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L'usuraio di Sorrentino divide Cannes

di Alessandra De Luca - 26/05/2006

Film audace ed estremo ottimamente recitato all’inquietante Giacomo Rizzo nei panni del laido Geremia: «Essendo uno squattrinato artista anch’io ho dovuto spesso ricorrere ai cravattari»

 

Il regista napoletano in concorso con «L’amico di famiglia»: «Mi sono ispirato a certi squallidi personaggi di Fellini per raccontare le derive dei valori oggigiorno»

 

L'idea gli è venuta osservando due vicini di casa, madre e figlio piuttosto anziani, legati da un perfetto e misterioso rapporto simbiotico. Poi il figlio è diventato un concentrato di mali, un personaggio caratterizzato da un rapporto distorto con le donne, i genitori, gli amici, il denaro. Con la vita in generale, insomma. È nato così il settantenne usuraio protagonista de L'amico di famiglia di Paolo Sorrentino che, per il ruolo del laido Geremia, è andato a scovare Giacomo Rizzo, attore napoletano dimenticato dal cinema, ma in passato scelto da autori del calibro di Pasolini, Bertolucci e persino Billy Wilder. In competizione a Cannes per la seconda volta dopo Le conseguenze dell'amore, Sorrentino confeziona un film audace ed estremo nel linguaggio, niente affatto facile per il grande pubblico, e con la sua predilezione per una messa in scena insolita, attenta ad evitare la volgarità delle immagini più "normali", si conferma uno dei giovani registi italiani più visionari e di talento. La storia, ambientata nell'Agro Pontino, può essere riassunta in poche parole: un sordido omino con una cultura nutrita dalle letture di Selezione e una vera passione per battute salaci che rivelano una cinica visione sul mondo, è il benefattore di molti disperati in cerca di un prestito. C'è chi deve operarsi all'estero, chi rincorre l'eterna giovinezza con la chirurgia estetica e chi è disposto a tutto pur di assicurare alla figlia un matrimonio che si rispetti.
Geremia ha un "cuore d'oro", ma se non restituisci i soldi si trasforma in uno spietato predatore. L'incontro con Rosalba (la bellissima Laura Chiatti), giovane sposa che proprio il giorno del suo matrimonio troverà il modo per ottenere una radicale riduzione degli interessi sul debito contratto dal padre, cambierà la vita dell'uomo, rivelando l'aspetto più umano dello strozzino e tutte le ambiguità dei personaggi che gli girano intorno, compreso l'amico Gino (Fabrizio Bentivogl io), un cowboy con la passione per il country e il Tennessee. Ma più che il plot, al regista interessa la costruzione delle sua complessa e degenerata umanità inserita in un contesto realistico riletto, complice la straordinaria fotografia di Luca Bigazzi, da un personalissimo sguardo capace di condurre lo spettatore disposto a fidarsi in un viaggio allucinato in un mondo altro, squallidissimo e affascinante al tempo stesso. E quei luoghi davanti alla macchina da presa di Sorrentino assumono addirittura una valenza metafisica.
«Spero che il film interessi al pubblico - dice il regista, il cui film ha avuto un'accoglienza in chiaroscuro, tra apprezzamenti e perplessità -, ma soprattutto che lo divida. L'amico di famiglia nasce anche da una frase di Fellini: "La bellezza alberga nello squallore". Io volevo rappresentare questo squallore attraverso l'eccesso, l'accumulo. Mi piace partire dal realismo per poi tradirlo nella sua messa in scena. E un usuraio è un ottimo veicolo per raccontare le derive dell'oggi dove le cose più futili come la chirurgia estetica diventano assolutamente necessarie». Se il regista non ha avuto rapporti diretti con usurai neppure durante la preparazione del film, Giacomo Rizzo ha raccontato di essere ricorso in passato ai loro prestiti: «Facendo l'attore mi sono talvolta trovato in difficoltà economiche. E l'usuraio al quale ho pagato il 10% di interessi ha davvero risolto il mio problema in quel momento. Con le banche invece è tutto molto più lungo e difficile: per questo la gente ricorre, purtroppo, agli strozzini». Terminato pochi giorni fa, il film arriverà nelle sale dopo l'estate.