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Lo schiaffo del somaro

di Massimo Gramellini - 17/12/2010

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Noi adulti acculturati disprezziamo la rozzezza ruspante dei cine-panettoni e così a Natale andremo a vedere «La bellezza del somaro» di Sergio Castellitto, il primo cine-panettone progressista, che infatti non si svolge su una spiaggiona esotica ma in un casale toscano. Come il protagonista del film, noi amiamo il dialogo e l’integrazione fin dai tempi di Spencer Tracy, quindi se nostra figlia ci portasse a cena un fidanzatino di colore saremmo ben felici di accoglierlo. E qualora dovessimo scoprire che il suo fidanzatino non è il ragazzo di colore, ma un signore molto-molto anziano, deglutiremmo settecento volte e poi faremmo finta di niente. Perché abbiamo una reputazione da difendere e anche se la vecchiaia ci fa paura, sappiamo esorcizzarla senza bisogno di escort, con una robusta dose di buone letture e ipocrisia.


Noi non siamo più padri e madri, mestieri reazionari, ma fratelli e sorelle maggiori. Proprio come i genitori del film, che chiamano la figlia «cucciola» e le danno sempre ragione, facendola crescere in un ambiente nevrotico che ha abolito i riferimenti, le ringhiere. Siamo bambini invecchiati che hanno perso energia e passione. Siamo visceri e testa, ma poco cuore. Giustamente detestiamo la violenza, quella sui figli in particolare. Eppure, quando dopo un’ora e mezzo di progressismo il nostro avatar Castellitto, in un rigurgito di energia e passione, tira finalmente uno schiaffone a sua figlia... beh, è come quando Fantozzi stronca la Corazzata Potemkin: saltiamo in piedi ad applaudire e ci sentiamo molto meglio: noi, lui, ma soprattutto sua figlia.