore cita di continuo con evidente narcisismo, siamo stati indotti ad omettere le parti più stucchevoli.

Il guaio è, però, che, tolti gli orpelli letterari, non resta molto di concreto sul piano filosofico; basti dire che Smullyan non si prende nemmeno la briga di distinguere opportunamente fra esserci ed esistere, fra essenza ed esistenza.

Noi non lo seguiremo nei suoi capziosi ragionamenti, nei quali non è chiaro fin dove ragioni seriamente dove incominci a prendersi gioco del lettore; piuttosto, ci limitiamo ad osservare che il difetto preliminare di essi, intenzionale o meno che sia, è quello di non aver distinto IN CHE SENSO si ponga l’esistenza di una determinata cosa. Invero, parrebbe che, per Smullyan, esistono solo le cose materiali: e Dio e il Diavolo, non essendo tali, evidentemente non possono esistere.

Quando egli dice, ad esempio, che un tiranno esistente è più dannoso di un tiranno che non esiste, non si accorge di maneggiare un’arma a doppio taglio. Infatti, che cosa intende egli per un tiranno che non esiste? Intende forse un tiranno che esiste solo nella fantasia di qualche scrittore o sulle pagine di un libro?

Se è così, qualcuno gli dovrebbe spiegare che il modello letterario di un tiranno può essere non solo altrettanto dannoso, ma anche più dannoso di un tiranno in carne ed ossa: nel senso che può ispirare a qualche tiranno, o a qualche potenziale o futuro tiranno, azioni ancor peggiori di quante ne siano mai state compiute da un qualsiasi tiranno esistito nella realtà.

Ma poi, che cosa significa l’espressione “esistente nella realtà”? Forse che un personaggio letterario non esiste anch’egli nella realtà: nella realtà di quella determinata opera, che verrà letta, magari, da milioni di persone, influenzando i loro valori e il loro modo di vedere il mondo?

E quel che vale per un personaggio letterario, vale anche per qualsiasi altro ente che non esiste sul piano della realtà fisica. Un sogno, ad esempio, non è qualcosa di irreale: è reale; così reale che può influenzare, allo stato di veglia, la vita di colui che lo ha sognato.

Alla fine dei conti, l’idea che tutto esiste, o, per dir meglio, che tutto l’intelligibile esiste, della quale Smullyan si fa beffe, non è poi così assurda come egli la vuol far sembrare; è, anzi, la sola realmente seria e ragionevole. Infatti, per il solo fatto di essere pensata o anche solo di essere pensabile, una cosa esiste, anche se non sul piano della esistenza fisica, ma su un altro piano, quella della esistenza ideale o potenziale.

Oppure, quando afferma che un tiranno esistente è più nocivo di un tiranno non esistente, Smullyan vuole significare che solo le cose che si possono vedere, toccare, esperire con i sensi fisici, sono in grado di agire nella sfera della vita concreta? Anche in questo caso, egli prende un grosso abbaglio: gli enti che non esistono fisicamente, ma che esistono a livello mentale o che possono esistere a livello mentale, sono suscettibili di agire sulla realtà concreta altrettanto efficacemente, o anche più efficacemente, di quelli che godono di un’esistenza attuale.

Del resto, si rifletta che un ente, allorché sia pensabile, per ciò stesso diviene anche suscettibile di esistere. Un cavallo volante non può esistere, obietteranno quelli come Smullyan. E chi lo dice? C’è stato un tempo, lontano solo poco più di un secolo, in cui sembrava pazzia sostenere che l’uomo potesse volare. Perché dunque non potrebbero volare, un domani, anche i cavalli? Un cavallo volante è perfettamente pensabile: dunque, può esistere.

Ma potremmo spingerci anche oltre su questa linea di ragionamento. Se una cosa è pensabile, non solo è suscettibile di esistere anche sul piano materiale, ma è addirittura CERTO che, presto tardi, esisterà. Infatti, è solo questione di tempo: quando una cosa è pensabile, è anche possibile; e dunque essa finirà per trovare le condizioni che la faranno esistere: esistere concretamente, s’intende, e non solo a livello ideale o letterario o nel mondo dei sogni.

Questa  la miseria dell’empirismo, del razionalismo e del materialismo: che non hanno fantasia, che non sanno vedere più in là del loro naso.

La realtà procede in fretta, specialmente da quando l’«homo tecnologicus» ha preso il sopravvento su ogni altra dimensione dell’essere umano; anche se non sempre procede nel modo che sarebbe desiderabile da quanti conservino ancora il senso del limite.

Fino a pochi anni fa, sarebbe stato perfettamente lecito affermare che non esisteranno mai due esseri viventi perfettamente identici; ma oggi, con la clonazione in laboratorio, una tale affermazione non sarebbe più valida.

Non è un progresso, lo ripetiamo, almeno secondo il nostro punto di vista; semmai, un regresso: ma tant’è, bisogna essere cauti prima di dire che una cosa non esiste e non potrà esistere mai. Se la possiamo pensare, vuol dire che, magari fra mille anni, essa verrà all’esistenza; ammesso che non sia già esistita nel passato, solo che noi non lo sappiamo…

Quanto a Dio e al Diavolo, posto che essi esistano, non ne potremo mai provare l’esistenza secondo le categorie applicabili agli enti materiali. Chi imposta il proprio ragionamento su di essi partendo da tali categorie, o è in mala fede o è uno sciocco.

Ed è noto, limitandoci a parlare del Diavolo, l’aforisma di Baudelaire: che “lui” non è mai tanto soddisfatto, come quando gli uomini si fanno beffe della possibilità che egli esista.