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Berlusconi e Gheddafi come Hitler. Perché no?

di Alessandra Colla - 25/02/2011

Secondo l'ex ministro della Giustizia libico, Mustafa Abdeljalil, Gheddafi si avvia a condividere la sorte di Hitler: suicida in un bunker mentre il suo mondo crolla attorno a lui.

Secondo Umberto Eco, invece, ad assomigliare a Hitler è il nostro premier Silvio Berlusconi, giunto anch'egli al potere attraverso regolari elezioni.

Superfluo precisare che entrambe le affermazioni hanno suscitato un vespaio: i simpatizzanti di Hitler si sono indignati per l'accostamento a loro dire blasfemo; i simpatizzanti di Berlusconi si sono indignati per lo stesso motivo; i simpatizzanti dell'Olocausto si sono indignati perché il copyright del Male assoluto ce l'ha Hitler e Berlusconi è soltanto un dilettante — insomma tutti hanno qualcosa da dire. E io, come mi càpita spesso, non comprendo il perché di tanto rumore.

Che Hitler sia salito al potere in virtù del democraticissimo meccanismo elettorale è un dato di fatto; e lo stesso dicasi per Berlusconi. Non è la tangibilità di una divisa a inverare la dittatura: il veleno mediatico possiede un'azione più capillare e vanta esiti più letali.
Che Gheddafi sia asserragliato nel suo bunker convinto di poter tenere Tripoli e impegnato a tenere discorsi di dubbia lucidità è un dato di fatto; e lo stesso dicasi per Hitler, che dal suo bunker sotto la Cancelleria faceva esattamente lo stesso. Del resto, se uno si fa costruire un bunker è per poterlo utilizzare nei casi d'emergenza; e se non sono emergenze Berlino nell'aprile 1945 e Tripoli adesso, allora ignoro il senso della parola. Non vedo lo scandalo.

Il guaio è che dal 1945 in poi sembra aver prevalso la strategia interpretativa cosiddetta "del Diavolo": secondo la quale tutto ciò che di negativo si produce nel mondo è l'effetto di una malvagia macchinazione ordita da un Oscuro Signore (o da un gruppo di Oscuri Signori) — tu chiamalo, se vuoi, complottismo (possibilmente di matrice cattolica e francese, à la Maurras). In quest'ottica, gli attori vengono ad essere deresponsabilizzati perché agiti da trame tenebrose e ignote, contro cui nulla può l'uman genere.
Opposta a questa, sta la strategia interpretativa "della Tragedia": secondo la quale tutto ciò che avviene nel mondo è l'effetto di una complessa serie di concause —«la Storia non è un fungo», diceva il mio ottimo professor Tornotti al liceo, intendendo con ciò che nulla sorge all'improvviso ma è frutto di un laborioso concatenarsi di eventi e del concorso di innumerevoli fattori. Secondo alcuni, anche questa strategia deresponsabilizza il singolo, perché ogni attore, imprigionato com'è in una rete fittissima e inestricabile di circostanze, non potrebbe agire diversamente da come agisce.
La differenza sostanziale fra le due strategie è che quella "del Diavolo" è infinitamente più comoda perché risparmia a chi la segue la fatica di studiare e pensare. Non a caso è il tipo di strategia utilizzata dai fondamentalisti e dai manipolatori di professione.

Così succede che a un essere umano noto come Adolf Hitler venga attribuita una valenza metafisica che ne fa, a seconda degli schieramenti, il Male assoluto o un'incarnazione divina. Inutile dire che entrambe le valutazioni sono peregrine. Del pari, attribuire a Gheddafi o a Berlusconi la responsabilità, nel bene e nel male, di tutto ciò che sta accadendo nei rispettivi paesi significa essersi persi come minimo gli ultimi quindici anni di storia del mondo, con tutti i corollari geopolitici, economici e culturali del caso.
C'è chi è contento così.