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Come salvare il pianeta dal riscaldamento globale

di Luca Mercalli - 22/10/2010




"Quando verrà scritta la storia della crisi climatica, Hansen sarà riconosciuto come lo scienziato con la posizione più chiara e intelligente rispetto alle azioni da intraprendere per preservare l'ambiente del nostro pianeta." Al Gore

Un racconto sincero e appassionato che ci mette in guardia sui rischi del surriscaldamento globale, puntando il dito contro una politica miope e distante della realtà.
"Tempeste" ripercorre la vicenda umana e professionale dell'autore, attivo nella ricerca scientifica ai massimi livelli, e che recentemente (a pochi mesi dal suo settantesimo compleanno) è stato arrestato per aver partecipato a una manifestazione contro l'estrazione di carbone sui monti Appalachi.
Il libro di Hansen, nato da un intimo bisogno di porre fine agli ostruzionismi della politica e degli interessi economici, descrive con chiarezza la gravità della situazione climatica, l'evidenza delle responsabilità umane e fornisce alcune indicazioni per porvi rimedio.


Ventinove marzo 2001: è da qui che Hansen inizia a raccontare la sua esperienza di climatologo alle prese con la politica in occasione della convocazione a Washington della Task Force governativa sul clima. Due mesi prima anch’io avevo vissuto la mia prima esperienza “ufficiale” con la politica e con lo stesso obiettivo: un modestissimo intervento in Consiglio Provinciale di Torino il 30 gennaio, nell’ambito della giornata sui cambiamenti climatici organizzata dall’Unione Province d’Italia.

Non so quanto di quell’incontro sia rimasto ai distratti amministratori, ma devo dire che a livello locale, qualche traccia si direbbe sia riemersa in numerose azioni che tanto in Provincia di Torino, quanto in altre Province vengono ora compiute a sostegno dell’efficienza energetica e delle energie rinnovabili, sia pure tenendo conto che “l’ambientalismo di facciata è la risposta pressoché universale della politica al problema dei cambiamenti climatici”.

A differenza di Hansen la mia attività di ricerca non è concentrata sulla modellistica del clima futuro, bensì sulla ricostruzione del clima passato, tramite la salvaguardia di antichi osservatori meteorologici, l’analisi di serie storiche e le campagne di misura sui ghiacciai alpini. Per contro ho sempre dedicato circa la metà dei miei sforzi professionali alla diffusione delle informazioni, fondando la rivista specializzata “Nimbus”, tenendo conferenze, firmando articoli su quotidiani, partecipando a programmi televisivi, e parlando spesso con i politici, pur senza assumere posizioni di partito. In sostanza, facendo quanto Hansen auspica: “il paleoclima, e specialmente i cicli delle ere glaciali, è qualcosa su cui dovreste comunque essere informati”.

Studiare e informare, stando lontani dalla politica, era ciò che pensavo nei primi Anni Novanta, proprio come Hansen: “quando la politica entra in una discussione, subito iniziano a reagire un sacco di forze. Io preferisco dedicarmi solo alla scienza. È più piacevole, specialmente quando si stanno ottenendo dei successi nelle proprie ricerche.” Ma un giorno, mentre percorrevo i piccoli ghiacciai del Carro, nel Parco Nazionale del Gran Paradiso, capii che la politica aveva qualcosa a che fare con il loro rapido disfacimento. Se la temperatura aumentava per cause umane, per via del modello economico ed energetico, allora era la politica il mezzo per intervenire.

Anche Hansen infatti è oggi convinto che “la scienza e la politica non possono essere separate”, ma io sento ancora molti colleghi che preferiscono vivere nella torre d’avorio della ricerca pura, credendo che intervenire in un dibattito politico equivalga a sporcarsi le mani. Ma allora a cosa servirebbe la scienza, almeno quella che ha a che fare con il benessere dell’umanità, che poi è quasi tutta?

“Non volevo che i miei nipoti, in futuro, potessero guardarsi indietro e dire: il nonno aveva capito cosa stava succedendo, ma non è riuscito a spiegarlo abbastanza chiaramente”, questo ha spinto Hansen a esporsi. In quegli anni, sebbene la consapevolezza sul problema climatico non mancasse, l’argomento rimaneva tuttavia una curiosità scientifica e non provocava reazioni né da parte della politica, né del pubblico.

Sui giornali iniziavano a comparire articoli sul riscaldamento globale, la copertina di Time con il titolo “The heat is on” è del 19 ottobre 1987, e anche in Italia, già nel 1991 su alcuni testi scolastici di fisica, come il noto “Dal pendolo al quark” di Ugo Amaldi, edito da Zanichelli, si cita il problema dell’effetto serra antropogenico invitando i giovani studenti a ridurre le emissioni di CO2 e a ricorrere alle energie rinnovabili.

Vent’anni dopo, e sulla scorta di un’immensa mole di ricerca scientifica, le conclusioni sono sempre le medesime, semmai le conferme climatiche sono divenute via via più evidenti, ultime le alluvioni in Pakistan e gli incendi in Russia dell’estate 2010 che ancora non figurano in queste pagine; ma sono forse i provvedimenti economici sul mercato dell’energia e delle emissioni emersi con il Protocollo di Kyoto che hanno suscitato e incoraggiato il cosiddetto negazionismo climatico, del quale Hansen è stato bersaglio.

Senza peli sulla lingua, egli afferma che “il nostro più grande problema è dovuto all’influenza degli interessi dei gruppi di potere, incarnati da orde di lobbisti che indossano scarpe costose ed eleganti”, e “il più grande ostacolo alla soluzione del problema del riscaldamento globale rimane comunque il ruolo del denaro nella politica”.

Per questo Jim sceglie di testimoniare (non di profetizzare) sui rischi che l’umanità corre per il proprio immediato futuro: “ero preoccupato: le generazioni future avrebbero potuto guardarsi indietro e chiedersi come avevamo fatto a essere così stupidi da non fare niente”.

A questo punto Jim incontra due problemi: la sua scarsa dimestichezza con gli incontri in pubblico (“anche se avevo cercato di migliorare la mia capacità di comunicare, mi sentivo ancora goffo e impacciato”) e il rischio di essere considerato un estremista (“un fattore che rafforza la reticenza potrebbe essere la preoccupazione di essere accusati di essere inutilmente allarmisti”).

Ma supera entrambe queste remore concludendo che “gli scienziati possono rendersi utili facendo di tutto per comunicare al pubblico la questione dei cambiamenti climatici in maniera credibile e comprensibile”. Ed ecco che oltre alle sue conferenze, alle interviste e alla militanza contro le centrali a carbone, nasce pure questo libro, che è insieme un manuale sul clima, un vademecum sulla nostra vita futura, un umanissimo sfogo e un’autobiografia un po’ amara.

Le soluzioni che Hansen traccia sono note da tempo, ma qui vengono poste in una prospettiva di maggiore urgenza: “la spina dorsale di una soluzione al problema del clima è una tassa uniforme sulle emissioni di carbonio”, in grado di far emergere senza bisogno di incentivi, le energie rinnovabili e le buone pratiche di efficienza energetica. Anche la massiccia reintroduzione dell’energia nucleare è particolarmente caldeggiata da Hansen, e forse su questo punto a mio parere è opportuno riflettere ancora un po’, in quanto le scorie nucleari costituirebbero un’eredità lasciata ai nostri nipoti tanto scomoda quanto quella del caos climatico.

Ma questa sua veemenza è in parte giustificata dal drammatico scenario che egli traccia con dovizia di dettagli: “queste domande riguardano il quando, non il se. Se bruciamo tutti i combustibili fossili, le calotte glaciali si fonderanno completamente, con un innalzamento finale del livello del mare di 75 metri, e gran parte di questo processo si svolgerà nell’arco di qualche secolo”.

Non è uno scherzo, e quanti fossero tentati di tacciare di allarmismo il Nostro, troveranno in queste pagine la dimostrazione pacata e serena di queste crude affermazioni: non è uno scenario da fantascienza nato nell’immaginazione di Hansen o dei suoi colleghi, bensì il quadro della paleoclimatologia che semplicemente evidenzia che tutto ciò è già successo sul nostro pianeta allorché sono state superate alcune soglie di equilibrio nel sistema geosfera-biosfera.

E la rapidità di liberazione di gas serra nell’atmosfera terrestre da parte delle attività umane è un fatto che non ha eguali nella storia nota, al punto che “se bruciamo anche le sabbie bituminose e l’olio di scisto, credo che la sindrome di Venere sarà una certezza matematica”. Il messaggio ottimista di un Hansen sessantanovenne all’anagrafe, ma ventenne nell’animo, è questo: “la resistenza civile potrebbe essere la nostra migliore speranza. È fondamentale che tutti partecipino, specialmente i giovani”.

Alla fine dell’estate del 2007 ricevetti un fax dal Senato della Repubblica Italiana che mi convocava a un’audizione presso la XIII Commissione Permanente Territorio, ambiente, beni ambientali. La commissione della XV Legislatura era presieduta da Tommaso Sodano e la seduta pomeridiana n. 114 si intitolava: “Audizione del Presidente della Società meteorologica italiana nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle problematiche relative ai cambiamenti climatici e alle misure di mitigazione e di adattamento da adottare anche con riferimento agli anni successivi al 2012”.

In piccolo, era un po’ come la task force di Washington. L’incontro era fissato per martedì 16 ottobre, il mio soggetto di esposizione era “I cambiamenti climatici: stato dell’arte”. In un tiepido e luminoso pomeriggio romano, arrivai non senza un po’ di trepidazione a Palazzo Madama, e fui cordialmente accolto tra le boiseries della saletta della Commissione Ambiente. Allestimmo una piccola zona proiezioni e qui presentai una trentina di immagini a un gruppetto di senatori, assai pochi devo dire, alcuni scettici, altri convinti, tutti comunque interessati e corretti.

Passata una mezz’ora tra curve termiche e ghiacciai in ritiro, conclusi così la mia relazione (*): “vi sono alcune possibilità tecnologiche utilizzabili già da ora. E’ vero, non sono sufficienti e ne dobbiamo sviluppare altre, non mi illudo sul fatto che oggi si possa fare tutto con l’energia solare; però, se si imbocca la strada giusta, forse possiamo imparare a farne uso prima di averne una effettiva necessità. Quello che vedete nella foto è il mio tetto; voglio predicare bene e anche razzolare bene: la mia casa e il mio ufficio funzionano interamente ad energia solare, la presentazione che avete visto è stata realizzata completamente ad energia solare. Oggi sono in colpa per avere preso l’aereo per venire qui a Roma, emettendo un po’ più di CO2 rispetto al treno, però riparo nel giro di due o tre giorni grazie ai pannelli solari che ricatturano la CO2 che ho emesso”.

Dopo aver risposto a alcune domande pertinenti, fui gentilmente congedato e rientrai a Torino in serata. Jim, dopo il suo intervento a Washington annota con un po’ di frustrazione: “la mia presentazione alla Task Force sul Clima era stata inutile.” In effetti anch’io durante il viaggio da Roma a Torino pensai, sospeso in volo sopra il Tirreno, che quel pomeriggio in Senato non fosse servito a nulla, ma almeno avrei potuto dire ai miei nipoti Marta, Francesco, Lia, Gaia, Nicolò e Jacopo che il loro zio aveva compiuto a fondo il suo dovere di cittadino e ricercatore consapevole e informato dei fatti.