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Libertà sessuale e prostituzione sono due cose diametralmente opposte

di Francesco Lamendola - 12/02/2011




L’Italia è un Paese - oltre che di santi, di artisti, di poeti e di navigatori -  di puritani improvvisati e di bacchettoni da strapazzo?
E la sinistra, da sempre impegnata in prima fila nei temi della libertà sessuale, è stata travolta da un insospettabile, grottesco rigurgito d moralismo e di perbenismo borghesi?
Domande sciocche; e, quel che è peggio, domande poste in malafede.
In un articolo di qualche giorno fa, dai toni aggressivi e sguaiati, dopo l’esplosione del “caso Ruby”, Marcello Veneziani, intellettuale simbolo della destra, si è abbandonato a una feroce derisione della sinistra che, dopo avere predicato, per anni, la libertà sessuale contro l‘etica della famiglia, ora si contraddice e si rende ridicola, vestendo i panni di una censura d’altri tempi, al solo scopo di poter dare addosso al Cavaliere.
Gli ha fatto doverosamente sponda, per la “par condicio”, l’ottimo Piero Sansonetti, esponente di spicco dell’intellettualità di sinistra, il quale, in una intervista rilasciata al TG1, ha rimproverato esattamente le stesse cose ai suoi compagni di schieramento: il moralismo giudiziario, ha detto in sostanza,  è un’arma spuntata e non ci appartiene doppiamente, in quanto moralismo e in quanto giudiziario; non è brandendolo che si batte il berlusconismo, semmai lo si rafforza.
E non si è chiesto, l’eccellente uomo, come mai il telegiornale di massimo ascolto dell’ammiraglia Rai, quello stesso telegiornale che ha costretto alle dimissioni una giornalista seria come Maria Luisa Busi, che ne aveva denunciato il clima come “irrespirabile”, gli abbia concesso l’onore e lo spazio di una intervista, proprio a lui, per dire quelle cose lì a milioni di telespettatori; quello stesso Tg1 che poi, guarda caso, porta davanti ai microfoni Giuliano Ferrara, all’indomani della richiesta di rinvio a giudizio del Cavaliere da parte dei giudici di Milano, per denunciare le finalità eversive del gruppo de «L’Espresso» e la bieca congiura dei pubblici ministeri della procura “bolscevica”.
Notevole, dunque, e altamente significativa, questa convergenza di vedute fra l’icona della destra e l’icona della sinistra, circa il fatto che la sinistra, per sua natura libertaria e antiborghese, non ha le carte in regola per indignarsi davanti ai fatti e ai misfatti di Arcore e che sta facendo una ben misera figura nell’inforcare un simile cavallo di battaglia.
Ahimé, si sono scordati entrambi di un piccolo, piccolissimo, insignificante particolare: che la libertà sessuale e la prostituzione sono due cose leggermente diverse, anzi, molto diverse; o meglio, per dirla tutta: sono due cose diametralmente opposte e del tutto inconciliabili.
La libertà sessuale è una pratica riguardante la sfera del privato, che può piacere o non piacere, ma che riguarda solo ed esclusivamente la coscienza dell’individuo. La prostituzione, oltre ad essere un reato, non parliamo poi se minorile, è una pratica intrinsecamente squallida: tanto più quando consiste in una sostanziosa transazione di denaro da parte di un vecchio miliardario a delle ragazze giovanissime, in cambio di prestazioni sessuali.
Non solo reato, ciò che i magistrati hanno l’obbligo di perseguire; ma anche, ripetiamo, una cosa infinitamente laida, infinitamente triste.
Oltretutto, da parte dell’uomo che sborsa, essa è l’esatto contrario della virilità: Mussolini, al quale il Cavaliere è stato tante volte paragonato, ma del tutto impropriamente, faceva del sesso con centinaia di donne, ma senza scucire una lira: non perché tirchio, ma perché si trattava di fervide ammiratrici, le quali, per prime, si sarebbero sentite offese a sangue, se lui avesse posto mano al portafoglio.
Un’altra evidente mancanza di onestà intellettuale consiste nel tentare di far credere al pubblico che chi domanda le dimissioni del presidente del Consiglio per le vicende delle feste a luci rosse è un ex comunista travestito, per l’occasione,  da zelante puritano.
Nossignore.
Chi si indigna per lo scandalo di quelle feste, se così vogliamo chiamarle, non è affatto una persona di parte: si tratta di una questione morale. Oppure ci si vuole far credere che milioni di cittadini, di padri e madri di famiglia, di giovani e anziani che non ne possono più della volgarità del cavaliere e del suo sistematico disprezzo della legge, sono tutti ex comunisti travestiti?
E poi, anche venendo alla sinistra vera e propria, diciamo la verità:qualcuno se li immagina Veltroni e Fassino che, nei loro anni verdi, incitano alla sregolatezza sessuale, al sovvertimento dei valori borghesi, magari con l’aiuto di generose inalazioni di cannabis? E Di Pietro, è anche lui un ex comunista che, nei suoi anni ruggenti, fra uno spinello e l’altro, inneggiava al libero amore, alla promiscuità sessuale, al ripudio della famiglia?
Ma via, un po’ di senso del ridicolo.
Qui si vuogliono confondere deliberatamente i due diversi piani della questione: primo, che la concussione e la prostituzione sono dei reati e una forma di squallore, e non una forma di libertà sessuale; secondo, che per indignarsi della prostituzione e della concussione non occorre essere di una determinata parte politica, basta avere un minimo di senso civico e di senso morale: e che nessuno dei politici che oggi esprimono tale indignazione hanno simili scheletri nel proprio armadio ideologico (magari ne hanno altri), da doversene stare zitti per la vergogna.
Al contrario.
La sedicente libertà sessuale del vecchio danaroso, che paga fior di quattrini le prestazioni delle ragazze che con lui si prostituiscono, è quanto di più grossolanamente borghese si possa immaginare; quanto di più rozzo, sconcio, sudicio e triste.
Ricorda piuttosto i turpi vizi dell’ultimo Gabriele D’Annunzio al «Vittoriale» di Gardone, allorché proprio lui, già irresistibile «tombeur de femmes», si era ridotto a pagare le donne prescelte per ridestare i suoi sensi ormai languenti ed esausti; piuttosto che la sana ed esuberante virilità del Duce, che prendeva le donne all’impiedi, nella Sala del Mappamondo, o le rovesciava direttamente sul divano e poi le rimandava a casa in estasi, senza scucire loro, lo ripetiamo, neppure un centesimo, e tanto meno senza cercar di procacciare loro una ben retribuita sistemazione in  qualche amministrazione dello Stato, a spese dei contribuenti.
Del resto, come possono i cittadini del nostro Paese, come possono i governanti degli altri Paesi, continuare a guardare seriamente un premier, che le sue stesse “amiche” definiscono, nelle loro amabili e signorili conversazioni private, «pezzo di m…» e «c… flaccido», non tanto a causa delle sue disinvolte abitudini sessuali, ma perché ha regalato la villa a questa e non a quel’altra gallina del pollaio; perché ha favorito in vario modo questa e non quell’altra?
C’è qualcuno che, in buona fede, riesce ad immaginare come un Obama, un Sarzozy, un Cameron o una Merkel, potrebbero continuare a ricoprire le proprie altissime cariche istituzionali, dopo essere divenuti oggetto di simili facezie, nonché protagonisti di simili vicende, che sarebbero altamente disdicevoli anche “solo” per un banchiere o un dirigente d’azienda?
D’altra parte - è innegabile - bisogna considerare anche un altro aspetto della cosa, molto più spiacevole e più sconcertante, perché ci riguarda un po’ tutti da vicino.
Infatti, simili comportamenti hanno riscosso, se non proprio il plauso e l’approvazione, quanto meno la solidarietà e la strenua difesa di una parte consistente dell’opinione pubblica; molte persone non vi hanno visto nulla di riprovevole, meno ancora di vergognoso: non vi hanno scorto, né sono disposte ad ammetterne, il carattere di reato, né quello di immoralità.
Insomma, una fetta cospicua di concittadini ha solidarizzato attivamente e con estrema convinzione con il Cavaliere, a dispetto dell’evidenza, della decenza e del codice penale: e varrebbe la pena di domandarsi perché.
Dire che lo hanno fatto, e che continuano a farlo, semplicemente per pregiudizio ideologico, ossia perché si rifiutano di considerare i fatti in se stessi e li leggono come parte di un disegno eversivo della magistratura politicizzata (come dice Giuliano Ferrara) è, ovviamente, una parte della verità; ma non è certo tutto.
Se si trattasse solo di questo, saremmo ancora nell’ambito della “normalità”: almeno nel significato che questa parola possiede in Italia, dove una secolare tradizione di abusi del potere da una parte, e di colpevole acquiescenza da parte dei cittadini dall’altra, ha fatto sì che, nel nostro Paese, le cose più assurde e più indegne, essendo divenute parte della vita quotidiana, hanno finito per essere accettate come fenomeni naturali, al pari del sole o della pioggia.
No, se così fosse, questo sarebbe ancora il male minore; invece, purtroppo, abbiamo motivo di pensare che il male sia molto più profondo e molto più esteso: che il tessuto morale della nostra società sia preda non di un semplice tumore, ma di un tumore degenerato in metastasi.
Quel che temiamo, e magari potessimo sbagliarci, è che sia sopravvenuta una vera e propria mutazione antropologica: che molti cittadini si siano abituati non solo, e non più, a predicare il bene e a razzolare male, però in privato e con un certo senso di vergogna; bensì a predicare il male e a razzolare ancora peggio, ostentando con fierezza la propria cialtroneria, la propria disonestà, la propria mancanza di senso civico e di senso etico.
Non solo per difendere la propria parte politica, dunque, tanti Italiani sono pronti a perdonare qualsiasi cosa al Cavaliere; no: “perdonare” non è la parola giusta, perché non vi è stata una richiesta di perdono, né il cattivo comportamento è stato riconosciuto come tale; dunque: non solo per difendere la propria parte politica tanti Italiani sono pronti a fare quadrato attorno al loro leader, così come lo farebbero, un domani, per un altro personaggio che fosse altrettanto potente, altrettanto ricco, altrettanto sfrontato.
Non solo per questo, dunque: ma proprio perché tanti cittadini si identificano con lui, con i suoi vizi, con la parte peggiore di se stessi e del carattere nazionale.
Difendendo i comportamenti del Cavaliere, anche contro la legge e la morale, essi, dunque, difendono se stessi: quello che sono o che vorrebbero essere; quello che fanno o che vorrebbero fare, se lo potessero, se avessero altrettanto denaro, altrettante amicizie e protezioni ed altrettanta certezza di impunità.
Siamo arrivati alla bancarotta morale più completa: il male non è più contrabbandato come bene, ma rivendicato con fierezza, proprio in quanto male: come fanno coloro i quali si rendono protagonisti, ogni giorno, di evasione fiscale, di abusivismo edilizio, di danni al patrimonio pubblico, di attentato alla salute altrui, di corruzione e concussione spicciola, di partecipazione ad aste e a concorsi truccati, di sfruttamento di false pensioni di invalidità.
Peggio ancora: la famiglia, un tempo estremo ridotto dei sani valori di una società che ancora aveva un certo quale rispetto di se stessa, è morta; e, al suo posto, rimangono le vuote apparenze di un istituto che serve a celare segreti vergognosi, omertà colpevoli, prepotenze nascoste, ingiustizie e illegalità diffuse. Il caso di Avetrana la dice lunga su questo familismo amorale, ove l’unico legame che tiene uniti i membri del gruppo è l’essere contro qualcuno, tramare ai danni di qualcuno, perseguire il male e la rovina di qualcuno.
Questo “qualcuno” può anche non essere un individuo fisico, ma un individuo simbolico: per esempio, la società esterna, incarnata dallo Stato, dalle sue regole, dalle sue leggi e, naturalmente, anche dalle sue necessità di prelievo fiscale.
Se non fosse bastato tutto il resto, ad indignare gli Italiani avrebbe dovuto esser quella frase, pronunciata dalla nota igienista dentale (?) nel corso di una conversazione telefonica con una sua amica, circa il fatto che certe cariche politiche vengono distribuite alle donnine del Cavaliere per assicurare loro una rendita sicura, a spese dei contribuenti.
Oppure quella del Cavaliere stesso, il quale, all’indomani della richiesta di rinvio a giudizio dei giudici milanesi, annuncia che farà causa allo Stato: ossia che toccherà pagare a noi, anche materialmente (mentre stiamo già pagando un alto prezzo morale), per l’ultima vicenda giudiziaria che lo riguarda.
A noi, che portiamo casa, lavorando con fatica e in mezzo a mille ostacoli, poco più di mille euro al mese…