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«Stipendi scandalosi». Superburocrati sotto accusa

di Sergio Rizzo - 25/05/2006

 
«Scandalose». È l’aggettivo che il viceministro Vincenzo Visco ha usato ieri per definire le retribuzioni di alcuni dirigenti e capi di gabinetto che, ha detto, «andrebbero riportate alla normalità». Uno scontato richiamo alla moralità da parte del nuovo arrivato, il quale ha peraltro stigmatizzato anche «le iniziative stravaganti che si vedono negli uffici del ministero, e poi i convegni, i viaggi...»? Certo è che il problema era stato già sollevato, in epoca non sospetta, da Luigi Mazzella, che aveva rivelato: «Ci sono dirigenti pubblici che guadagnano mezzo milione di euro l’anno». Calcolò, l’ex ministro della Funzione pubblica del governo Berlusconi, che un capo dipartimento di provenienza ministeriale guadagnava 261 mila euro l’anno, mentre il suo collega ingaggiato dall’esterno con contratto privatistico poteva arrivare, nel 2002, a 490 mila. Era l’anno in cui Vittorio Grilli venne nominato Ragioniere generale dello Stato. A distanza di tre anni, il suo predecessore Andrea Monorchio ha raccontato: «Quando sono andato via, al mio giovane successore hanno dato tre volte quello che davano a me, che guadagnavo 400 milioni di lire». Cioè circa 600 mila euro. Cifra del tutto analoga a quella che spettava al direttore generale del ministero Domenico Siniscalco. Anche se non è questo che scandalizza Visco: «Il direttore generale posso pagarlo molto perché ha una professionalità molto richiesta sul mercato. Ma non vedo perché si dovrebbero pagare tutti nello stesso modo».

A chi si riferisce il viceministro? Non è difficile immaginare che nel mirino ci siano alcuni direttori delle agenzie fiscali, in primo luogo il capo delle Entrate che Giulio Tremonti aveva messo al posto di Massimo Romano, nominato cinque anni prima da Visco (e di cui si ipotizza ora il ritorno). Raffaele Ferrara era stato assunto dall’esterno, anche se non da un’azienda privata: ex ufficiale della Guardia di finanza, era direttore del servizio legale delle Ferrovie dello Stato. La sua retribuzione di partenza non era modesta e ora sarebbe di quell’ordine di grandezza di cui parlava Mazzella. All’epoca della sua assunzione, gli stipendi dei superburocrati che si aggiravano intorno al mezzo milione erano una decina. Oggi, qualcuno di più.

E se Visco ha accennato a «capi di gabinetto», pure in questo caso non è complicato individuare il bersaglio. Chi se non Vincenzo Fortunato, per cinque anni il vero capo del ministero dell’Economia? Passato ora alle Infrastrutture con Antonio Di Pietro, Fortunato somma alla retribuzione ministeriale anche quella di rettore della Scuola superiore dell’economia e delle finanze. I cui stipendi, nel 2004, ha sottolineato la Corte dei Conti, sono stati aumentati dell’80%.

Ma non è finita qui. Perché Visco è pure convinto che sia necessario un giro di vite anche nelle aziende statali, una volta parte integrante dell’amministrazione. Alle Poste l’amministratore delegato Massimo Sarmi, già Telecom e poi Siemens, percepisce due stipendi (uno da amministratore e uno da direttore generale), per un ordine di grandezza non lontano dal milione di euro. Per il suo collega delle Ferrovie, Elio Catania (ex Ibm) si favoleggia di 2,5 milioni l’anno. Mentre il suo predecessore, nominato dal centrosinistra, Giancarlo Cimoli, ora all’Alitalia (dove lo scorso anno ha guadagnato 2,7 milioni), ha lasciato le Ferrovie con una buonuscita da 6,7 milioni.