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Ti à piaciato?

di Marco Iacona - 03/12/2010

Fonte: scandalizzareeundiritto

Un iconoclasta. Un cinico che ama menare sopra e sotto la cintola e a volte anche se stesso. Un libero e sincero anticonformista. Un uomo così pieno di fantasia da essere perfino eccessivo. Ecco: vi presentiamo Ettore Petrolini, sguardo furbo (da chi sa di esserlo…), sorriso da conquistatore, eleganza innata ma mai dimentica delle proprie origini popolari, e posa da eterno, ironico, commediante. Al teatro diceva anche le “zozzerie” ma come ogni genio istintivo sapeva divertire perfino col semplice «niente».

Petrolini era nato in quel di Roma nell’inverno del 1884, ed era nato già attore. Si rivelò durante una tournée teatrale in America del Sud, in seguito venne amato anche dai futuristi, coi quali nacquero anche alcune collaborazioni, e da Massimo Bontempelli che ne scrisse con entusiasmo. I suoi primi palcoscenici furono però la strada e il riformatorio. Venuto su ai margini di un ambiente culturale a dir poco eccezionale fra “tradizione”, dannunzianesimo, pirandellismo (o pirandellismi), crocianesino e varie altre “cose” (basterebbero solo queste “cose”, oggi, a far grande il nostro Paese), Petrolini riuscì a ritagliarsi uno spazio così importante tanto da essere considerato un maestro nell’arte della comicità, e dunque della storia del costume tout court. Soprattutto nel genere del grottesco e dell’arte dell’“imbecillità”, da sempre fra i generi di comicità più genuini, veri e complicati. Se va bene, passi semplicemente per un idiota e… basta, a volte. Petrolini fu un uomo fra i più dissacranti del proprio tempo; fu anche al centro di discussioni sull’arte dell’improvvisazione (del quale era maestro) e come tale, in anni di grandi cambiamenti nella “filosofia” e nello stile interpretativo, seppe dividere la critica. Fu talmente geniale, che è quasi impossibile, oggi, pensare a un genere “comico” (dal non-sense al cabaret, dalle esibizioni per il popolo alla parodia più raffinata, dalla canzonetta alla semplice fulminante presa in giro), senza chiamare in causa la sua arte. Fu un maestro della parola senza eguali, insomma.

Non guardava in faccia nessuno. Canzonava le celebrità di ogni tempo e luogo. Sapeva prendere in giro, e con eleganza, perfino quel regime fascista le cui avventure incrociò in età abbastanza adulta. È rimasta celebre, in tempi nei quali l’opera lirica e la tradizione a essa legata erano uno dei principali “beni artistici” del Paese la sua sonante presa in giro della Traviata: «Pura siccome un angelo / Iddio mi diè una figlia / che manteneva intrepida / tutta la sua famiglia», eccetera eccetera. La sua cifra stilistica era però essenzialmente di tipo “veristico”, nel senso che il termine poteva assumere per un macchiettista. Petrolini si considerava un «ladro» che portava sulla scena «tutto quello che nella vita» era in grado di osservare e rubare.

Il suo personaggio più noto è certamente Gastone il megalomane che dice di conoscere e saper fare tutto (in realtà parodia del “tipo” alla Gabriele D’Annunzio, molto in voga nella prima parte del secolo scorso), che come “figura” nasce più o meno dalle ceneri della Grande guerra, ed è facilmente riconoscibile anche ai giorni nostri, malgrado le parentesi neorealistiche, le crisi ricorrenti e la “democratizzazione” dei costumi. Il personaggio Gastone è così azzeccato e coinvolgente da avere anch’esso pochi rivali nella storia dello spettacolo parodistico del Novecento. E pensare che i giovani, oggi, non sanno neppure chi sia… Fra i tanti, Ennio Flaiano, si chiese quale poteva essere il “significato” autentico delle prese in giro petroliniane, ne venne fuori una delle migliori “critiche” che si potessero immaginare, forse un po’ “buonista”: «… la satira petroliniana era indulgente e comprensiva, romana e cattolica, perciò si riscattava».

Eclettico come ogni grande mente, oltre che comico di varietà e monologhista, Petrolini fu uno scrittore e un attore di prosa. Interpretò i propri testi nati da spunti macchiettistici (Chicchignola), e i testi appositamente scritti per lui e adattati alla sua figura da Ojetti e Gotta, e poi ancora interpretò Moliére e Pirandello dalle cui idee sarà in qualche modo ispirato. Infine, si dedicò anche al cinema e venne diretto da Alessandro Blasetti nella nota pellicola Nerone (1930). Autore? Interprete? L’uno e l’altro, secondo il critico Giovanni Antonucci: «La verità è che in lui l’autore e l’interprete si fusero in una sintesi irripetibile e che non ha altri equivalenti nel teatro italiano di questo secolo [il Novecento] se non in Eduardo De Filippo. Petrolini è un creatore tanto sul terreno dell’invenzione interpretativa che su quello dell’originalità drammaturgica. In questo senso non può essere accostato a nessuno dei comici della sua e delle generazioni successive…».

Ma Petrolini non “nasce” per far male, a far male semmai è la “stupidità” dei tipi “incontrati” volta a volta. Così, lui non fa altro che porre in rilievo la vacuità e la goffaggine di una società sottomessa al “tiranno” del luogo comune. «In realtà», conclude Antonucci, «dietro certe battute taglienti, dietro tanti personaggi colti nelle loro miserie, c’erano un singolare pudore e una sensibilità che giungevano fino alla pietà per l’uomo e per le sue debolezze». Non cattiveria gratuita, ma generosa (e tormentosa) presa in giro. Un girotondo di frasi e parole, a volte leggere, ma ancor più spesso imitate: «Sai perché si dice duello? Perché viene fatto con due persone. Perché se fosse fatto con tre si direbbe triello; con quattro quattriello ecc».
 
Petrolini è un “barzellettiere” raffinato; il suo è ovviamente un “come ridevamo” d’altri tempi (e d’antiche memorie), ma rispetto ai giorni nostri ha il “vantaggio” della maggior classe rispetto al comico-medio. Nei suoi testi, infatti, non c’è ombra di volgarità, eppure, come dire…, essi sono stuzzicanti, un piccolo passo indietro la linea del proibito. Titolo: “Oltraggio al pudore”. Un vecchio banchiere ha denunziato la propria cameriera, da lui colta in flagrante, mentre tentava di asportare da un cassetto un orologio con catena d’oro. Ma la cameriera ha sporto, contro il padrone, una querela per oltraggio al pudore, poiché – come risulta dalla stessa denunzia – mentre ella stava consumando il furto, il banchiere l’ha… scoperta.

Ghermita la fama anche se faticò soprattutto agli inizi della carriera, oramai noto, Petrolini morì ad appena cinquantadue anni, dopo aver raggiunto il meritato successo anche nelle principali capitali europee. A far compagnia alle raccolte dei motti di spirito, girano alcuni aneddoti probabilmente falsi, sul suo conto: Petrolini non rinunciò ai lazzi neppure in punta di morte: il massimo per un attore comico, dissacrare la triste compagna che lo stava portando via alla fine di giugno del 1936.

In quell’estate romana, a due mesi dal “nostro” agognato Impero, se ne andava così, per sempre, l’imperatore della risata… «I popoli più maneschi? Gli ottomani…». Ti à piaciato?