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Ribadisco: nel medioevo mancava l'idea di economia

di Jacques Le Goff - 15/01/2011


L' uso delle monete e il senso degli affari. Le Goff risponde a Galasso: manca l' idea di economia. Si giunse molto più tardi al concetto unificatore di «argent»: la caritas divina domina ancora gli scambi

Sul «Corriere della Sera» del 4 gennaio scorso, il mio stimato amico, lo storico napoletano Giuseppe Galasso, esprime alcune riserve sulla tesi che ho sostenuto nel mio libro, Le Moyen Age et l' argent, pubblicato recentemente in Francia e tradotto da Laterza con il titolo Lo sterco del diavolo. Una ricerca e una riflessione approfondite mi hanno in effetti convinto che se l' uso delle monete, la loro circolazione e la valutazione di un bene in termini monetari erano ampiamente aumentati nel Medioevo, all' epoca non si era giunti al concetto unificatore dell' argent, il denaro. In francese, la parola argent continua a significare soltanto il metallo prezioso; in inglese, money passa solo tardivamente dal significato di moneta a quello di denaro; in italiano, denaro per molto tempo non è che la riformulazione del termine denàrius derivato dal latino per esprimere il tipo più corrente della moneta in uso. La constatazione dell' assenza del concetto di denaro nella mia mente si collega alla tesi, che reputo fondamentale, del grande economista ungaro-americano Karl Polanyi: anch' egli afferma che nemmeno il termine economia - utilizzato nel Medioevo solo per tradurre il significato di economia domestica di Aristotele - aveva il concetto unificatore di economia, di un ambito specifico, poiché, secondo lui, e credo avesse ragione, «l' economia era incorporata - embedded - nel labirinto delle relazioni sociali». Quello che più tardi è stato chiamato denaro, soprattutto a partire dalla fondazione della prima Borsa che testimoniava un mercato del denaro, la Borsa di Amsterdam, nel 1609 (un tentativo, ad Anversa, nel XV secolo, era fallito proprio per l' assenza di un concetto di denaro) era secondo me incorporato nel Medioevo in un insieme di concezioni degli scambi dominato dalla potenza divina. Di qui deriva quanto asserisco nel mio libro, facendo seguito all' articolo di Anita Guerreau («Caritas y don en la sociedad medieval occidental», in «Hispania: Revista Española de Historia», 2000): cioè che l' insieme degli scambi sociali, compresi economia e denaro, è dominato dalla caritas divina. In tutta la mia opera mi sono sforzato di illustrare la creatività della società medievale cristiana (e mi dispiace che un sottotitolo del «Corriere della Sera» riprenda l' espressione «secoli bui»), per esempio nell' ambito del pensiero, della città, dell' arte; e penso, come Giuseppe Galasso, che l' uso crescente delle monete abbia migliorato la contabilità, come ha dimostrato il rimpianto Federico Melis. Ma il calcolo non è denaro né economia. Le pratiche evocate da Giuseppe Galasso sono tardive e limitate, mentre le monete, altra cosa che ho voluto esporre, sono penetrate nella società cosiddetta feudale (XI-XII secolo). Quanto a coloro che sono stati chiamati Lombardi perché spesso di origine italiana, come negli interessanti lavori del Centro studi di Asti, in particolare dell' eccellente Renato Bordone, di cui deploro la precoce scomparsa, erano lungi dall' essere banchieri, come più tardi saranno definiti. Erano individui che cambiavano e prestavano denaro, e ancora non potevano esimersi da ogni tipo di itineranza; il che rese necessarie, ancora alla fine del Medioevo, fiere commerciali come quelle di Lione, Ginevra, Francoforte eccetera. Quel che infastidisce Giuseppe Galasso è il mio ricorrere all' antropologia. Ma le genti del Medioevo sono al tempo stesso i nostri antenati e una società le cui pratiche e i cui concetti erano diversi dai nostri. Solo la storia divenuta scienza sociale a contatto con altre scienze, in particolare l' antropologia, può spiegare nella sua verità profonda quella società. Quando Giuseppe Galasso scrive: «Solo la ragione storica può dominare il passato con la forza della propria logica», egli parla da storico del XIX secolo. Non esiste una ragione storica, essa non domina il passato, non si serve della forza della propria logica. Cerca di far luce sul passato e di spiegarlo, non di dominarlo. Ha dei metodi, non è una ragione. E tenta di riempire il ruolo che le ha assegnato Marc Bloch, di spiegare «il cambiamento delle società nel tempo» rispettando solo la loro specificità e i loro cambiamenti: questo non fa che arricchire la storia rispettando la sua necessità e la sua utilità. (traduzione di Daniela Maggioni)