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C'era una volta l'Occidente, con la “O” maiuscola. Adesso non c'è più. Qualche tempo fa uno dei filosofi neo-con, un certo Robert Kagan, era emerso dall'oscurità per dirci questa verità, anzi per sbattercela in faccia, a noi europei della “vecchia Europa”: siete fuori dal mondo, non avete capito niente di cosa è successo l'11 settembre, le regole sono cambiate e voi continuate a parlarvi addosso in base alle vecchie regole, al diritto internazionale consolidato da Yalta, al vecchiume della guerra fredda, al mondo bipolare.
Mi è capitato recentemente di sentirmi dire la stessa cosa, ma con un tono dimesso, un sospiro sconsolato, un'interpretazione di significato opposto a quello di Kagan, da un senatore, nel suo ufficio di Washington. Richard Durbin, democratico dell'Illinois, constatava che su tutta una serie di questioni cruciali, di giudizi fondamentali sui temi caldissimi della contemporaneità, l'atteggiamento degli americani è ormai diverso, anche radicalmente, da quello degli europei.
Ci metteva in guardia, Richard Durbin, sul fatto che i motivi che ci avevano portato (me e un gruppo di deputati europei) a Washington non facevano nemmeno parte delle priorità che angustiano la maggioranza degli americani. Le priorità – ci disse – sono la sicurezza, la salute, le questioni sociali, non i diritti umani. Così ripetendo quello che, poco prima ci aveva fatto capire il membro del Congresso, anche lui democratico, della Florida, Robert Wexler. La gran parte degli americani, ci aveva avvertito Wexler, non sa nulla delle questioni che state sollevando e non è nemmeno in grado di capire gli effetti che i voli della Cia e le carceri segrete hanno avuto sull'opinione pubblica europea. Solo un piccolo strato di persone, “molto sottile” (e qui aveva fatto un gesto con la mano, lasciando tra il pollice e l'indice appena una fessura), considera importante il diritto dei presunti terroristi di essere giudicati regolarmente. Poi aveva aggiunto: “penso che la maggioranza, non so esattamente ma potrebbe essere più del 51%, non sarebbe d'accordo con voi. Tra quello strato sottilissimo, che ragiona all'europea, e questa maggioranza, c'è uno strato variegato che si colloca a metà strada, che condivide alcune cose di questa Amministrazione, e altre no, ma che non desidera essere costretto a scegliere. Perché se lo si costringe a scegliere, allora starà - “come farei io stesso”, aveva aggiunto – dalla parte di George Bush.
Ero andato a Washington come membro di una delegazione del Parlamento Europeo incaricata di approfondire l'indagine, promossa dallo stesso Parlamento sui voli segreti della Cia in Europa, sulle cosiddette “extraordinary renditions”, sulle modalità con cui gli Stati Uniti hanno condotto la loro guerra al terrorismo internazionale in esplicita violazione di tutte le norme fino a questo momento in vigore, regolanti i rapporti tra stati.
Il fatto stesso che il Parlamento abbia deciso, a larga maggioranza, di istituire una commissione d'indagine sulla materia, già dice molto sullo stato delle cose tra le due rive dell'Atlantico. A dare il via alla decisione erano state fughe di notizie, emerse dalla stampa americana e raccolte da alcune organizzazioni non governative di difesa dei diritti umani fondamentali. Si parlava di carceri segrete della Cia in Polonia e in Romania, di decine e decine di atterraggi di aerei Cia in molti aeroporti europei, di prigionieri, presunti terroristi, prelevati segretamente in numerosi paesi esterni all'Unione Europea, trasferiti in paesi terzi, ma transitati, sempre segretamente, in Europa verso destinazioni nelle quali sarebbero poi avvenuti interrogatori in cui si è fatto ampio e variegato uso della tortura, insieme a una serie di trattamenti inumani e degradanti.
L'elenco dei crimini contro l'umanità, che veniva evidenziato da quelle fughe di notizie, sicuramente – come si accertò – di fonti informate e attendibili, era ed è impressionante. A commetterli non erano i terroristi, ma coloro che affermano di dare la caccia ai terroristi.
E la prima domanda che i parlamentari europei si posero fu molto semplice: tutto questo è avvenuto all'insaputa dei governi europei, dei servizi segreti europei, dei diversi livelli istituzionali europei, oppure qualcuno sapeva?
Domanda essenziale, perché se si scoprisse con precisione che c'erano (ci sono) in Europa, coloro che davano (danno) il beneplacito per queste azioni, o che vi partecipano, saremmo di fronte alla violazione dell'articolo 6 del trattato dell'Unione Europea, così come della Convenzione Europea per la protezione dei Diritti Umani e della Libertà Fondamentali. E il fatto che tra i paesi indicati ci sia la Romania, paese candidato all'ingresso nell'Unione, complica le cose : perché non si entra in Europa se non si rispettano le norme dell'Europa. Questa, per lo meno, è la regola, anche se non è detto affatto che verrà seguita, in caso si accertasse, dati alla mano, che la Romania ha ospitato carceri segrete della Cia, e non solo ha dato ospitalità e rifornimento agli aerei Cia che vi transitavano portando i prigionieri altrove.
La Commissione d'inchiesta ha già accertato una quantità notevole di cose: tra cui la deportazione di due cittadini egiziani, Mohammed Al Zary e Ahmed Agiza da un aeroporto svedese alla volta dell'Egitto. I due erano stati arrestati dalle autorità svedesi e furono consegnati nelle mani di un gruppo di agenti della Cia, che li portarono in Egitto, dove subirono torture.
Del rapimento dell'imam Abu Omar, avvenuto in pieno centro a Milano, sapevamo già quasi tutto grazie alle indagini condotte dal procuratore di Milano Armando Spataro. Ben 22 mandati di cattura contro altrettanti agenti della Cia sono stati spiccati dalla magistratura italiana. Adesso emerge che agenti italiani presero parte all'operazione, insieme a quelli della Cia.
Si è scoperto che le autorità bosniache consegnarono sei algerini agli agenti della Cia. Il loro luogo di detenzione successivo non è noto, forse sono tra i prigionieri di Guantanamo Bay.
Particolarmente importante il caso del cittadino tedesco di orgine libanese Khaled el Masri, arrestato in Macedonia, consegnato alla Cia e da qui trasferito in Afghanistan, dove fu interrogato e torturato. E la commissione ha potuto ascoltare direttamente la testimonianza di Maher Arar, cittadino canadese, arrestato all'aeroporto di New York, trasportato in Siria, via Roma Ciampino, e quivi trattenuto in un carcere segreto, torturato per dieci mesi e infine, inspiegabilmente liberato senza neppure aver saputo quali erano i capi d'imputazione, sempre che ve ne fossero.
In sintesi: fino ad ora si è scoperto (ma è solo la punta dell'iceberg) che gli Stati Uniti hanno effettuato tra 30 e 50 veri e propri sequestri di persona in paesi terzi; che hanno dislocato i rapiti in almeno 8 carceri segrete, tra cui certamente alcune in Europa, altre in Africa e in Asia. Alcune di queste carceri sono successivamente state chiuse, ma altre, in luoghi segreti, esistono tutt'ora. Lo prova il fatto che numerosi “terroristi” arrestati, alcuni dei quali hanno confessato e le cui confessioni sono state rese pubbliche (senza che gli autori delle confessioni fossero mostrati al pubblico) sono tuttora in detenzione senza processo, senza avvocati difensori, in condizioni di totale isolamento. E non si sta parlando di Guantanamo Bay, il caso “ molto particolare” di oltre 600 detenuti incarcerati del tutto illegalmente, non processati, sottoposti a trattamenti inumani e degradanti, sotto la denominazione, inventata dal Pentagono, di “nemici combattenti” e, come tali, trattati senza rispettare le regole della Convenzione di Ginevra, ma senza neppure le garanzie delle leggi statunitensi (con il cavillo fantastico che Guantanamo Bay si trova fuori dal territorio degli Stati Uniti d'America)
Si è anche saputo, direttamente dai giornalisti americani autori delle rivelazioni, sentiti a Washington, che l'Amministrazione americana ha esercitato fortissime pressioni, in parte con successo, per impedire – in nome della sicurezza nazionale - che venissero resi noti i paesi europei che hanno ospitato le prigioni segrete.
Dettagli, si dirà. Ma non è un dettaglio la dichiarazione sibillina che, nell'ottobre 2001, poco dopo l'11 settembre cioè, l'allora Segretario generale della Nato, lord Robertson, rivelò l'esistenza di un accordo Nato, invocato dagli Stati Uniti, perché gli alleati concedessero agli Usa tutta l'assistenza necessaria per le operazioni antiterrorismo, ivi incluse operazioni segrete, atterraggi di aerei in aeroporti Nato e civili, scali tecnici e rifornimenti di carburante.
Del resto - come ha rilevato anche Carlos Coelho, che presiede la Commissione d'Inchiesta, ma come ho ascoltato io stesso - i funzionari del Dipartimento di Stato ci hanno detto perentoriamente che “gli Usa non hanno mai violato la sovranità di stati membri dell'Unione Europea”. In altre dichiarazioni meno ufficiali, si è detto esplicitamente che i governi europei “sapevano” o “non potevano non sapere”.
Con la qual cosa possiamo concludere, per il momento, che gli alleati europei degli Stati Uniti hanno preso parte, come minimo nel ruolo di complici e comprimari, allo stravolgimento completo di una serie sterminata di regole fondamentali dello stato di diritto. L'Occidente, quello di una volta, quando c'era da combattere il comunismo, non c'è più. Quello è andato in pezzi, e una parte di esso è regredita alla legge della jungla, molto prima di Cesare Beccaria, sicuramente fino al punto da ritenere lecita la tortura come mezzo per estorcere confessioni.
Ma c'è un altro Occidente, pronto a violare tutti i principi sui quali dichiara di fondarsi, mentre pretende di impartire lezioni a destra e a manca, e magari a esportare la democrazia senza diritti.
Giulietto Chiesa da Galatea Fonte: www.giuliettochiesa.it/ Link: http://www.giuliettochiesa.it/modules.php?name=News&file=article&sid=207
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