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La donna sta cercando il modo di non aver più bisogno dell’uomo?

di Francesco Lamendola - 15/01/2011


 
Che il rapporto fra uomo e donna sia giunto ad un punto critico, in quest’epoca che vorremmo poter chiamare già post-moderna, ma che forse è soltanto l’ultima, esangue fase di decadenza della modernità, è cosa che non richiede dimostrazione, perché sta palesemente sotto gli occhi tutti - o, almeno, di quanti vogliano vederla.
Potremmo citare i dati, sempre più raccapriccianti, delle separazioni e dei divorzi, ma ciò illuminerebbe solo una piccola parte del problema: perché ormai moltissimi giovani non si sposano affatto, né in chiesa, né in municipio; eppure, la loro maggiore libertà reciproca non si traduce nell’instaurazione di un rapporto più stabile, ma, al contrario, nella disposizione a lasciarsi con una frequenza ancora maggiore di quanto avviene nelle coppie sposate, in una girandola infernale che non conosce più soste, né momenti di riflessione. 
Ci si lascia, ci si prende di nuovo, ci si lascia ancora: non ci si concede nemmeno una settimana di tempo per fare il punto della situazione, per dare un po’ di respiro alla propri affettività frustrata, delusa, esasperata. E si ripetono sempre gli stessi errori, senza imparare nulla. Si ha il terrore di restare soli, ma non si fa niente per individuare le cause di una vita affettiva così insoddisfacente, così terribilmente fallimentare.
Se a ciò si aggiunge il dilagare dell’orientamento omosessuale, sia in forme occasionali, sia come scelta definitiva, si avrà un quadro più esatto della crisi gravissima che caratterizza il rapporto fra uomo e donna ai nostri giorni; una crisi quale non si era mai registrata in passato, a quel che ne sappiamo, perlomeno nell’ambito della civiltà occidentale: con la sola eccezione, forse, della tarda grecità e, poi, della tarda romanità, quando l’amore vero era considerato quello omosessuale, mentre il rapporto eterosessuale, e specialmente nell’ambito del matrimonio, era visto come un omaggio formale alle convenzioni sociali e all’obbligo della procreazione.
Invece di sostenersi a vicenda e di darsi l’un l’altra il meglio della propria specificità di genere, l’uomo e la donna sembrano impegnati in una lotta senza esclusione di colpi, mirante a distruggere il partner, a sottometterlo, a sfruttarlo e poi - magari - a lasciarlo, non appena si presenti all’orizzonte una possibilità ritenuta più interessante. 
L’uomo e la donna non si fidano più l’uno dell’altra; si guardano di sottecchi, con spetto, con fastidio, con malevolenza; non si aspettano nulla di buono e preparano le contromosse per non farsi cogliere impreparati quando verrà la resa dei conti: proprio come due potenze vicine ed ostili, che preparino in segreto le armi per la guerra, pur se, formalmente, continuano ancora a parlare di pace e perfino di collaborazione reciproca.
Vi sono coppie che, prima ancora di sposarsi, si preoccupano di stabilire presso un avvocato le modalità finanziarie di un eventuale divorzio; ve ne son altre che, fin dall’inizio, decidono, di comune accordo, di non volere figli, «almeno per il momento», ma poi, di fatto, per sempre: manifestazioni evidenti, l’una e l’altra, di una totale sfiducia reciproca e, oltre a ciò, di una totale sfiducia nel futuro della famiglia, in un futuro da costruire insieme.
Dei due, però, a nostro avviso, è - oggi - la donna a mostrarsi più impaziente e insofferente del “giogo” maschile, più desiderosa di emanciparsi quanto possibile da quella seccatura che le appare la relazione stabile con un uomo, con o senza matrimonio, con o senza figli. A numerose donne l’uomo appare come un essere egoista, superficiale, inaffidabile, pigro, disordinato, poco pulito, noioso e prevedibile; non parliamo poi a letto, un vero disastro.
Saranno forse i frutti avvelenati di un certo femminismo esasperato degli anni Sessanta e Settanta, che vedeva in ogni uomo un nemico naturale della donna e teorizzava il lesbismo come forma radicale di liberazione dalla supposta sottomissione al maschio; sarà che l’uomo, negli ultimi decenni, ha veramente cominciato a tirare fuori il peggio del proprio repertorio, trasformando in realtà le accuse esagerate che gli venivano rivolte, con l’aggiunta di una buona dose di narcisismo e di effeminatezza: sta di fatto che tante donne, oggi, vedono l’uomo in questi termini e, perciò, non sembrano affatto desiderose di unire il proprio destino a un essere del genere.
Molte donne sposate fanno di tutto per liberarsi del marito: lo fanno sentire di peso, lasciano trasparire il proprio disprezzo per indurlo ad andarsene. Poi, ottenuto ciò, rifioriscono: sembrano ringiovanite di vent’anni. Si vestono da ragazzine, vanno in giro o in palestra con le amiche, cambiano look, viaggiano, frequentano circoli e conferenze. Talvolta si prendono un amante, possibilmente giovanissimo, in modo da essere sempre in una posizione di forza e da poterlo mollare in qualunque momento lo vogliano. 
Lo stesso rifiorire, lo stesso giovanilismo un tantino esasperato si notano in molte vedove recenti, anche non più giovani. Si direbbe che l’esser rimaste sole abbia fatto loro del bene, sono così trasformate da apparire irriconoscibili. Si concedono tutti quei piaceri epicurei che, prima, non si erano neanche sognate. E non è detto che avessero dei mariti o dei compagni prepotenti, egoisti, distratti; forse erano persone normalissime, uomini normalissimi. 
Non si tratta, pertanto, di una ritrovata libertà dopo anni di imposizioni autoritarie; semplicemente, è la scoperta che da single, passati i quarant’anni, si sta meglio: non si deve più pensare a nessuno, preoccuparsi di nessuno, sacrificarsi per nessuno. Anche i figli sono grandi e stanno fuori di casa; ci si può godere la vita, ci si può sentire libere e seducenti, come nei film americani. E senza il complesso della zitella, perché un uomo, prima, c’era: ma è servito solo a dimostrare quanto si sta meglio da sole.
Così come un seminarista che, uscito nel mondo, si fidanza e poi torna all’ovile, avendo scoperto che l’amore terreno non è poi un gran che, paragonato a quell’altro; allo stesso modo queste ex mogli ed ex compagne, una volta rimaste libere, o perché hanno espulso l’uomo, o perché la morte se l’è portato via, si gettano nella vita da single, dopo aver fatto la prova provata che il ménage di coppia non è il massimo cui una donna possa aspirare, che dalla vita si può avere qualcosa di assai migliore.
Non è detto che la ritrovata libertà e i piaceri da poco scoperti siano in funzione di una rinnovata e più gratificante vita sessuale. Alcune di queste donne scoprono che ne hanno abbastanza del sesso (anche se non lo hanno mai conosciuto veramente) e che ci sono tante altre cose più gratificanti; altre passano freddamente da un letto all’altro, da un amplesso all’altro, ma senza mai lasciarsi coinvolgere, quasi per pigliarsi una rivincita. Altre ancora trovano comprensione e consolazione tra le braccia di un’amica, scoprendo che nessuno può dar loro altrettanto piacere che una persona del proprio sesso. 
Abbiamo detto che il dilagare dell’omosessualità è tipico delle epoche di decadenza, e la ragione è questa: che, nelle epoca di decadenza, le persone sono angosciate, vedono il crepuscolo di un mondo, del loro mondo, e hanno paura, non sanno più a chi o a che cosa aggrapparsi. È allora che fioriscono mille credenze strane, mille culti nuovi, mille sette venute da chissà dove. Ed è allora che si placa la paura dell’altro sesso, gettandosi nelle braccia di un individuo del proprio: perché nell’uomo e nella donna, quando sono disorientati e confusi, quando hanno smarrito la propria identità, alla naturale attrazione reciproca subentra la paura l’uno dell’altra, delle loro differenze, del loro essere diversi. Meglio, dunque, cercare rassicurazione con il proprio simile, con chi conosce meglio di chiunque altro i segreti del proprio corpo e quelli della propria mente, della propria sensibilità.
Si noti che tutte e tre queste “risposte” alle esigenze sessuali: la rinuncia al sesso, consolandosi con la favola della volpe e dell’uva; la pratica compulsiva e promiscua, ma senza alcun coinvolgimento emotivo; il ripiegamento nelle pratiche omosessuali, pur nella loro apparente diversità, nascono da uno stesso disagio, da uno stesso disorientamento, da uno stesso timore.
Quanto alla vita affettiva, un cane o un gatto - e sia detto con il più grande rispetto nei confronti di quegli animali, così come per coloro che li amano - possono riempirla benissimo più di un compagno umano, che ha il brutto difetto di voler dire la sua e di avere una volontà propria; mentre il cane e il gatto dipendono dalla padrona in tutto e per tutto, sono grati di tutto, scodinzolano felici quando lei ritorna a casa o quando li porta fuori.
Ci sono delle donne che hanno talmente concentrato il loro affetto su di un cane, che non potrebbero più vivere senza di lui, né lui, povera bestiola, senza di loro: l’hanno resto totalmente dipendente, totalmente umanizzato, viziato come potrebbe esserlo solo un figlio unico di quattro anni. E guai a chi si presenta in visita alla padrona: l’amico a quattro zampe incomincia a ringhiare, a mostrare i denti, pare sul punto di volersi lanciare all’attacco per scacciare l’invasore, che lo rende pazzo di gelosia.
Certo, amare gli animali è una bella cosa: ma guai a farne il surrogato inconsapevole della presenza umana, del compagno che non c’è, che non si vuole attorno perché siede a tavola con le mani sporche, la sera se ne sta a guardare la televisione o a leggere il giornale, e - la notte - ha l’orribile difetto di russare.
Come si può venire fuori da questa situazione? 
Come si può immaginare che l’uomo e la donna ritornino a cercarsi con passione, con poesia, con la capacità di sognare e con l’attitudine a perdonare, cioè con la disponibilità ad affrontare anche le difficoltà del rapporto, sapendo che non tutto, nella vita, è rose e fiori, ma ciò in generale e non solo nell’ambito della coppia?
E, in particolare, come potrà la donna ritrovare la stima, l’attrazione, il desiderio nei confronti dell’uomo, ora che ha gustato abbondantemente il frutto proibito del grande segreto: che ella può benissimo vivere da sola, senza rinunciare a niente e senza sentirsi inferiore alle amiche sposate o fidanzate?
Il movimento, ovviamente, dovrebbe partire da entrambe le parti.
L’uomo, da parte sua, dovrebbe ritornare a fare l’uomo: il che non significa assumere atteggiamenti da “macho”, ma ripristinare la propria virilità nel senso più profondo del termine, che  - sia chiaro - non si misura solo in termini di prestazioni sessuali. 
La sessualità risiede nell’anima e non negli organi genitali: si è virili o femminili in tutto il proprio modo di essere, profondamente e naturalmente, oppure non lo si è, indipendentemente da ciò che si fa sotto le lenzuola. E molti uomini, oggi, non lo sono più; probabilmente perché si sentono confusi e disorientati, proprio come sta accadendo a tante donne.
Inoltre, l’uomo dovrebbe tornare a guardare alla donna senza paura, sospetto o rancore, ma con rispetto, fiducia e in un alone di poesia (pur senza cadere in un romanticismo autolesionistico): perché senza poesia l’incontro fra i sessi diventa un rapporto brutale e distaccato, un semplice accoppiamento, simile a quello degli stalloni con le giumente.
Da parte sua, la donna dovrebbe deporre il fardello di un ruolo che è stata indotta ad assumersi, contro la sua intima natura e che, dietro il miraggio di una non meglio precisata indipendenza, l’ha impoverita della sua parte migliore: il ruolo di surrogato del maschio, o - addirittura - quello che è proprio del maschio, con la volontà di svolgerlo meglio del maschio stesso, così, giusto per dimostrare (ma a chi, poi?) di non temere nulla e nessuno, di potersi prefiggere qualsiasi meta e qualunque risultato.
Oltre ad averla forzata in un ruolo improprio, che ha spogliato la femminilità dei suoi fiori più belli, per sostituirli con i cardi e le spine di una brutta copia della virilità (la mascolinità, appunto) e sacrificato le sue potenzialità migliori, più vive e più ricche, la rincorsa del modello maschile ha obbligato la donna a sobbarcarsi una immane fatica nella vita quotidiana, facendosi in quattro per fronteggiare una mole immensa di impegni, di lavoro, di preoccupazioni.
In certi casi, bisogna riconoscerlo, non si è trattato di una scelta, ma di una necessità imposta dalle circostanze: economiche, familiari, personali. Ad esempio, la donna separata dal suo compagno, ma con dei figli minorenni a carico, ha dovuto, talvolta (ciò dipende dal tipo di separazione), indossare anche i panni del padre, oltre a quelli della madre; e affannarsi tra il lavoro fuori casa, quello domestico e, magari, la cura dei genitori anziani e malati.
In molti altri casi, però, se si vuole guardare le cose con obiettività, bisogna ammettere che non si è trattato di una dura necessità, ma di una scelta sostanzialmente volontaria, non da altro motivata che dalla chimera di quella vaga “liberazione” e di quella nebulosa “indipendenza” di cui dicevamo prima: istanze artificiali di una ideologia femminista estrema o malessere individuale camuffato da rivendicazione di una libertà che non era mai stata realmente minacciata da alcuno, se non nella immaginazione e nei fantasmi creati da una suggestione pseudo progressista. 
In altri casi ancora la donna, travolta dalla retorica di una libertà a tutto campo e di un non meglio identificato diritto alla felicità (diritto che perfino la costituzione di alcuni Stati ha ufficializzato, senza che perciò la vita si sia mai sognata di riconoscerlo ad alcuno), ha imboccato la via della emulazione maschile e rinunciato al proprio ruolo femminile, inseguendo un edonismo spicciolo che ha sedotto anche moltissimi uomini e che aborre da ogni idea di legame, di dovere e di sacrificio, in nome di una immediatezza e di una spontaneità che si traducono, di fatto, nel disordine esistenziale più assoluto e nel richiamo esclusivo del piacere immediato.
Ma quell’edonismo esasperato non le ha portato la tanto sospirata felicità e nemmeno uno stato di pace con se stessa, di accettazione e di amore per la vita.
Quando vedremo la donna tornare ad essere veramente donna, felice di esserlo; e quando vedremo l’uomo tornare ad essere uomo? 
E quando li vedremo entrambi tornare a cercarsi con incanto, con trepidazione, con reciproca volontà di arricchirsi e sostenersi a vicenda?