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Pasolini. Le ceneri dell’intellettuale contese tra destra e sinistra

di Valerio Magrelli - 07/12/2010





Un fantasma si aggira per l´Italia, o forse sarebbe più giusto dire per l´Europa: è quello di Pier Paolo Pasolini. Mentre la morte di molti scrittori suoi coetanei li ha rapidamente condannati alla scomparsa dalla scena pubblica, dal canone universitario, dalle pagine dei giornali, la sua figura è più viva che mai tra gli studiosi, tra gli studenti, tra i lettori. Filologo e sciamano, pedagogo socratico e martire nel senso letterale del termine (ovvero "testimone"), questo strano "friulano di Bologna" continua a rappresentare un punto di riferimento indispensabile per ogni forma di estremismo radicale. Esiste insomma una specie di brand Pasolini come è esistito ed esiste un brand Che Guevara. E tutto ciò, talvolta, con una forza che si fa ancora più sensibile fuori confine: lo dimostra fra tutti un saggio di Georges Didi-Huberman tradotto qualche mese fa con il titolo Come le lucciole. Una politica delle sopravvivenze (Bollati Boringhieri). Perché tanta nostalgia, perché un bisogno così impellente di confronto e richiamo?
In molti, e in molti modi, hanno provato di recente a spiegarlo. Innanzitutto attraverso la formula del gemellaggio. Colpiscono infatti un paio di convegni caratterizzati dall´accostamento fra il nostro autore e due fra i nomi più alti e controversi della letteratura novecentesca. Con il titolo Pier Paolo Pasolini ed Ezra Pound. L´utopia che nasce dal passato, il primo incontro si è tenuto il 4 dicembre presso Villa d´Este, a Tivoli. Tra letture in versi, proiezioni e dibattiti, è stata riproposta l´intervista-documentario di Vanni Ronsisvalle Pasolini-Pound. Un´ora con Ezra Pound. In quel memorabile colloquio del 1967, Pasolini si rivolse a Pound con una frase mutuata dallo stesso poeta americano e riferita in origine a Walt Whitman: «Stringo un patto con Te./ Ti detesto ormai da troppo tempo./ Vengo a Te come un fanciullo cresciuto che ha avuto un padre dalla testa dura./ Sono abbastanza grande ora per fare amicizia./ Fosti Tu ad intagliare il legno./ Ora è tempo di abbattere insieme la nuova foresta./ Abbiamo un solo stelo ed una sola radice./ Che i rapporti siano ristabiliti tra noi». La risposta del vecchio Pound fu: «Bene… Amici allora… Pax tibi… Pax mundi».
Condannato per collaborazionismo con il regime fascista, incarcerato, autoesiliatosi, l´autore dei Cantos esercitò una profonda attrazione sul poeta italiano, il quale aveva visto il proprio fratello, partigiano azionista, ucciso dai partigiani comunisti seguaci di Tito. Più singolare il secondo abbinamento, ossia le Giornate Camus/Pasolini: due scrittori impegnati del XX secolo, organizzato dal 15 al 18 novembre scorso dall´Institut Français de Naples, in collaborazione con l´Università Federico II, l´Università Orientale, L´Université Paris III e l´Université d´Amiens. Anche in questo caso, letture, proiezioni, conferenze hanno tentato di mettere a fuoco due grandi figure dell´impegno. Riconosciuti dalle istituzioni culturali e ammirati da un ampio pubblico, Camus e Pasolini furono ostracizzati dai loro pari e violentemente criticati dagli avversari. Inoltre, aspirando a una società egalitaria, ambedue si schierarono, sia pur diversamente, a difesa dei diseredati. Il Cinquantenario della morte di Camus da un lato, la riapertura dell´inchiesta sulla morte di Pasolini dall´altro, hanno fornito lo spunto per queste "vite parallele", dato che entrambi denunciarono le dittature fasciste e il totalitarismo comunista con un´intransigenza morale e un´autonomia di giudizio che costò loro la messa al bando da parte di una certa sinistra da cui pure provenivano. E proprio a una questione del genere si riferisce il primo di tre libri appena usciti, Una lunga incomprensione. Pasolini fra destra e sinistra, di Adalberto Baldoni e Gianni Borgna (Vallecchi). Qui la materia è ripercorsa sin nei minimi particolari, dall´iscrizione al PCI nel 1948 all´espulsione dell´anno successivo per i fatti di Ramuscello (gli incontri omosessuali di Pasolini con alcuni giovani friulani), su su fino alle famose polemiche sul terrorismo, il consumismo, l´aborto. Rispetto a questa lunga e articolata ricostruzione, colpisce la brevità di un volumetto apparso da Avagliano a firma di Furio Colombo e Gian Carlo Ferretti: L´ultima intervista di Pasolini. A un breve, intenso testo di Ferretti, fa seguito la trascrizione del colloquio fra lo scrittore e Colombo, che si svolse fra le quattro e le sei di pomeriggio di sabato 1° novembre 1975, ossia poche ore prima che avesse luogo l´atroce assassinio. Alla fine dell´incontro, l´intervistatore chiese all´intervistato se intendeva dare un titolo alla conversazione. Ed ecco la sua replica: «Metti questo titolo, se vuoi: Perché siamo tutti in pericolo».
Parole come queste accentuano il carattere sacrificale di una morte da cui l´Italia non riesce a staccarsi. Una morte che ne ricorda un´altra ugualmente inquietante. Lo afferma Marco Belpoliti nel suo Pasolini in salsa piccante, edito da Guanda: «Credo sia venuta l´ora di chiudere con quel decennio di cui Pasolini e Aldo Moro, forse non a caso, sono i due corpi simbolo; e dare loro una degna sepoltura, cosa che nessuna inchiesta giudiziaria riuscirà mai, credo, a fare». Nel film Uccellacci e uccellini, la voce del Corvo proclama una sentenza attribuita al filologo Giorgio Pasquali: «I maestri si mangiano in salsa piccante». Nasce da qui il progetto di Belpoliti, conscio che il pasto non sarà leggero e che la digestione risulterà difficile e lunga. In compenso, commenta, la salsa non verrà certo a mancare, visto che sarà quella offerta dallo stesso Pasolini. Non era lui, del resto, a ricordare la storia del marajà che, impietosito da una tigre affamata, le si dava in pasto?
Strana gastronomia, tanto più se si pensa a un saggio sulla sinistra di pochi mesi fa, che Alfredo Reichlin ha intitolato Il midollo del leone (Laterza), riprendendo la celebre immagine con cui Italo Calvino invitava a nutrirsi di una morale rigorosa. Dunque, Calvino e Pasolini, i due Dioscuri della letteratura italiana, seguivano scuole diverse: il primo preoccupandosi del condimento, l´altro della sostanza, da gustare rompendo il duro osso delle vertebre. Le ricette saranno anche contrapposte, ma a ben vedere il concetto non cambia, poiché l´insegnamento-midollo del maestro-leone rappresenta comunque quel lascito che noi, lettori e eredi, dobbiamo liturgicamente assimilare. Piuttosto, la differenza culinaria riguarda l´oltranza, l´esorbitanza dell´opera pasoliniana. Onnivora e bulimica (per restare nel mondo alimentare), la sua produzione continua a suscitare un fascino illimitato. Il poeta delle Ceneri di Gramsci, il regista di Accattone, il romanziere di Ragazzi di vita, il drammaturgo di Bestia da stile, il corsivista-corsaro del Corriere della Sera, rimane infatti come un esempio unico di artista rinascimentale, nella sua sconcertante poliedricità, e di intellettuale novecentesco, per la sua torturata riflessione. Lo spiega bene lo stesso Belpoliti, affidandosi a tre versi illuminanti: «Lo scandalo del contraddirmi, dell´essere / con te e contro di te; con te nel cuore, / in luce, contro di te nelle buie viscere».