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Uomini e topi

di Massimo Gramellini - 07/12/2010





Gli imprenditori non salgono sui tetti, ma quando ci vanno si buttano giù. Meglio ascoltarli finché fanno ancora gli equilibristi sul cornicione. Uno di loro ha scritto a questa rubrica per disperarsi un po’. Fra i tanti lavoratori falciati dalla crisi, gli imprenditori sono quelli che suscitano meno pena. Anche quando piangono miseria: si presume sempre che abbiano abbastanza riserve di grasso intorno alla cintola per non morire di fame. Poi qualcuno si suicida, qualcun altro sposta la baracca oltreconfine e tutto si esaurisce in un borbottio di compassione o di riprovazione. Il nostro lettore racconta un copione diffuso. Due Comuni devono alla sua azienda la somma di 370 mila euro per dei lavori eseguiti, mentre entro il 27 dicembre l’Erario pretende da lui il versamento dell’Iva anche su quei lavori. Come un’entità diabolica e cangiante, lo Stato assume la forma del debitore moroso e un attimo dopo quella dell’esattore incalzante. Entrambi fanno roteare la spada della Legge. Il debitore si fa forte delle pastoie giudiziarie per non pagare l’imprenditore. E l’esattore minaccia di mandarlo in galera se non paga.

La vittima ammette di trovarsi a un bivio. O chiede i soldi, che non ha, agli unici che li imprestano ancora (i banchieri? No, i mafiosi). Oppure trasferisce l’azienda all’estero «perché ogni buon topo abbandona per primo la nave che affonda». Vorrebbe che i politici trovassero il modo di trattenerlo per la coda. Ma non comprende più le loro parole, sommerse da un frastuono fatuo: sarà l'orchestrina di bordo che continua a suonare.