'Tempi Tecnici': ritiro o imbroglio?
di iraqiresistance.info - 25/05/2006
Fonte: iraqiresistance.info
Come in un disco rotto d’altri tempi sentiamo ogni giorno il ripetersi di questa formuletta: il ritiro avverrà nei tempi tecnici necessari. “Tempi Tecnici”, cosa vorrà dire? Una persona che annuncia di voler andare da Roma a Milano sa che per effettuare questo trasferimento sono necessari dei tempi tecnici, ma – consultati gli orari di treni ed aerei – potrà calcolarli nell’arco di pochi minuti. Se quella stessa persona intendesse però cambiare casa, il trasloco richiederebbe altre operazioni ed altri mezzi; in ogni caso saprebbe calcolare i famosi “tempi tecnici” al massimo in alcuni giorni. Fin qui una semplice persona, costretta ad utilizzare mezzi pubblici o quelli presenti sul mercato. Ora abbiamo invece il caso di uno Stato, la settima potenza industriale del pianeta, il cui governo – insediatosi nei giorni scorsi - ci annuncia due cose: 1) che ha scoperto l’acqua calda, cioè che il ritiro dall’Iraq ha dei “tempi tecnici”, 2) che esaurite le capacità tecnico-scientifiche nella scoperta di cui sopra non sa dire a quanto (giorni, settimane, mesi?) ammontano. Ci sarebbe veramente da ridere, ma è evidente che dietro a questo farsesco trincerarsi dietro ad imprecisabili “tempi tecnici” è in corso la preparazione dell’ennesimo imbroglio. Un altro imbroglio bipartisan. Non lo diciamo noi, lo ha detto a chiare lettere in parlamento il nuovo capo del governo, Romano Prodi. Alla destra che lo contestava sull’Iraq, ha così risposto: "Vorrei capire la differenza fra ciò che dico e quello che diceva il precedente Governo con il ritiro entro la fine del 2006". Continuità assoluta dunque, come ha ribadito nella sua ultima visita a Nassyria il ministro della difesa uscente, Antonio Martino, che nell’occasione non ha rinunciato a dettare la linea: “l’Italia non se ne va dall’Iraq, cambierà soltanto la natura della missione, fino ad oggi prevalentemente militare, dall’anno prossimo prevalentemente civile”. Imbroglio bipartisan, appunto, come emerge dalle parole di D’Alema: “L’Italia non scappa. Ritira le forze armate in un quadro di collaborazione civile”. La verità è semplice: l’Italia, già con il governo Berlusconi, ha deciso di ridimensionare il suo impegno militare, ma senza venir meno al suo impegno politico all’interno della coalizione occupante a guida americana. Non a caso tempi e modi di questa operazione sono già stati concordati da tempo con Washington. Il (parziale) ritiro non sarà dunque figlio delle elezioni del 9 aprile (anche se così qualcuno vorrà presentarcelo), ma la conseguenza della forza della Resistenza e della tenuta del movimento contro la guerra nel nostro paese. Obbligati al (parziale) ritiro, sia il governo uscente che quello entrante hanno voluto e vogliono però salvare la loro linea di supporto servile alle esigenze americane. Mutate le caratteristiche della presenza italiana, non muterà affatto il ruolo politico dell’Italia nella vicenda irachena. Il Corriere della Sera del 21 maggio riporta alcune frasi della telefonata che Coondoleezza Rice ha voluto fare a D’Alema. Riportiamo testualmente: “Qui a Washington ci ricordiamo tutti della grande credibilità sua, presidente, ai tempi del Kosovo”. “Abbiamo grande stima per il suo comportamento di allora e siamo certi che potremo sempre collaborare, come a quei tempi, e che lei non cambierà comportamento rispetto ad allora”. Ovviamente, e significativamente, gli addetti stampa del nuovo ministro degli esteri hanno tenuto a far circolare proprio queste frasi, segno di quanto ben riposta sia la fiducia della Rice. Come verrà confezionato l’imbroglio? Semplice, la fantasia non manca mai quando si trappa di turlupinare il popolo. Intanto la missione “Antica Babilonia” si trasformerà in “Nuova Babilonia”. Missione, si dirà, prevalentemente civile, volta alla “ricostruzione” (ma non era così anche per “Antica Babilonia”? - vedi il pezzo che segue). Ribadito che gli italiani sono “brava gente” si disporrà (visto che in Iraq tira ancora un’ariaccia per gli occupanti) la permanenza di un contingente militare di 600 uomini (carabinieri?) a tutela della sicurezza dei “ricostruttori”. E’ questo esattamente lo schema che aveva già prefigurato l’informato Fassino qualche tempo fa (vedi bollettino di Iraq Libero del 9 marzo). Ma si prevede anche che rimarranno in Iraq i militari italiani dislocati presso il Comando Britannico a Bassora, quelli distaccati al Comando Multinazionale a Bagdad, quelli impegnati al Centro di addestramento Nato sempre nella capitale irachena: in tutto altri 200 uomini circa. Ora, siccome il ritiro è essenzialmente un fatto politico prima ancora che militare, chiunque può valutare quale imbroglio sia in preparazione. Altro che "tempi tecnici"! Fonte: Bollettino del 24 maggio 2006 iraqlibero@email.it |