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Bp e Usa: negligenza e incompetenza

di Michele Paris - 15/10/2010




Qualche giorno fa la commissione presidenziale d’inchiesta sull’esplosione della piattaforma petrolifera della BP nel Golfo del Messico lo scorso mese di aprile, ha reso note le prime conclusioni della propria indagine. Secondo gli investigatori nominati dalla stessa amministrazione Obama, il governo americano avrebbe intenzionalmente nascosto all’opinione pubblica la vera entità della fuoriuscita di greggio, ostacolando, di fatto, un’adeguata risposta a quello che sarebbe poi diventato uno dei più seri disastri ecologici degli ultimi decenni.

“Sottostimando la quantità di petrolio fuoriuscito inizialmente e, successivamente, alla fine dell’estate, minimizzando la quantità di greggio rimasto nel golfo, il governo federale ha dato l’impressione di non essere pienamente in grado di gestire la perdita o di voler nascondere agli americani le dimensioni del disastro”. Così si conclude una delle quattro relazioni della commissione insediatasi nel mese di giugno e che dovrà presentare un rapporto finale alla Casa Bianca agli inizi del prossimo anno.

La strategia del governo per coprire le responsabilità della BP nel disastro che ha causato la morte di 11 lavoratori impegnati sulla piattaforma Deepwater Horizon era stata messa in atto già nei giorni successivi al 20 aprile. Pubblicamente, infatti, la Casa Bianca ha continuato a lungo a sostenere che la fuoriuscita di greggio ammontava appena a cinquemila barili al giorno. A questo scopo venne anche impedito all’agenzia federale che si occupava di monitorare gli effetti del disastro (NOAA) di rendere pubbliche le proprie stime relative alla perdita, ovviamente ben superiori a quelle del governo.

Grazie al lavoro di qualche ricercatore indipendente, nonostante gli ostacoli incontrati per accedere alle informazioni necessarie, la vera entità della fuoriuscita sarebbe stata rivelata molto più tardi e fissata attorno ai 60 mila barili al giorno, per un totale di petrolio versato nelle acque del Golfo del Messico non inferiore ai 5 milioni di barili. Un quantitativo venti volte superiore al già enorme disastro causato dalla Exxon Valdez in Alaska nel 1989. Il pozzo situato ad una profondità di oltre un miglio sarebbe stato infine chiuso il 15 luglio e definitivamente sigillato alla fine di settembre.

Nel mese di agosto, poi, esponenti dell’amministrazione Obama cercarono nuovamente di manipolare la realtà dei fatti nel golfo, annunciando trionfalmente che i tre quarti del petrolio fuoriuscito si era già dissolto oppure era stato raccolto dalle petroliere. Un’affermazione totalmente inattendibile, nel tentativo di esaltare gli sforzi del governo per combattere il disastro e limitare gli effetti devastanti sull’ecosistema del Golfo del Messico.

Anche in questo caso, sarebbe toccato a biologi e oceanografi svincolati da ogni legame con il governo o con la BP smentire le stime ufficiali. Circa la metà del greggio fuoriuscito rimarrebbe infatti tuttora sospeso nelle acque del golfo, sepolto in profondità o depositato sulle coste meridionali degli Stati Uniti e, solo, per conoscere il reale impatto del disastro ecologico saranno necessari ancora molti mesi, se non anni.

Se l’amministrazione Obama in seguito all’esplosione della piattaforma della BP emise una moratoria per le trivellazioni dei pozzi situati nelle acque più profonde della propria piattaforma continentale, l’intera risposta al disastro è stata indirizzata praticamente alla salvaguardia dell’immagine della corporation britannica.

A guidare la stessa commissione d’inchiesta sulla fuoriuscita di greggio nel Golfo del Messico ci sono personalità dal curriculum discutibile, come William K. Reilly - ex direttore dell’Agenzia di Protezione Ambientale (EPA) sotto Bush senior e membro del consiglio di amministrazione del gigante petrolifero ConocoPhillips - e l’ex senatore democratico ed ex governatore della Florida Bob Graham, da sempre acceso sostenitore della deregulation.

Per proteggere gli interessi della BP ed evitare un conto troppo salato in fase di risarcimento, il presidente Obama ha infine da qualche tempo chiesto ai vertici della compagnia petrolifera l’accantonamento di 20 miliardi di dollari per coprire i danni provocati. Una cifra del tutto inadeguata, nonché in gran parte detraibile dalle tasse, che eviterà alla BP di risarcire interamente gli effetti del disastro provocato da una politica aziendale che pone il profitto al di sopra di qualsiasi scrupolo per l’ambiente e la sicurezza dei propri dipendenti.

Dall’esplosione della scorsa primavera, d’altra parte, nessun dirigente della BP è stato arrestato, indagato o licenziato per i fatti accaduti nel Golfo del Messico, nonostante la documentata negligenza della compagnia nella gestione della piattaforma Deepwater Horizon e in numerose altre installazioni petrolifere negli Stati Uniti e altrove. Ciò è stato possibile solo grazie all’azione tempestiva di un governo che si è adoperato in tutti i modi per difendere la corporation britannica fino a nascondere ai propri cittadini la verità sul disastro ambientale più grave della storia americana.