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L’eroe imperfetto

di Claudio Asciuti - 10/12/2010

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Ci eravamo appena dimenticati, fortunatamente, della stagione “critica” del collettivo Wu Ming, di cui non avevamo apprezzato New Italian Epic, ad opera di Wu Ming 1 e 2 , nonostante i salamelecchi di alcuni “illuminati” critici quotidianisti e democratici; e pure ci eravamo dimenticati di tutta la relativa polemica, compresa la penosa “caccia all’uomo” effettuata sulle pagine della rete, per cui appena qualcuno osava contraddire il collettivo subito veniva inserito nella “lista nera” dei cattivi; quand’ecco comparire, questa volta a nome di Wu Ming 4, un altro testo che vorrebbe esser “critico” e bissare l’incomprensibile successo del precedente: L’eroe imperfetto (Bompiani, pag. 164, euro 10,00) cavalcata attraverso la figura dell’eroe e delle sue relazioni letterarie. Pubblicato, è il caso di ricordarlo, nella collana Agone, diretta da Antonio Scurati, scrittore e docente universitario, nonché organizzatore con Pierangelo Buttafuoco di eventi letterari.
Come Scurati si sia fatto fascinare da suddetto libriccino è motivo di sconcerto, dal momento che lo si credeva uomo di buon gusto. E’ vero che il marchio Wu Ming, a qualunque numerazione, attiri e faccia, come si suol dire, tendenza, ma in questo caso sarebbe stato meglio affidare un tema di per sé stimolante a un addetto ai lavori. Il libro infatti tocca alcuni punti particolari nella cultura italiana; innanzitutto il discorso del mito, materiale di per sé esplosivo (e relegato, criticamente, nella sfera della destra più o meno evoliana, salvo alcune incursioni in aree strutturaliste o/e junghiane effettuate da una sinistra diffidente); la possibilità di riaprire il dibattito su di esso in chiave eroica, tema a noi particolarmente caro, sopratutto in una nazione che avrebbe bisogno eccome di eroi anziché di saltimbanchi; e infine lo spostamento di valore nel passaggio dall’eroe “maschile” a quello “femminile”, dalla singolarità alla collettività. Poteva sembrare una favorevole occasione per fare il punto sul mito e per ripensare in termini “eroici” (e anche “eretici”) le figure controsessuali, ma purtroppo, cambiando il numero dei Wu Ming non cambiano i risultati, le buoni occasioni si perdono. I testi sono al solito una giustapposizione di interventi su cui un vigoroso editing avrebbe giovato il tutto, compreso refusi e vari errori od omissioni, di cui però rimangono medesima prosopopea e medesimo snobismo. Il concetto di ordinamento critico è ancora una volta quello di una silloge di testi, qui raccontati trama per trama per i lettori ignoranti, e privi di note critiche per quelli colti, con qualche spruzzata di analisi che spesso esplicita l’ovvio. Il primo intervento, partendo da Lawrence d’Arabia, già protagonista di un romanzo del Wu Ming in questione, Stella del mattino (Einaudi, 2008), romanzo tutt’altro che male anche in relazione all’anemica letteratura italiana, quando resta nei dintorni dell’eroe inglese riesce ad essere interessante; poi quando mescola in modo casuale poemi quali l’Iliade, Beowulf e Gilgamesh, concludendo con il Moby Dick di Melville, nulla aggiunge a quel che già si sapeva. Il secondo partendo dall’incompiuto poema La battaglia di Maldon, riallaccia le variazioni sul tema di Borges e di Tolkien e suscita qualche interesse, sebbene ci si domandi cosa c’entri Jünger in tutto ciò. Il terzo, complice il mitologo Robert Graves, partendo dall’Iliade prosegue un lungo discorso che traversa il ciclo arturiano, Sir Gawin e il cavaliere verde, il romanzo La santa rossa di John Steinbeck per terminare con Il signore degli anelli di Tolkien ed è sicuramente il peggiore.  
I problemi in realtà, sarebbero tanti, ma ne indichiamo solo uno. Fermo restando che la weltanschaaung dell’autore è una sua interpretazione del mondo, su cui non ha neanche molto senso intervenire, sostenere che l’eroe debba diventare un eroe sociale può anche avere significato; però bisogna che qualcuno ci spieghi quale sia storicamente ora e quale avrebbe potuto essere allora; e la tardiva riscoperta di una femminilità eroica non ci pare una grande innovazione critica, sopratutto se sviluppata sulla tolkeniana figura di Eowin (che diede addirittura i natali alla critica femminile all’epoca della “nuova destra”), usando per di più un linguaggio da collettivo anni settanta. Resta il fatto che per analizzare il mito e nello specifico quello dell’eroe bisognerebbe intendersi innanzitutto tutto cosa si intende per mito, e poi per eroe. Da Nietzsche a Levi Strauss, da Otto a Dumezil, da Graves a Campbell, da Eliade a Evola, a Jung e Kereny, per finire con Jesi che addirittura scrisse un volumetto sulle interpretazioni del mito, ogni autore ha cercato di analizzarne le forme e di sviscerarne significato e senso. Non considerare tutto quanto è stato detto e scritto, somiglia un pochino a quelle tesi di laurea in cui la bibliografia non è indicata e l’oggetto di discussione non si sa bene cosa sia. Ancora una volta c’è da augurarsi che i Wu Ming si limitino a scrivere romanzi, lasciando la critica letteraria a chi è in grado di farla compiutamente.