Guarda le stelle, ti dirò chi sei
di Franco Piperno - 24/12/2010
Osservando gli astri per ritrovare se stessi, per orientarsi e non sentirsi smarriti. Alcuni brani dal testo «Lo spettacolo cosmico», lezioni su come scrivere il cielo all’origine della contemplazione della volta celeste
Quando attribuiamo una forma alle nuvole o ai crinali di lontane montagne o anche alle macchie di colore di un quadro di Klee, noi apprendiamo assegnando delle forme alle cose e i nomi, quelli veri, sono le parole che evocano queste forme. (...)
L’ordine introdotto nel cielo, attraverso l’arbitrio intersoggettivo di raggruppare le stelle in costellazioni, costituisce un paradigma o meglio un invariante antropologico della potenza cognitiva. Usiamo la similitudine per dare un nome a gruppi di stelle; e così dal caos indistinto emergono le costellazioni; ma la similitudine ha un esito che non è una descrizione fedele dell’oggetto ma solo una sua rappresentazione verosimile per costruire la quale l’arbitrio e la convenzione intersoggettiva sono dei residui irriducibili. A ben vedere, questo non accade solo nella osservazione e nello studio del cielo; in molti ambiti conoscitivi noi pensiamo per similitudini. (...)
In realtà quel che facciamo attribuendo a gruppi di stelle le figure delle costellazioni è scrivere sul cielo, cioè usare la lingua come parola scritta.
La lingua è il veicolo della comunicazione. Gli avvenimenti significativi, quelli che emozionano, sono riportati da bocca in bocca. Una volta, in altri tempi, i viaggiatori erano importanti perché, attraverso i resoconti, tessevano nuovi legami tra i popoli. (...)
Attribuendo dei nomi-figure a gruppi di stelle, noi informiamo il cosmo, nel senso di dargli una forma. Del resto, il significato originario del termine latino «informare» è quello di «modellare», «dar forma», «dare l’immagine»; mentre il significato metaforico corrisponde a «modellare nella mente», «darsi una rappresentazione mentale»; ciò equivale ad affermare che la parola «informazione» può essere capita solo all’interno della coppia terminologica «forma e materia».
Le costellazioni sono raggruppamenti arbitrari di stelle ai quali viene assegnata per similitudine una forma, una struttura, un’immagine. Questa immagine può riferirsi alla forma di qualsiasi oggetto o evento percepibile dai sensi e capace di assumere una configurazione riconoscibile dal locutore. Dare i nomi alle costellazioni vuol dire assegnare loro delle forme. Le forme possono essere percepite, capite e anche pensate. Ma esse non sono meri atti di pensiero; piuttosto ciò che è conosciuto mediante l’atto di pensiero, è ciò che il pensiero pensa, ciò che è comunemente pensabile, nel senso che due diverse persone possono avere in comune lo stesso pensiero. Le costellazioni fanno lievitare il cielo, rendendolo il racconto dei gesti degli antichi Dei, degli atti di culti dispersi, della ferina bellezza degli animali. Già in età arcaica, il giovane greco colto che guarda il cielo notturno, lo legge come fosse un fumetto che narra luoghi fondativi della sua vita quotidiana. Le costellazioni sono geroglifici della lingua astronomica; sono la sovrapposizione di forme linguistiche a forme che linguistiche non sono. Va da sé che è proprio della natura del pensiero linguistico – articolato dalla lingua – di cercare quegli aspetti, nelle enormi varietà naturali, che presentano similitudini con i nomi: noi inseguiamo le forme nella natura e, naturalmente, riusciamo ad afferrarle.(...)
Così, riempire d’immagini il cielo, cioè appunto contemplarlo, ci aiuta a essere noi stessi; ovvero possedere una propria identità quel tanto che basta per divenire altro. Va da sé che possiamo osservare il declinare del Sole o il cangiare delle fasi lunari o il ruotare, divino e indifferente, delle stelle sulla volta celeste – possiamo guardare questi fenomeni senza conoscerli e provare piacere sensuale nel farlo.
DIVINA VOLUPTAS
Ma una dimestichezza anche distratta con il cielo, ad esempio riconoscere le costellazioni più grandi, le stelle più brillanti, i pianeti, moltiplica la potenza della gratificazione fino a farla trapassare in divina voluptas, piacere intriso di sacralità.
Così, è assai intrigante riguardare le stelle, angeli annunciatori delle stagioni, scandire il miglior tempo della nostra vita col loro sorgere e tramontare, impassibile e puntuale; o anche seguire le loro traiettorie giorno dopo giorno, per un mese o forse più – e verificarne personalmente la rara regolarità, talmente rara da essere ancor oggi più affidabile di qualsiasi altro fenomeno ripetitivo di cui abbiamo esperienza sulla Terra. Inoltre, se si conosce il cielo non ci si perde facilmente. Le stelle ci indicano tanto il tempo quanto la direzione per terra, mare e cielo – e questo può tornare utile in qualche circostanza, quando abbiamo bisogno di capire il dove e il quando della nostra posizione sul pianeta, cioè quando abbiamo bisogno d’orientarci perché ci siamo smarriti.
Infine, in questa era spaziale, se a uno dei nostri quattro lettori capiterà d’avventurarsi nel sistema solare, laddove non v’è più alcun riferimento terrestre, le stelle saranno le uniche frecce indicatrici, l’ultime tracce di dimestichezza con il cosmo acquisita sulla Terra.