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Scusi, lei crede nel Diavolo?

di Francesco Lamendola - 21/12/2010


«Scusi, lei crede nel Diavolo?»

Questa è la domanda che bisognerebbe rivolgere ai sedicenti intellettuali, per testare il loro quoziente di onestà, appunto, intellettuale.

Bisognerebbe farla specialmente a quella pletora di psichiatri, psicanalisti e simili, che prosperano sulla disperazione dei propri simili, estorcendo loro somme favolose per “curarli” sulla base di oscuri rituali di magia nera e facendoci sopra altri soldi, col mettere in piazza i loro drammi intimi sulle pagine dei libri a grande tiratura. Operazione a dir poco di scarso buon gusto, ancorché spacciata per una forma sollecitudine sociale, al di sotto della quale ci sono solo le interviste e i libri a sensazione dei maggiordomi di qualche personaggio potente, che spifferano per interesse venale i segreti più intimi dei loro ex padroni. Poi, come se ciò non bastasse, costoro si accaparrano anche delle cattedre universitarie ritagliate su misura, dall’alto delle quali allevare un’altra generazione di pseudoscienziati della mente.

Del resto, a che pro insistere su questo aspetto? Istruiti nell’arte della psicopolizia dal loro gran sacerdote, Sigmund Freud, essi replicherebbero immancabilmente che chi parla così di loro, è afflitto da un complesso di invidia per il loro successo e i loro soldi, e che proprio il fatto di criticarli denota l’esistenza di una frustrazione e di un rancore patologici.

Con questa tecnica, essi si sono resti assolutamente inattaccabili e impermeabili a qualsivoglia critica; e, benché filosofi come Karl Popper avessero già mostrato l’antiscientificità e l’assoluta autoreferenzialità di questa tecnica, resta il fatto che essa offre a chi la pratica la migliore delle protezioni: ogni freccia diretta contro di lui torna indietro e colpisce chi l’aveva scagliata; ogni critica si ritorce contro chi ha osato pronunciarla.

A quei signori non viene neppure in mente che non tutti possono essere attaccati al successo e al denaro, come lo sono loro; che li si voglia criticare, non perché invidiosi della loro posizione, ma perché convinti degli effetti deleteri del loro parassitismo sociale. Una persona che, dietro belle parole di falsa saggezza, persegue la fama e la ricchezza, non è neanche sfiorata dal pensiero che non tutti farebbero qualsiasi cosa per raggiungere gli stessi obiettivi e che l’invidia possa non essere l’unico movente di chi denuncia la loro arroganza.

Materialisti e utilitaristi, giudicano tutto e tutti secondo il loro metro: per essi, il desiderio di giustizia e la ricerca dell’onestà intellettuale sono frottole, vuote parole dietro cui si nascondono inconfessabili sogni di potere (anche il filosofo Robert Nozick, sia detto per inciso, sostiene una tesi del genere). In un ceto senso, è inevitabile che la pensino così: abituati a confrontarsi con le patologie dell’anima, si sono costruiti una filosofia su misura con quella immagine dell’uomo, orribilmente deformata, che emerge dalla galleria dei loro pazienti. È quello che ha fatto anche Freud, improvvisandosi filosofo: ma la sua filosofia altro non è che la generalizzazione arbitraria della psicopatologia.

Questa premessa era necessaria per poter tornare alla nostra domanda iniziale: «Scusi, lei crede nel Diavolo?», che abbiamo definito come lo strumento ideale per verificare direttamente il livello di onestà intellettuale delle persone.

Non perché esistano una risposta “giusta” ed una “sbagliata” a proposito dell’esistenza, o della non esistenza, del Signore del Male; ma perché dal MODO di porsi davanti a un tale interrogativo, emerge - con infallibile chiarezza - se le persone a cui è stata posta possiedono, oppure no, un sufficiente grado di onestà intellettuale.

L’intellettuale, o presunto tale, politicamente corretto e allineato nei ranghi del Pensiero Unico - scientista, materialista, meccanicista, riduzionista - non avrà un attimo di esitazione e, come un riflesso condizionato, un sorriso ghignante, di sufficienza o di disprezzo, comparirà sulle sue labbra, subito accompagnato da una recisa, categorica, irridente negazione.

Viceversa, la persona culturalmente rozza e ignorante - ma che, almeno, ha il merito di non ritenersi un intellettuale - assumerà un’aria terrorizzata, e subito, senza bisogno di alcuna riflessione, dirà che sì, il Diavolo certamente esiste e molte persone hanno avuto la sventura di incontralo, magari nella maniera più spettacolare.

Dicevamo che quella domanda costituisce un ottimo test per misurare l’altrui onestà intellettuale - per carità, non certo il solo -, perché solo la persona intellettualmente onesta, al di là delle proprie convinzioni in materia, assumerà un’aria pensosa, proporzionata alla serietà dell’argomento, invece di precipitarsi a rispondere, visceralmente, di sì o di no; soppeserà i fatti inquietanti che si riferiscono a tale problematica, posto che li conosca; e, se non li conosce, dirà francamente di non poter esprimere una fondata convinzione in merito, perché non sufficientemente informata, ma solo una opinione di carattere generale.

Una persona intellettualmente disonesta, invece, si lascerà guidare dai propri pregiudizi, tanto più radicati e boriosi, qualora essi trovino sostegno nel coro quasi unanime della cultura dominante e anzi, guarda caso, essi coincidano con quanto tale cultura considera verità indiscutibile; pur senza prendersi minimamente la briga di esaminare i fatti, né di abbozzare nemmeno l’ombra di un ragionamento filosofico.

Una persona di tal fatta, quindi, non si abbasserà a valutare il pro ed il contro; non vorrà nemmeno guardare, per così dire, in nome di Aristotele, ciò che si vede mediante il cannocchiale di Galilei, pur dichiarandosi idealmente seguace di colui che è considerato il padre della scienza moderna; piuttosto che dare torto ai propri pregiudizi, preferirà ignorare i fatti o dichiarare, senza alcuna verifica, che non vi è alcun fatto da esaminare, anzi, che non vi è alcuna seria ipotesi da prendere minimamente in considerazione.

Preferirà sorridere con aria di infinita superiorità, come chi sia nella luce della Ragione e possa permettersi di guardare con sommo distacco, e magari con un pizzico di compassione, quanti si attardano a brancolare nelle tenebre dell’ignoranza e della superstizione.

Queste riflessioni ci sorgevano spontaneamente, rileggendo il libro di Willy Pasini - psichiatra, psicologo, docente universitario e scrittore -, «Volersi bene, volersi male» (Milano, Mondadori, 1993), e particolarmente le pagine (da 73 a 81) dedicate al diavolo, ovviamente con la “d” minuscola, perché - ovviamente - considerato solo e unicamente come proiezione dei disturbi psichici e affettivi del paziente.

Se l’Autore avesse premesso, onestamente, che la questione dell’esistenza del Diavolo esula dagli scopi del suo libro e che, pertanto, la lascia impregiudicata, limitandosi a considerare la credenza in esso sotto il profilo medico e psichiatrico, allora sì che avrebbe dato prova di onestà intellettuale e non gli si potrebbe fare alcun appunto.

Invece no: tale premessa non era evidentemente necessaria, anche perché, si sa, soltanto le vecchiette e qualche prete all’antica ci credono ancora; perfino molti vescovi non ci credono più e hanno eliminato, nelle loro diocesi, la figura dell’esorcista; e dunque, perché mai sprecare parole sull’argomento?

 

«Non c’è personaggio più simbolico del diavolo. C’è chi ha contato quante funzioni Dante gli ha assegnato nel suo “Inferno”: oltre settemila. La storia affida al diavolo il ruolo del malvagio: è lui l’espressione del Male. Nella cultura cristiana il diavolo incarna il peccato di eresia. […] L’idea che il diavolo sia solo espressione del male non resiste all’analisi di studiosi come Jeffrey Russell, che nel suo saggio “Il principe delle tenebre” scrive: “Gli aspetti malvagi sono spesso associati agli inferi ma gli inferi sono spazi ambivalenti. Sono buoni, perché sottoterra nascono le messi e dal sottosuolo si estraggono ricchi metalli. Ma sono anche cattivi, perché sottoterra si seppelliscono i morti” […].

La rappresentazioni del diavolo ci confermano la sua ambivalenza. è dotato di caratteristiche tipicamente animali: ha corna, piedi di fauno e coda. Ma le corna simboleggiano anche il potere fallico e procreativo, rimandandoci nel contempo ai raggi solari che partono dalla fronte di Mosè e alla simbologia positiva della luna crescente. […]

Tra i filosofi e i teologi, il dibattito è ancora aperto. Da una parte si schierano quelli che credono alla trasformazione degli angeli orgogliosi in esseri malefici che sono precipitati nell’Inferno per punire i peccatori. A questa concezione monistica si oppone il dualismo del profeta iraniano Zarathustra, per cui il male non è una emanazione del Dio buono ma un principio totalmente separato, autonomo. […]

Anche la teologia cattolica è, peraltro, divisa sul diavolo. Già nel 533 il concilio di Costantinopoli condannava Origene e la sua ipotesi che anche per Stana esista la possibilità di un riscatto, essendo anch’egli una creatura di Dio. Per la Chiesa da allora Stana rappresenta il male, ed è destinato a rimanere tale. Ciò nonostante, anche di recente l’ipotesi d’un perdono per il diavolo è stata ripresa da dom Franzoni in un saggio significativamente intitolato “Il diavolo mio fratello”. La positività del diavolo è stata sostenuta anche da Papini. Per questo essere infernale, lo scrittore prova una sorta di amore patetico: riesce a vederlo non solo come un demonio tentatore ma anche come un figliol prodigo prigioniero della sua nostalgia per il Paradiso perduto. […]

Essendo abilissimo nel palesarsi in qualsiasi forma e circostanza come tentatore, il diavolo si può incontrare spesso nell’ambito delle elaborazioni isteriche: sia a livello individuale che nel fenomeno collettivo delle streghe. Ed è presente anche nelle psicopatologie più importanti che si fanno risalire alla psicosi.

Il caso di Maria viene segnalato dalla divisione ostetrica dell’ospedale di Losanna, dove questa trentacinquenne è stata ricoverata per una difficile gravidanza gemellare. “È come se nuotasse in piscina”: così la donna racconta la condizione in cui si trova uno dei bambini, immerso in un liquido amniotico sovrabbondante e riverso con tutto il suo peso sul fratello che rischia così di soffocare. La situazione del suo grembo attiva in Maria una sorta di nevrosi ossessiva. Inquietudini e ossessioni l’hanno sempre accompagnata: compulsivamente bigotta, questa donna ha passato buona parte della sua vita tenendo maniacalmente  pulito il piccolo appartamento che abita insieme al marito. Contraria per motivi etico-religiosi all’uso dei contraccettivi e spensieratamente fedele al metodo Ogino-Knuas, Maia ha avuto sete gravidanze, la maggior parte non volute, che hanno reso precaria la situazione della coppia.

Maria raggiunge l’orgasmo solo fantasticando su personaggi diabolici che il suo confessore conosce ormai alla perfezione. Tra loro c’è anche il diavolo, a cui la donna crede pur senza averlo mai visto. Sostiene però di sentirlo: giura che ogni tanto entra nella sua stanza e si chiede se non sia lui a essere entrato nel suo grembo e ad aver messo nei guai i suoi gemelli. Pensa che il diavolo sia sempre lì a vagare nella sua stanza: una volta lo ha sentito alle sue spalle, che le mandava baci. La preghiera e l’intervento di un angelo l’hanno salvata. In un’altra circostanza il diavolo le avrebbe detto: Perché non vuoi seguirmi: perché non vuoi venire con me all’Inferno?”. Maria è ancora in cura. Il suo caso conferma  che con il suo fascino il diavolo tende a impossessarsi del corpo più che della mente. Non per niente l’esorcista interviene dicendo: “Esci da questo corpo!”.

Il demonio sembra attivare l’erotismo di questa paziente: analogamente ad esso, è tentatore ed emerge dal buio. Ho sentito parlare del caso di una suora che ha tirato in ballo il diavolo quando ha trovato l’impronta bruciata di tre dita su di un tavolo: solo dopo si è scoperto che il sacrestano fumava di nascosto. I racconti degli indemoniati dell’abbazia di Sarsina, in provincia di Cesena, confermano che il diavolo ha non solo il potere di attrarre gli individui ma anche quello di invadere gli spazi altrui. Ricordo personalmente il caso di una donna che nel corso di una terapia corporea affermò di sentire una voce fredda e tremenda che le chiedeva di entrare, per poi penetrare nella sua testa e infine nel suo bacino. […]

I vantaggi che la presenza del diavolo ci offre dal punto di vista psicologico sono indubbi: grazie a lui possiamo credere che la colpa delle cose che vanno male non è dell’uomo ma del maligno. […]

Nella sua versione più tradizionale, il diavolo viene invocato nelle messe nere in quanto personaggio sensuale. […]

Tutto questo per dire che anche il diavolo non può essere relegato nel suo ruolo di cattivo tout-court: anche lui ha diritto alla sua brava dose di ambiguità. Urbain Grandier venne spedito sul rogo dal cardinale Richelieu solo perché  era il confessore di alcune suore orsoline che lo avevano sognato in versione sensuale. Il diavolo era allora funzionale alle più svariate forme di repressione. I persecutori delle streghe si dimostrano certamente  più violenti delle loro vittime, che è verosimile sostenere fossero delle povere isteriche piuttosto che delle possedute dal demonio. Quando si catena la follia erotica collettiva è difficile contrastarla. E la caccia alle streghe in fondo continua anche oggi, quando si dà la caccia al diverso sia esso un extracomunitario, un ebreo o una donna. In questa atmosfera di repressione il diavolo porta, tutto sommato, una ventata di libertà. In fondo, tutti no vorremmo, come si dice, “saperne una più di lui”.»

 

Questo brano di prosa è un buon esempio di ciò che abbiamo definito la disonestà intellettuale di certi intellettuali, specialmente psichiatri e psicanalisti: ed ora proveremo a mostrare, punto per punto, le ragioni di questa affermazione.

Primo: la premessa storica è del tutto fuor di luogo: non aggiunge assolutamente nulla all’argomento che si vuole trattare, dato che questo non riguarda il Diavolo in se stesso, ma le persone che ritengono, a torto, di esserne tormentate sul piano psichico. In compenso, dà al lettore poco avveduto l’impressione che chi parla sia anche un esperto di storia della demonologia, cosa che, indirettamente, rafforza il giudizio di fondo dell’Autore, che, sia pure non espresso, traspare ad ogni rigo: il Diavolo non esiste, è solo una malattia mentale degli uomini.

Oltre che fuor di luogo, la premessa storica è anche piena di asserzioni a dir poco discutibili: su che cosa mai si fonda, ad esempio,  la disinvolta affermazione che «nella cultura cristiana il diavolo incarna il peccato di eresia»?

Secondo: l’unico caso psichiatrico descritto con una certa ampiezza è quello di “Maria”, segnalata dalla divisine ostetrica dell’ospedale di Losanna (segnalata a chi: all’Autore, docente di psichiatria presso l’Università di Ginevra?). La paziente viene descritta come una «bigotta compulsiva» e la sua credenza nel Diavolo, «che pure non ha mai visto», è presentata come un elemento che deve far capire al lettore quanto sia ignorante, superstiziosa e disturbata questa povera donna. Naturalmente si tratta di una pseudopossessione diabolica a base sessuale, dato che ella raggiunge l’orgasmo solo fantasticando di entità diaboliche; e la sua fedeltà al metodo anticoncezionale Ogino-Knaus è lasciata cadere lì, come un ulteriore elemento di discredito nei confronti della sua cultura e della sua lucidità. Oh, ma l’Autore è molto abile: queste cose non le dice apertamente; le lascia solo intuire, senza mai compromettersi con giudizi diretti.

Terzo: il caso della suora che chiama in causa il diavolo quando, poi, si scopre che le presunte impronte diaboliche sono le bruciature lasciate sul tavolo dal sacrestano che fuma di nascosto, è veramente indegno di uno studio serio. Il suo unico fine è ridicolizzare le persone, e specialmente le religiose, che credono ancora nel Diavolo; e la totale mancanza di riscontri documentali («ho sentito parlare del caso ecc.») non si addice a un libro che vorrebbe accreditarsi come quello di uno scienziato della psiche, ma, semmai, a un brutto romanzo d’appendice, nel clima lugubremente e rozzamente anticlericale della Massoneria del XVIII e XIX secolo.

Quarto: il caso della donna che diceva di sentire la voce del Diavolo che le chiedeva di entrare in lei è presentato, se possibile, con ancora maggior indeterminatezza e grossolanità: non si fornisce alcun particolare utile dal punto di vista scientifico, ma solo un «ricordo personalmente» che richiama quel bravo cittadino milanese del 1630, descritto da Manzoni ne «I Promessi Sposi», il quale, dopo aver scambiato Renzo per un untore e averlo scacciato in malo modo, raccontò per tutto il resto della sua lunga vita che certe cose, come gli untori, bisogna averle viste personalmente, prima di parlarne. Che cosa ha visto, infatti, o meglio, che cosa ha sentito, Pasini, del dramma di quella donna? Che ella diceva di udire la voce del Diavolo. Certo, può esseri trattato benissimo di un caso di isteria. Ma ciò autorizza a negare che il Diavolo possa realmente presentarsi alle sue vittime con quella modalità, ossia chiedendo loro di farlo entrare, e parlando con una voce interiore che esse sole possono udire? Anche qui, l’Autore non scopre il suo gioco: non  nega nulla; solo, tace del tutto su questa eventualità e, trattando solo casi di falsa possessione e di reale malattia psichica, lascia al lettore di tirare la conclusione - “liberamente”, si capisce! - che non c’è alcun Diavolo, ma solo povera gente così ammalata da crederci.

Quinto: la conclusione del brano, che mette insieme il caso dei diavoli di Loudun, in cui perdette la vita il sacerdote Urbain Grandier, con la odierna “caccia” all’extracomunitario, all’ebreo e alla donna (?), per suggerire che la credenza nel Diavolo è sempre stata il pretesto per perseguitare degli innocenti (anche se non si capisce cosa c’entri la figura del “diverso” con il Diavolo), è un capolavoro di ciò che si suole definire “politicamente corretto”. Ne vien fuori l’equazione: colui che non crede al Diavolo è progressista, intelligente, tollerante; colui che vi crede è, se non proprio pazzo, quanto meno animato da inconfessabili ragioni di odio e di rancore contro l’umanità, oltre che sprofondato nella più nera superstizione.

E bravo Pasini: anche così si fa cultura al servizio del Pensiero Unico, di questi tempi.

Se almeno si fosse preso la briga di andarsi a leggere anche solo un libro serio sull’argomento, ad esempio «Il Diavolo», di Corrado Balducci, forse avrebbe evitato di cadere nei più triti luoghi comuni del pensiero laico e secolarizzato, a proposito di questo argomento.

O forse no, perché l’onestà intellettuale non dipende dalle letture che si fanno o non si fanno, ma dall’atteggiamento imparziale, scrupoloso e alieno dai pregiudizi e dalle tesi precostituite, per quanto esse siano alla moda e rispondano, in tutto e per tutto, al pensiero dominante nella società, in un dato momento della sua evoluzione.

Troppo comodo voler essere sempre dalla parte del “politicamente corretto”.

Ad esempio: il fatto che i processi alle streghe del passato abbiano perseguitato e mandato a morte numerose persone innocenti, autorizza, di per sé, a negare che il Diavolo esista, o, quanto meno, che sia esistito un culto organizzato del Diavolo, quando sappiamo che tale culto esiste ancor oggi, e conta diversi molini di seguaci in tutto il mondo?

Rispondere in maniera affermativa a questa domanda, sarebbe come dire che l’esistenza di innumerevoli errori giudiziari implica l’inesistenza del crimine e dei criminali.

Ma che cosa non si farebbe e non si direbbe, pur di apparire moderni, progrediti, al passo con i tempi nuovi della scienza e della tecnica; tempi magnifici, in cui le tenebre dell’ignoranza e della superstizione sono finalmente dissipiate dai lumi della Ragione!...