Moggi, un italiano vero
di Oliviero Beha - 18/05/2006
Non è il «caso Calcio», è il «caso Italia». E non c'è proprio bisogno che ce lo ricordi il Financial Times definendoci come paese una «vecchia signora furfantella». Lo possiamo vedere da noi, se solo ne abbiamo la voglia e il coraggio intellettuale, e politico. Partiamo dall'ultima tessera di giornata, per arrivare al mosaico tricolore: mentre la Giunta del Coni nomina Guido Rossi Commissario straordinario della Federcalcio, escono le prime trascrizioni delle telefonate intercettate tra Luciano «Licio» Moggi e un signore che con il Coni ha qualcosa a che fare. Ne è semplicemente il Segretario generale. Si chiama Raffaele Pagnozzi. Dal tono e dagli scambi se ne evince che il secondo è il referente nel Palazzo del primo, lo informa su ciò che lo riguarda, fa per lui quello che in questi giorni fanno per Moggi gli arbitri, Carraro, altri dirigenti di club, ministri della Repubblica, generali della Finanza, giornalisti ecc. Insomma, «l'Italia», o meglio una parte rappresentativa dell'Italia e del suo modo di ragionare e di comportarsi. Quanto vi sia di penalmente rilevante, è cosa che stabiliranno i giudici. Qui preme focalizzare il mosaico di questo costume degenerato, il disegno della palude italiana foscamente rischiarata dallo scandalo di Moggiopoli. Almeno per giungere alla conclusione che queste intercettazioni hanno «semplicemente» alzato il sipario sulla scena e ce la stanno mostrando giorno dopo giorno. Certo, la scena e gli attori erano così anche prima dietro il sipario, sul palcoscenico, e coloro che avevano a che fare in varie dosi con la compagnia del Giocattolone lo sapevano. Forse non conoscevano tutta la trama, ma sapevano benissimo che razza di recita fosse. Adesso lo possiamo constatare anche noi, «da fuori». Guido Rossi, dicevamo. Figura di spicco nel suo campo, ex presidente della Consob (e il calcio in borsa ha sommato due elementi di forte opacità con le conseguenze oggi vistose a Piazza Affari, ma da sempre colpevolmente oscure), ex senatore che durante il governo D'Alema aveva parlato di Palazzo Chigi come l'unica merchant bank in cui non si parlava inglese. Era stato chiaro, Guido Rossi: bene, al Palazzo H del Coni parlano inglese in parecchi, è questa la differenza. Ma negli armadi c'è una varietà straordinaria di reperti da palude. Per esempio, il caso doping-Juventus, oggi in Cassazione dopo una condanna e un'assoluzione nei due gradi di giudizio. Caro Rossi perché, sempre a fini mosaicisti, per capirne di più, non collega il caso doping-Juve a Moggi, a Giraudo e a Pagnozzi, e al laboratorio antidoping e a tutta quella vicenda che tocca persino (non penalmente, almeno per ora) il Commissario tecnico della Nazionale, con le sue brave convocazioni? Tocca inteso almeno come fatto di costume. E questo inedito legame tra il Direttore generale della Juventus in tutti questi anni, e il segretario generale dell'Ente preposto al controllo anche del calcio, legame solo oggi «intercettato», non può contribuire per i curiosi a gettare un occhio anche su quelle vicende che in molti preferirebbero dimenticare? E fin qui siamo allo spaccato calcistico-sportivo di Moggiopoli, e della sua splendida P3 rotonda. Ma ogni giorno ce n'è una anche nel resto. E quel che si legge nelle trascrizioni o è falso (ma chi l'avrebbe falsificato?), o se è vero - come è vero - contraddice la lettura che ne danno gli interessati. Prendiamo Pisanu, anche lui appena appena ministro dell'Interno del governo Berlusconi fino a ieri (e, di passata, giudicato anche dall'opposizione uno dei meno peggio, il cancelliere Bismarck se paragonato a Gasparri): dice che è amico di Moggi da quarant'anni. E allora? Mica gli si imputa questa simpatica amicizia, bensì di avergli chiesto «una manina» d'aiuto per la squadra della Torres. Secondo Pisanu è «normale». Ma che idea di Stato e di Italia ha, Pisanu? È normale solo perché si tratta del calcio, concettualmente una specie di bordello o di Luna Park, con la franchigia del divertimento per il tifoso bue? È un'interpretazione socioculturale (magari implicita) probabilmente vicina alla verità, che condanna il pallone a giacere nelle condizioni comatose di oggi. Ma sia nella lingua usata per parlarne sia nel modo di pensare, ci dice più cose su Pisanu che su Moggi. Lo stesso valga per le intercettazioni tra Moggi e un altro ministro, Siniscalco. Sembra proprio che l'ex ferroviere di Civitavecchia di cinta senese funzioni da evidenziatore dell'Italia contemporanea, come le intercettazioni da manovella per il sipario: afferri un capo qualunque del filo, e si sgomitola tutto il paese, tra piccoli e grandi drammi, penose ipocrisie e farse ciclopiche, con un occhio solo... C'è un industriale di fama come Diego Della Valle che sera dopo sera in tv in attesa dei giudici eroicamente fa il Don Giovanni rifiutando di assumersi la sua colpa di fronte al Commendatore: se conosce la storia, sa come va a finire. Negli inferi, mentre decine e decine di giornalisti/Leporello gli stanno adesso facendo il coro del «poverino» ma affilando i coltelli per recidere i fili dopo. Ormai senza più bisogno di metafore Della Valle conferma tutto: costretto al «pizzo» calcistico dal boss della mafia pallonara (ma chi? solo Moggi? oppure con il concorso di chi altro, a parte i caratteristi sulla scena di questa commedia all'italiana di sedicesimo ordine? Carraro? Galliani? altri ancora?) per salvare il suo club penalizzato, lamenta di averlo dovuto fare per forza. E continua a volere pubblicamente «tavoli» attorno a cui sedersi (con Berlusconi e c.) per «moralizzare» il calcio. Pensate, sembra non trovarci nulla di contraddittorio. Non si è chiesto per esempio se il suo «pizzo» ha danneggiato qualcun altro? E come fa a non contemplare l'ipotesi che aver oggettivamente «fatto parte dei compagni di merende arbitrali» per un mese ha stabilito le condizioni per non uscirne più neppure dopo, neppure in quest'ultima stagione? Se no, doveva denunciare il tutto, altro che intercettazioni. Ma Don Giovanni non la pensa così. Staremo a vedere come finisce l'opera. Il Moggi piangente alla fine del primo interrogatorio ha detto agli inquirenti che il calcio aveva «un virus» anche prima che lui mettesse su questo po po di congegno a prova di bomba, di ministri, di imprenditori ecc ecc, ma non di intercettazioni. Interessante: e da quanto prima? Dagli anni del doping (cfr. come detto Pagnozzi, ma anche Carraro, Pescante e così via)? O ancora prima? Con le scommesse del 1986, che hanno visto all'opera come magistrato un intercettato di oggi, il Procuratore di Pinerolo Marabutto evidentemente folgorato sulla via di Luciano? O ancora prima, con il Totonero del 1980 (al Coni c'era Carraro «soltanto» presidente)? È tutta materia curiosa, dottrina per uno studioso operativo come Guido Rossi, che certamente conosce queste cose. Se no, grazie ai magistrati - ma sempre e comunque quelli ordinari... - gli verrà rinfrescata la conoscenza. Così come sarebbe importante che il neopresidente del Consiglio, Prodi, e il suo consulente parasportivo, Angelo Rovati, prestassero un'attenzione politica e culturale a quello che è successo al calcio in questo paese, senza mettere mano alla pistola se uno nomina Berlusconi. Non è un tic, Rovati, è storia e cronaca. Vent'anni di calcio con Berlusconi, e Moggi in quella progressione geometrica oggi a sipario sollevato sotto gli occhi di tutti, hanno tinto diversamente quest'industria, già discutibile allora. Moggi è solo la centrifuga e la centripeta di interessi spaventosi, noti a tutti quelli che operano oltre il sipario. Il berlusconismo come idea della vita e della società è anche un modo di intendere il calcio e farne funzionare (sic!!) il mondo. Un mondo in cui Buffon scommette impunemente, il figlio di Lippi spopola alla Gea, e domenica scorsa come monito mafiosissimo viene mandato da quarto uomo a Bari l'arbitro Paparesta, il «sequestrato» delle intercettazioni, proprio a una partita della Juventus - e con la stessa Reggina come ai tempi del sequestro - senza che nessuno nella bufera di Moggiopoli rimarchi questa stupenda coincidenza. Ma chi l'ha deciso, Paparesta vicino alle panchine, anche a quella della Juventus in una domenica direi eccezionalmente significativa come l'ultima, l'ho deciso io? E chi del direttorio arbitrale ce l'ha spedito è un giocherellone oppure uno del giro, uno che così facendo spedisce «pizzini» visivi il cui patente contenuto è «calma, anche dopo Moggi il sistema è sempre questo, quindi non sgarrate, non parlate, non vi illudete»? È il «caso Italia» dunque, non solo e non tanto il «caso Calcio», e come tale va affrontato, Rovati, Prodi, tutti coloro che nella palude stanno male e pensano a una bonifica, non alla solita cementificazione stagionale per l'ennesima speculazione edilizia. www.olivierobeha.it |